Per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione italiana occorrono anche formazione appropriata e reclutamento di nuovo personale

“Lo studio è l’arma che elimina quel nemico che è l’ignoranza. È anche il miglior amico che ci guida attraverso tutti i nostri momenti difficili.”

[ Dalai Lama (Bhiksu Tenzin Gyatso), La via della liberazione, il Saggiatore, Milano, 2014]

Con la Comunicazione “2030 Digital Compass: the European way for the Digital Decade[1]l’Europa ha inteso ribadire la strategicità di dare corso entro l’anno 2030 alla trasformazione digitale dei paesi dell’Unione con l’obiettivo di dare maggiore forza alle imprese e ai cittadini in un futuro digitale sostenibile e più prospero, incentrato sulla persona.Per conseguire questo risultato la Comunicazione, oltre a impegnare gli Stati membri a garantire che i servizi pubblici on-line siano completamente accessibili a tutti i cittadini, comprese le persone con disabilità[2], auspica che essi, entro la data del 2030, siano in grado di consentire il voto elettronico quale strumento essenziale per incoraggiare la maggiore partecipazione degli elettori alla vita democratica. Si tratta di mete qualificanti per il benessere economico e sociale dell’Europa intera che, tuttavia, sarà possibile raggiungere nella misura in cui i singoli Paesi sapranno prodigarsi nel realizzare un ambiente digitale utile a fornire strumenti facili da usare, efficienti e personalizzati con elevati standard di sicurezza e di privacy. Per quanto riguarda l’Italia, va registrato come l’art. 1, comma 401, della legge di “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022” già abbia messo a fuoco l’importanza del tema dello sviluppo e della diffusione dell’uso delle tecnologie tra i cittadini; per fare ciò la norma ha attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri nuove competenze nell’individuazione, promozione e gestione di “progetti di innovazione tecnologica e di trasformazione digitale di rilevanza strategica e di interesse nazionale” istituendo presso la Presidenza del Consiglio un’apposita struttura, presieduta dallo stesso Premier o dal Ministro delegato. Ma c’è di più: il nostro Paese si è talmente votato all’impegno indicato dall’Europa che, in sede di formulazione della Missione n. 1 del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), ha specificatamente previsto l’zione di “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”[3].Per dare corso all’attesa innovazione la struttura voluta dalla legge di bilancio – “Comitato interministeriale per la transizione digitale”- ha dettatole seguenti linee di operatività strategica:

  • ammodernamento delle infrastrutture su tutto il territorio nazionale;
  • sfruttamento del cloud computing;
  • utilizzo dei dati della pubblica amministrazione;
  • avanzamento della cybersicurezza;
  • maggiore centralità delle persone e delle loro competenze.

Sulla scelta di provvedere in primis ad ammodernare le infrastrutture su tutto il territorio nazionale pesa la constatazione che ancora oggi la copertura FTTH (“Fiber to the Home”) raggiunge poco meno del 34% delle famiglie italiane con la conseguenza che nel 2020 circa 16 milioni di famiglie (il 60% del totale) non hanno una connessione fissa a banda ultra larga e risulta che 10 milioni di famiglie italiane -il 39% del totale- non hanno attivato offerte di accesso ad Internet su rete fissa mentre oltre 5,5 milioni di esse -il 21% del totale- usufruiscono di servizi Internet su rete fissa, ma con velocità inferiore ai 30 Mbps. Ciò rappresenta un vulnus a cui è necessario porre rimedio per scongiurare che la connettività distribuita in modo fortemente diseguale sul territorio dello Stivale lasci indietro vaste aree produttive e sociali. Da quanto innanzi, l’urgenza di ricorrere a investimenti per la realizzazione della banda ultra larga anche adottando misure di semplificazione e di revisione del quadro regolatorio così da accelerare le procedure e migliorare tempi e modalità per concretare le infrastrutture di rete, fisse e mobili [4].

Alla condizione dinanzi indicata il “Comitato interministeriale” correla a giusta ragione la realizzazione del cloud computing[5], vale a dire la concreta possibilità di utilizzare tutte quelle tecnologie che consentono di usufruire, tramite server remoto, risorse software e hardware (adempimento necessario a rendere celeri ed economici i passaggi di trasformazione di cui si parla); sarebbe economicamente penalizzante, infatti, se ai cittadini e agli imprenditori che operano in zone meno centrali del Paese fosse precluso di accedere alle opportunità di automazione e di remotizzazione a bassa latenza che queste tecnologie consentono.

Le due fasi innanzi esposte appaiono imprescindibili vieppiù nell’ottica, da un lato, di rendere meno grave la disparità della possibilità di accesso ai servizi telematici (digital divide), che registra competenze digitali di base solo nel 42% della popolazione compresa tra i 16 e i 74 anni contro il 58% in Europa a cui va sommato un 17% di italiani -nella stessa fascia di età- che non ha mai usato internet a fronte del più basso dato del resto dell’Europa (il 9%), dall’altro, di garantire (a condizioni di sicurezza delle reti e delle informazioni da esse veicolate) l’utilizzo dei dati da parte della pubblica amministrazione e dei cittadini che con essa si interfaccino.

Per dare effettività piena a queste linee operative il Ministro della Innovazione tecnologica e la transizione digitale intende impegnare risorse per mettere in campo interventi finalizzati a realizzare:

  • un diverso modo di acquistare, con più flessibilità e rapidità di quelle finora consentite, senza sacrificare integrità e trasparenza delle procedure di acquisto;
  • la creazione di una struttura di Supporto alla Trasformazione quale forza di supporto distribuita sul territorio per tutte le amministrazioni, centrali e locali, nella realizzazione della trasformazione digitale, con particolare attenzione ai divari territoriali;
  • un rafforzamento delle competenze digitali della Pubblica Amministrazione.

Mentre risulta agevole ritenere che i primi due passaggi possano essere posti in essere ben presto, anche con successo, giacché si tratta di adottare norme e regolamenti che poco o nulla impattano sul cambiamento culturale richiesto alle persone al lavoro, qualche perplessità solleva – almeno circa i tempi e le modalità della sua attuazione – l’ultimo intervento, poiché direttamente connesso alle digital skills di cui la pubblica amministrazione italiana risulta scarsamente dotata[6].

A quanti si ponessero la domanda delle “cento pistole” per conoscere quando e come sarà possibile vedere realizzato l’auspicato incremento delle competenze e dei saperi dei pubblici dipendenti italiani è possibile fornire soltanto una risposta: appena il nostro Paese, oltre ad essere in grado di comprendere pienamente il ruolo e il valore della formazione – da sempre negletta e poco considerata dal management pubblico come volano del successo organizzativo – potrà assurgere alla funzione generativa che le compete, caratterizzata da continuità, finalmente legata ai veri bisogni di una pubblica amministrazione di servizio.

Questo cambio di marcia però potrà essere vincente nella misura in cui potrà realizzarsi quella attesa, nuova politica di reclutamento dei pubblici dipendenti indirizzata, a maggior ragione in questa fase in cui occorre affrontare con spirito positivo la strada della ripresa dell’economia e dei servi pubblici dopo lo sconvolgimento della crisi pandemica del Covid-19, allo svecchiamento della platea del personale per mezzo di una selezione di soggetti qualificati, consapevoli della serietà del momento e, pertanto pienamente motivati.

Note

[1] Comunicazione- COM(2021) 118 – della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, in data 9 marzo 2021.

[2] Gli obiettivi indicati riguardano: i Servizi pubblici fondamentali (100% online); la Sanità online (cartelle cliniche disponibili al 100%); la Identità digitale (80% cittadini che utilizzano l’ID digitale).

[3] Su legame tra “digitalizzazione”, PNRR, riqualificazione della PA nazionale si veda “La digitalizzazione del nostro Paese: perché e come”, Leadership & Management, 14 luglio 2021.

[4] Come, ad esempio, l’adozione di una norma che preveda che i soggetti che intendano realizzare investimenti privati in aree specifiche finalizzati appunto alla realizzazione delle infrastrutture per la distribuzione della fibra possano farlo attraverso un formale impegno da sottoscrivere con lo Stato.

[5] Secondo la definizione del National Institute for Standards and Technology (NIST), il Cloud Computing è un insieme di servizi ICT accessibili on-demand e in modalità self-service tramite tecnologie Internet, basati su risorse condivise, caratterizzati da rapida scalabilità e dalla misurabilità puntuale dei livelli di performance, in modo da poter essere pagati in base al consumo.

[6] Dal Rapporto “La semplificazione amministrativa. Come migliorare il rapporto tra PA e imprese”, reso pubblico dalla Deloitte nell’aprile scorso, si apprende che in Italia l’88% delle PA locali utilizza ancora strumenti analogici per protocollare (timbri, firme…) con effetti che hanno fatto registrare nel 2019 il ricorso a servizi di e-government soltanto da parte del 32 % dei cittadini a fronte di una percentuale europea pari al 67%. Il fenomeno è verosimilmente legato alle esigue conoscenze specialistiche; in merito Deloitte segnala la ulteriore nota dolente della anzianità del personale pubblico dipendente giacché i lavoratori della PA sotto i 30 anni di età sono soltanto il 2,2% contro il 30% della platea tedesca e il 21% di quella francese.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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