Come l’apprendimento trasformativo può essere utile nelle situazioni di crisi e di cambiamento

La pandemia da Covid-19, che ha imposto ad aziende ed enti di ricorrere all’utilizzo di strumenti e metodi di lavoro innovativi o quanto meno poco impiegati, così da fronteggiare il rischio di contagio e garantire il funzionamento delle linee di produzione e dei servizi, ha riproposto la valenza della capacità del singolo lavoratore di ripensare le proprie idee e convinzioni, ma pure i propri costrutti culturali.

Si è confermato così, qualora ce ne fosse stato bisogno, il rilievo strategico dell’apprendimento trasformativo che, in quanto fulcro del processo di apprendimento permanente, resta opportunità concreta per gettare le basi della crescita delle persone al lavoro che, modificando prospettive e relazioni, risultano così in grado di realizzare salti innovativi[1].

Senza scomodare le diverse tesi presenti in letteratura sull’argomento, basterà qui evidenziare come attraverso l’apprendimento trasformativo trovi spazio la capacità/necessità dell’adulto di riformulare i propri quadri di significato allorquando si prospettino ragioni che, come è il caso della crisi pandemica, inducono a dubitare della validità di asserzioni già condivise[2].

Ricorrendo alla creatività insita nel pensiero riflessivo, capace di produrre trasformazione, infatti, le persone al lavoro possono conseguire l’obiettivo di modificare gli schemi di significato e i codici di comprensione e di interpretazione acquisiti durante l’arco della vita e ciò, vieppiù, se vengano messe in atto procedure cognitive e motivazionali che spingano l’individuo alla riflessione per realizzare “elementi di un tentativo più ampio di trovare nuovi modi di pensare, essere, vedere e interagire, che comprendono il corpo, lo spirito, la mente e, forse, l’anima”[3].

La forza del “pensiero riflessivo”

Nell’ottica del lifelong learning continuare ad apprendere implica necessariamente che le persone al lavoro facciano ricorso al pensiero riflessivo, che Dewey afferma essere “il miglior modo di pensare” giacché esprime l’esito di un ordine consecutivo di idee, collegate fra loro attraverso il doppio movimento – induttivo e deduttivo –, in grado di generare un percorso che, da una percezione di incertezza e dal disagio del dubbio, mediante una presa in esame delle esperienze o delle convinzioni, sorpassa la routine dell’abitudine e giunge a formulare una ipotesi, in vista di una decisione da mettere in pratica[4].

Si deve tuttavia a Merizow il merito di avere riconosciuto il pensiero riflessivo quale dinamica centrale dell’apprendimento adulto in quanto proprio attraverso la forza della riflessione si instaura una sorta di dialogo interno del soggetto che lo condurrà alla presa di consapevolezza di determinate caratteristiche della propria persona e del proprio interesse lavorativo.

Lo scopo della riflessione per l’autore altro non è se non il riesame critico del modo in cui l’adulto, più o meno consapevolmente e coerentemente, ha agito o pensato ed è entrato in relazione con gli altri[5].

Ne consegue che grazie alla riflessione l’individuo è in grado di costruire e di validare i significati che attribuisce a sé stesso, alla cultura; per effetto di ciò la persona al lavoro acquisisce la capacità di trasformare qualsiasi esperienza o situazione in occasione significativa di apprendimento “ri-ponderando” quanto accaduto ad un livello di coscienza più o meno significativo.

Questa forza, ove impiegata nei possibili processi collaborativi che legano gli individui di un sistema, ma pure nelle singole organizzazioni, li impegnerà a produrre conoscenza utile per la comunità cui appartengono con la evidente fruttuosa conseguenza che l’apprendimento maturato, verificandosi circostanze nuove o imprevedibili (come appunto quella della crisi generata a seguito della epidemia da Covid-19) ovvero emergendo il bisogno di dare corso a progetti di riorganizzazione/rinnovamento o di ripresa (come è per il PNRR), potrà assicurare la trasformazione degli individui interessati, supportando le loro capacità di resilienza e divenendo leva per il cambiamento[6].

Il processo collaborativo insito nella “comunità di pratica” e il ruolo del leader

Per il fatto di essere occasione per mettere a fattor comune storie, linguaggi, routine, sistemi di attività, valori, le comunità di pratica rappresentano una esperienza in grado sia di favorire processi d’identificazione sia di generare apprendimento organizzativo.

Infatti, dal momento che alla base di queste aggregazioni c’è la condivisione delle modalità di azione, ma anche dell’interpretazione della realtà, nella comunità di pratica si realizza uno spirito collaborativo che risulta prodromico, da un lato, ad incrementare i saperi dei singoli; dall’altro, a indurre l’attivazione di processi concreti di rinnovamento delle organizzazioni di riferimento che hanno alla base il medesimo senso d’identità professionale. Come affermato dai Kolb, l’apprendimento sarà direttamente collegato alla intensità del processo collaborativo (che rappresenta le fondamenta della comunità di pratica); lo stesso, facendo leva su credenze e ricordi da mettere in discussione, consentirà a tutti i partecipanti di costruire una comprensione integrativa più composita. A questa condizione, rafforzato il senso del proprio ruolo a partire da un maggior livello di consapevolezza del contesto in cui essi operano, coloro che partecipano ad una comunità di pratica riceveranno sufficienti stimoli ad intraprendere azioni di cambiamento con la certezza di avere utilizzato uno strumento trasformativo[7].

Se è certo che la comunità di pratica può costituire lo strumento cardine per il cambiamento e lo sviluppo, poiché da essa può derivare il sostegno alle azioni di gestione della conoscenza, resta indubbio che senza leader capaci nessun cambiamento potrà concretizzarsi.

Emerge quindi la necessità di leader adattivi che, a partire dalla valorizzazione delle persone al lavoro mediante il sostegno all’apprendimento di cui si parla, riconoscano l’importanza della fiducia nei rapporti interpersonali e, alla stregua di allenatori/consulenti, lungi dal sentirsi sicuri di non sbagliare mai o che gli altri saranno sempre all’altezza delle aspettative, vivano nell’accettazione dell’incertezza, dei rischi e delle debolezze, protesi verso il successo e pronti a superare qualsivoglia crisi.

Note

[1] Vedasi Perugini U., Formazione sul lavoro: apprendimento incrementale e trasformativo, Leadership & Management Magazine, 3 marzo 2020.

[2] Chiosso G., I significati dell’educazione. Teorie pedagogiche e della formazione contemporanee, Milano, Mondadori, 2009.

[3] Cfr West L., Prefazione. In Mezirow J., La teoria dell’apprendimento trasformativo, Imparare a pensare come un adulto, Milano, Cortina editore, 2016, p. XII.

[4] Dewey J., Esperienza e educazione, (Cappa F. – Curatore, Codignola E. -Traduttore), Milano, Cortina editore, 2014.

[5] Merizow J., Apprendimento e trasformazione, Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Milano Cortina editore, 2003.

[6] CfrGephart. M., Marsick V.J., Strategic Organizational Learning, Springer, Berlin, 2016.

[7] Cfr. Kolb A.Y., Kolb D.A., On becoming a Learner: the Concept of Learning Identity. CAEL Forum and News, 2009.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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