Quali leadership e quali competenze nel mercato del lavoro prossimo venturo?

Se volete prosperare in un mondo piatto,
dovete capire che qualsiasi cosa si possa fare, sarà fatta,
e molto più velocemente di quanto voi pensiate.
Thomas Friedman

Il mondo del presente e del futuro ci porta rapidamente nel mare aperto di un progresso evolutivo e tecnologico inarrestabile.
Anche a causa della pandemia, stiamo entrando sempre più velocemente nell’era della sostituzione tecnologica, l’era in cui molti di noi saranno sostituiti da robot o algoritmi.

Certi settori e certi lavori stanno scomparendo; altre professioni si stanno espandendo e altre attività innovative, venute alla luce di recente, stanno per esplodere. Ma se le componenti e le forze che stanno ridisegnando l’economia si dispiegano a livello globale, i confini spaziali e temporali locali si scompongono e si ricompongono su nuove coordinate, si dissolvono e si moltiplicano nella sfera evolutiva del capitalismo intellettuale.

Perché non è affatto la stessa cosa lavorare in una fabbrica o in un centro di ricerca universitario. Ad essere comune è il tratto attorno a cui si organizza la nuova divisione del lavoro, ossia la finalizzazione del lavoro stesso alla produzione di saperi, all’innovazione permanente e alla valorizzazione dello sviluppo tecnologico.

Le università sono un esempio straordinario nell’analisi delle trasformazioni contemporanee. Perdono centralità come luoghi di trasmissione della conoscenza ma, a livello globale, assumono una nuova collocazione in cui pervadono l’insieme dello spazio-tempo metropolitano, plasmano le nuove forme del lavoro intellettuale, modellano la città attorno all’incrocio saperi, professioni, impresa. È l’avvento del modello americano di “education for profit”.

Ecco perché l’impatto del progresso tecnologico e dell’interdipendenza si dispiega a macchia di leopardo e a velocità diverse. Per alcuni luoghi, per alcune città con grandi “fabbriche” di saperi, la globalizzazione e la diffusione di nuove tecnologie produttive vogliono dire crescita nella domanda di lavoro, più produttività, più occupazione e redditi più alti.

Per altri luoghi, privi di centri di produzione della conoscenza, globalizzazione e nuove tecnologie hanno l’effetto opposto: disoccupazione e salari in calo. Siamo di fronte ad una redistribuzione senza precedenti – e in progressiva accelerazione – in termini di lavoro, professioni, popolazione, ricchezza.
E la causa è sempre la stessa: l’interdipendenza generata dalle reti, la stessa che alimenta, purtroppo, l’era pandemica.

Orizzonti che hanno bisogno di essere supportati da alcune riflessioni propedeutiche. La prima è quella per cui, mentre la produttività dei servizi locali resta tendenzialmente inalterata nel tempo (per fare il tassista si impiega la stessa quantità di lavoro che si impiegava nel 1950), nel settore dell’innovazione la produttività aumenta di anno in anno.

È l’effetto a fionda delle super competenze, ovvero il fatto che attrarre un ingegnere informatico significa innescare un effetto moltiplicatore che aumenta i posti di lavoro e i redditi di chi fornisce servizi locali (es. tassisti, barbieri e altri servizi di prossimità, spesso manuali). Il mercato del lavoro si evolve dunque verso una fortissima polarizzazione. Graficamente potremmo raffigurarla come una specie di clessidra: al vertice alto ci saranno le professioni eccellenti, i progettisti, i decisori, gli innovatori che saranno accompagnati, alla base, dai mestieri esecutivi, accuditivi, di cura, di assistenza, di ordinaria manutenzione. In mezzo, praticamente niente. La fine della classe media nei Paesi avanzati.

Sarà allora necessario puntare sulla competenza, sul Web, sulle lingue ma anche sulla manualità perché serviranno, a tutti i livelli, veri e propri risolutori della complessità e degli imprevisti. Come dire l’avvento della diversificazione e del problem solving, pratico o complesso che sia.

Il trend è sempre più chiaro anche in termini di leadership e management: professioni di alto livello cui sono collegati redditi di elevato standing sono sempre più connesse alla realizzazione di nuove idee, nuovo sapere e nuove tecnologie. E in futuro questo cambiamento continuerà, anzi accelererà, nonostante la battuta d’arresto pandemica. Il numero e la forza degli hub dell’innovazione di un Paese ne decreteranno la fortuna o il declino. Ecco perché le città con alte percentuali di lavoratori professionalmente forti diventeranno il centro del mondo.

Non sarà sempre un passaggio lineare e senza problemi. Anzi, ci saranno dei momenti dolorosi come quelli legati ai processi di sostituzione delle persone con procedure automatizzate. Anche le piramidi organizzative si appiattiranno progressivamente, come è già successo quando la digitalizzazione ha reso desuete molte figure professionali intermedie: i vertici della piramide potevano trasmettere gli ordini direttamente alla base, senza doversi affidare a qualcuno che lo facesse per loro.

Il futuro di ciascuno di noi è allora quello di aggiungere valore e professionalità al proprio lavoro, ovvero fare quello che i sistemi tecnologici non sono in grado di dare in termini di valore aggiunto: problem solving complesso (competenze distintive) e soft skills (capacità relazionali).

Il passaporto per esercitare una leadership manageriale anche nel futuro prossimo venturo.

 

Articolo a cura di Angelo Deiana

Profilo Autore

Presidente di CONFASSOCIAZIONI, ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali), è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia.
Attualmente è Vice Presidente di Auxilia Finance Spa.

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