Modelli imprenditoriali emergenti nelle medie imprese di successo

Le imprese che sono riuscite a far fronte con maggior successo alla crisi sono quelle che si sono imposte sui mercati internazionali, ma non sempre si è analizzato il modello di business che è alla base dei processi di globalizzazione. Far emergere il modello di business risponde a esigenze operative di imprenditori e manager di avere punti di riferimento in uno scenario caratterizzato ancora da alta volatilità e incertezza pur in presenza di crescenti segnali di ripresa del sistema economico. Le ricerche effettuate sia “sul campo” sia on desk hanno consentito di individuare sette principali tratti comuni alle medie imprese di successo. Di seguito ciascun fattore viene presentato, mentre per un’analisi di maggiore profondità arricchita inoltre da oltre 100 casi si rimanda al libro “Come le medie imprese di successo hanno superato la crisi”, edito da Franco Angeli. Le imprese di successo rappresentano il risultato di una vision che si esprime nel lungo periodo e che ha trovato accelerazione negi ultimi tempi anche in forza dei favorevoli cambiamenti avvenuti di recente nello scenario economico, quali il calo del prezzo del petrolio e la maggiore facilità di accesso al credito. La forza della leadership imprenditoriale ha consentito alle imprese di avviare processi di riposizionamento attraverso la gestione di fattori potenzialmente conflittuali tra loro e che, invece, hanno trovato sinergie e rinforzi reciproci.

Incremento della value proposition & strategia di nicchia

Gran parte delle imprese di successo è riuscita a conciliare specializzazione e riposizionamento verso segmenti premium. Molte imprese hanno interpretato in senso dinamico le proprie strategie di nicchia: hanno ampliato la propria offerta, migliorato i propri prodotti diventando fornitori di soluzioni. È la logica dell’one stop shop o meglio one stop boutique per sottolineare l’approccio individualizzato al cliente. Per incrementare l’offerta di valore (la value proposition) le imprese hanno in genere, adottato una pluralità di approcci, spesso, in modo simultaneo:
• migliorano la qualità dei prodotti anche se non mancano esempi di aziende che hanno lanciato nuovi prodotti che, attraverso la semplificazione e la riduzione delle funzioni meno rilevanti, soddisfano i bisogni di chi ha minore potere di acquisto;
• creano prodotti a maggiore contenuto di design tipico del Made in Italy e renderlo così più facilmente riconoscibile nei mercati internazionali;
• migliorano le prestazioni complessive del prodotto attraverso l’integrazione di know how tradizionale e quello che proviene da tecnologie applicate in altri business o dalle nuove tecnologie digitali;
• personalizzano il prodotto per conquistare nuovi clienti/mercati;
• introducono e potenziano i servizi post vendita: ad esempio l’assistenza al cliente viene garantita in tempi rapidissimi, ovunque al mondo sorga il problema e spesso in modo remoto;
• propongono prodotti e processi eco-compatibili.

Total customer care & innovazione

Per molte imprese di sucesso il punto di partenza dell’innovazione è costituito dalla capacità di risolvere i problemi del singolo clienti e di individuare soluzioni competitive “su misura”. Le imprese eccellenti creano, infatti, i nuovi prodotti plug and play: si inseriscono perfettamente nei processi produttivi e industriali di ciascun cliente riducendo costi di stoccaggio, lavorazione e tempi di attesa. Fare prodotti plug and play non dipende soltanto dal know how tecnico. Vuol dire ottenere, scambiare informazioni e how how su processi strategici quali la produzione o la progettazione. Non bastano i contratti di esclusiva e di obbligo alla riservatezza, è necessario sia avere figure dedicate alla gestione dei clienti (ad esempio project e account manager) sia creare relazioni di stima e fiducia che si costruiscono nel tempo in modo consapevole e talvolta pianificato. La conquista della fiducia è il risultato di un percorso lungo e complesso che dipende spesso dalla capacità di creare relazioni ad alta densità con i clienti: maggiore è l’integrazione tanto più personalizzata e spesso complessa è l’innovazione realizzata. Pertanto è importante scegliere i clienti non soltanto in base alla loro redditività, ma anche sulla presenza di una sintonia, rappresentata ad esempio da un allineamento di interessi nel medio-lungo termine, modi comuni di vedere i temi fondamentali del business e valori aziendali simili.

Fabbriche intelligenti e riposizionamento competitivo

I processi di innovazione di prodotto sono stati spesso sostenuti e in gran parte dei casi resi possibili dai cambiamenti nei sistemi di produzione. Quasi tutte le aziende di successo hanno ridisegnato i processi produttivi in un’ottica di lean manufacturing che ha consentito di ottenere una forte riduzione dei costi. Molte imprese hanno investito in nuovi impianti capaci di ottenere qualità, ma anche efficienza, flessibilità e sostenibilità. L’innovazione di prodotto è quindi strettamente integrata a quella dei processi produttivi in molti casi, grazie al crescente utilizzo delle nuove tecnologie. Esempi significativi sono le fabbriche che Giuseppe Berta definisce “intelligenti”: sono fabbriche snelle, ad alto contenuto tecnologico e che richiedono personale qualificato per la gestione e conduzione. Sono fabbriche che per raggiungere le migliori performance produttive hanno bisogno di modelli organizzativi che si fondano su una maggiore partecipazione dei lavoratori, lavoro di team e forme di empowerment del personale. Il rinnovamento dei processi produttivi ha migliorato la flessibilità degli impianti che si è resa necessaria per far fronte a una domanda variabile, elastica e fluttuante. Oggi sono sepre meno le grandi commesse che si dilatano nel tempo. Le imprese di successo si sono organizzate per soddisfare qualsiasi richiesta anche quelle più piccole e specifiche. Questa strada è stata intrapresa da molte imprese sia per seguire i clienti che anch’essi operano in contesti ad elevata variabilità sia per ridurre il rischio evitando un alto livello di dipendenza da pochi clienti e/o progetti. La prossimità tra fabbrica e R&S anche in termini di location rappresenta un importante fattore di stimolo e accelerazione dei processi di innovazione. Questo principio è stato sintetizzato in modo efficace da un capo azienda: “Avere fabbrica, uffici di marketing e R&S insieme è un asset incredibile, un modello di business che è nostro interesse continuare a implementare”. L’innovazione sta diventando un processo integrato unico: si estende dall’ideazione, allo sviluppo del prodotto, alla produzione sino alla fatturazione e al servizio post vendita. La continuità del processo già oggi riduce il time to market, migliora la flessibilità e aumenta l’efficienza. Questa continuità ha effetti organizzativi rilevanti. R&S e produzione non sono più attività lontane: la prima affidata esclusivamente a un ente di staff, la seconda alla linea. Le rigide separazioni tra le responsabilità delle posizioni organizzative vengono meno. I ruoli sono meno definiti. Si avverte un tendenziale allungamento delle responsabilità di chi fa innovazione. La responsabilità gestionale della R&S non termina alla prototipazione o alla prima serie di produzione: il passaggio di testimone al manufacturing avviene soltanto quando l’intero processo produttivo è ben stabilizzato. Allo stesso modo chi è responsabile della produzione viene coinvolto in misura rilevanti nei processi di sviluppo prodotto sin dalle prime fasi.

Innovazione e internazionalizzazione a 360°

Le due “I” sono strettamente correlate. Soltanto chi innova riesce a rimanere o entrare nei mercati globali. A fronte di una domanda interna stagnante o in caduta, l’internazionalizzazione costituisce l’unica via possibile della crescita, della competitività e, in definitiva, della salvaguardia dei posti di lavoro. Molte imprese infatti, evidenziano che anche quando hanno stabilimenti in altri Paesi una parte della domanda proveniente dai mercati esteri è soddisfatta dalle fabbriche e dagli uffici in Italia. Questo accade purché vi siano standard elevati qualitativi e tecnologici. Inoltre trova conferma la percezione di un rallentamento delle delocalizzazioni e un crescente ricorso al reshoring soprattutto nei settori del faschion e anche della meccanica. L’internazionalizzazione è diventata un fattore pervasivo di tutti i processi aziendali, ad esempio: la R&S viene potenziata da apporti esterni eccellenti ovunque essi si trovino: gli imprenditori innovativi non esitano a viaggiare per trovare le competenze pregiate di cui hanno bisogno; gli impianti (ma ormai anche le direzioni tecniche e i Centri di ricerca) delle imprese fornitrici seguono le strategie globali delle aziende clienti; le reti di fornitura si ampliano, si allungano e lo stesso accade per le reti commerciali e di vendita. L’internazionalizzazione oggi riguarda anche gli assetti proprietari. Dal punto di vista giuridico sono presenti una vasta pluralità di forme: dalle società di diritto lussemburghese o olandese, all’acquisizione azionaria da parte di gruppi esteri ai fondi di investimento internazionali. Si pongono dunque due temi: il primo riguarda l’italianità della proprietà, mentre il secondo concerne gli effetti dei cambi di proprietà sui livelli di autonomia decisionale, le performance e non meno importante sulla conservazione degli asset intangibili quali il know how e i marchi. Una parte delle acquisizioni di imprese italiane realizzate da aziende estere ha infatti trovato la sua ragion d’essere nella qualità, unicità e distintività del sapere presente nelle fabbriche, negli uffici e nelle relazioni con il territorio. In molti casi le imprese continuano a operare con successo indipendentemente da chi le controlla. Diversi capi azienda sottolineano come le nuove forme proprietarie hanno accelerato i processi di cambiamento e innovazione.

Governance solida: l’alleanza tra imprenditori e team manageriali

L’innovazione nasce sempre dalla vision dell’imprenditore. Non c’è innovazione senza sguardo al futuro, ma allo stesso tempo per i business complessi non c’è innovazione senza un management in grado di implementare con velocità e proattività la strategia aziendale. Molte imprese di successo sono family business: orientamento al futuro e famiglia sono strettamente collegati. Diverse iniziative di innovazione sono attuate per assicurare un futuro all’azienda e ai figli in effiun continuum che è difficile separare. Quando i figli non hanno ancora deciso sulla loro vita anche I progetti di innovazione sono rallentati e spesso sospesi. La leadership del capo azienda è poi necessaria per proteggere lo sviluppo dell’idea e del progetto di innovazione. In diverse imprese il diretto commitment dell’imprenditore è indispensabile per superare le resistenze da parte dei responsabili dei business tradizionali che forniscono il cash flow necessario all’azienda per sopravvivere. Nonostante le possibili resistenze è il management che trasforma la vision in processi, prodotti e redditività. Il team è l’unità organizzativa nella quale l’innovazione si sviluppa e si industrializza. Saper guidare e gestire i team direzionali è esercizio della leadership imprenditoriale oltre che un fattore rilevante per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Il team inoltre è la sede presso cui si trovano soluzioni attraverso lo scambio di informazioni e di know how: si attua un processo di ibridazione dei saperi provenienti da persone e soggetti volte molto diversi tra loro.

Controllo del know how & intelligenza diffusa

I processi di innovazione sono stati implementati grazie alle competenze acquisite e accumulate nel tempo sia a livello individuale che organizzativo. L’innovazione può nascere dall’intuito o dall’osservazione di una sola persona, ma il suo sviluppo e soprattutto la continuità dei risultati sono il risultato di una competenza e di un’intelligenza (nel senso etimologico della parola, “saper leggere dentro”, e quindi saper guardare dentro le cose, le persone e i fatti) diffusa nei team di progetto e nell’intera organizzazione. La competenza diffusa appartiene a persone che non necessariamente sono ai vertici dell’impresa. In molti casi sono gli operativi a risolvere i problemi posti dal cliente in termini di aspettative più che di precise specifiche di prodotto. Le competenze sono state acquisite principalmente on the job e nei network informali che ciascuno crea nello svolgimento delle attività professionali. Anche nelle fasi di rapido e profondo cambiamento poche volte la formazione formale ha un ruolo centrale. Come spesso accade il punto di forza diventa criticità quando il contesto cambia in modo radicale. Molte imprese quando hanno deciso di investire nei progetti di innovazione, di integrare know how consolidato e nuovi saperi e di avviare le strategie di internazionalizzazione hanno rilevato la mancanza di adeguate competenze tecniche e manageriali. Hanno dovuto “acquistare” rapidamente dal mercato tecnici e dirigenti in possesso delle competenze indispensabili per la crescita. L’innesto di nuove competenze ha avuto, in genere, successo ma ha generato anche resistenze e dualismi (“la vecchia guardia contro la nuova”) che sono stati superati grazie al commitment visibile e continuo dell’imprenditore e dai risultati raggiunti. La focalizzazione sul know how strategico e distintivo ha avuto effetti sulla gestione del personale. Le aziende hanno premiato e fidelizzato coloro i quali hanno le competenze core e chi ha le prestazioni più elevate (“quelli bravi me li tengo stretti”). Coloro i quali, invece, sono in possesso di competenze diventate obsolete oppure quelle più facilmente reperibili sul mercato sono stati di fatto emarginati dalle strategie di sviluppo del personale e spesso oggetto dei processi di downsizing che hanno a volte accompagnato i processi di posizionamento competitivo e di realizzazione dei nuovi impianti produttivi.

“Solitudine” e collaborazione imprenditoriale

Quando gli imprenditori prendono le decisioni più rilevanti sono spesso soli, ma il vero senso di solitudine è quello che si rileva nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Gli imprenditori che “ce l’hanno fatta” hanno avuto successo nonostante gli ostacoli posti dalla burocrazia sia per il carico fiscale eccessivo, quanto soprattutto per la miriade di incombenze burocratiche. Rimangono stretti i rapporti con il territorio attraverso la creazione di partnership con i fornitori che contribuiscono in modo attivo alla realizzazione delle attrezzature necessarie per i processi produttivi. Non c’è imprenditore o capo di unità organizzativa che non evidenzi il carattere strategico delle reti di fornitura: costituiscono una rete di know how, una modalità per recuperare efficienza La crisi economica ha portato a nuove forme di collaborazione tra le imprese. I nuovi accordi non seguono la logica propria delle relazioni verticali tra grande e media impresa. Sono piuttosto collaborazioni tra imprese che hanno dimensione simile e che spesso operano in un medesimo settore. A volte queste collaborazioni si costruiscono sulla base di accordi tra gli imprenditori, altre volte, invece sono formalizzate in contratti di reti di impresa. Benché sia ancora presto per valutare l’efficacia di molte reti di impresa, occorre evidenziare che costituiscono dinamiche culturali importanti. Sono segnali di un mutamento di una mentalità eccessivamente individualista che si è rivelata inadeguata ai nuovi contesti competitivi. I segnali di maggiore apertura sono rivolti anche verso il sistema universitario. Le iniziative di alcuni imprenditori e poi le politiche di finanziamento alla ricerca hanno favorito la maggiore collaborazione tra imprese, Università e Centri di ricerca. In diverse imprese sembra che sia in atto un cambiamento significativo. L’outsourcing delle attività di ricerca o comunque l’affidamento all’esterno di attività di R&S sta evolvendo verso forme di maggiore internalizzazione dei progetti di innovazione. Nei casi di maggiore rilevanza si costituiscono team di lavoro misti impresa-università.

Conclusioni

Le imprese che “ce l’hanno fatta” hanno saputo coniugare continuità, capacità di durare (build to last) e capacità di cambiare (build to change). Build to last vuol dire costruire capacità organizzative, creare consenso e motivazione, in primo luogo personale e soltanto dopo correlata al sistema premiante. Senso di appartenenza, valori condivisi e comportamenti “virtuosi” diffusi hanno creato un forte collante tra le persone in possesso delle competenze pregiate e impresa. Il build to change nasce dalla crescente apertura delle imprese verso l’esterno. Creare collaborazioni con gli stakeholder, raggiungere nuovi mercati, sperimentare nuove tecnologie, fidelizzare clienti sempre più sofisticati e, non meno importante, l’apertura dell’azionariato a nuovi soggetti ha consentito alle imprese di accumulare e consolidare nel tempo una serie di vantaggi competitivi in grado di fornire agilità e resilienza all’organizzazione. Build to last e build to change hanno una medesima base di partenza: la cultura del saper far bene o più correttamente la cultura dell’imparare a saper far bene le cose giuste, Coniugare innovazione, apprendimento, il fare bene e la continuità dei risultati vuol dire integrare alto artigianato e nuove forme di fare industria. Per molto tempo sono stati mondi distanti, due modi di vedere spesso in conflitto tra loro, oggi nelle imprese eccellenti si sta creando e in alcune si è già creato un nucleo centrale di persone che hanno nel loro patrimonio professionale l’equilibrio di entrambe le culture. Un segnale forte di ottimismo per le imprese e in generale per la società italiana.

A cura di Salvatore Garbellano, Politecnico di Torino, docente a contratto di Modelli Organizzativi e HRM

Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Gennaio/Febbraio 2016

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