La Leadership Organizzativa

La figura del leader emerge in qualsiasi gruppo, sia esso un’organizzazione, un gruppo di amici, un’associazione sportiva; anzi, tanto più il gruppo è numeroso, tanto più il leader diventa essenziale al buon andamento del gruppo medesimo.

La questione della leadership e delle sue modalità ottimali di esercizio è, tuttavia, di particolare rilevanza nello studio dei gruppi in ambito lavorativo. Infatti, la necessità di coordinare, controllare e programmare sia il loro funzionamento reciproco, sia l’esecuzione dei compiti assegnati ai singoli membri, ha richiesto un’attenta analisi delle modalità di gestione del comando[1].

Deriva da tali considerazioni, in contesti come quelli organizzativi, spesso caratterizzati da tensioni relative a complessi processi decisionali, la centralità della questione della leadership.

Per leadership intendiamo la capacità di influenzare i membri dell’organizzazione al fine di far conseguire un determinato obiettivo esplicitando gli scopi, fornendo i mezzi per raggiungerli, facendo leva sulle motivazioni.

Obiettivo della leadership è massimizzare ciò che Barnard definisce l’area di disponibilità degli individui a perseguire gli scopi dell’organizzazione, con senso del dovere e professionalità, ma soprattutto con appagamento.

Tuttavia, poiché si tratta si tratta di uno dei comportamenti organizzativi più studiati e oggetto di una pluralità di lavori teorici ed empirici, attribuire un significato univoco alla leadership non è certamente un compito di semplice portata.

Diffuso è l’errore di collegare il concetto di leadership a quello di headship. Si tratta di un’associazione sbagliata, perché la leadership si fonda su una concessione del potere da parte di un gruppo sociale che riconosce in una persona il proprio leader; invece, la headship (autorità suprema) si fonda sulla successione del potere, l’usurpazione e la nomina attraverso un numero ristretto di votanti[2]. In altre parole, si parla di leadership quando l’autorità viene conferita dai seguaci, mentre quando l’autorità viene imposta dall’esterno usiamo il termine headship.

In ambito organizzativo risultano due le impostazioni prevalenti: nella prima l’organizzazione è osservata tramite una visione di matrice oggettivista e funzionalista; nella seconda prevale un approccio maggiormente orientato in senso soggettivista e interpretativo.

Tuttavia, considerato che nella sua stretta valenza semantica la leadership è «l’azione mediante la quale uomini conducono altri uomini in contesti che sono contesti sociali, quindi storici, quindi mutevoli»[3], non è, in nessun caso, possibile formulare teorie stabili o definizioni sulla leadership.

A rendere ancora più difficoltoso questo compito si aggiunge il carattere di complessità e la conseguente esigenza di controllo e ordine che da sempre connota le organizzazioni moderne. Quest’ultime, infatti, formate da interazioni, connessioni, reticoli relazionali di varia frequenza, intensità e natura sociale, cambiano continuamente la loro forma e questo avviene anche per la leadership.

Secondo la maggior parte delle definizioni riscontrabili nella letteratura in oggetto, «le organizzazioni sono raggruppamenti sociali deliberatamente costruite e ricostruite per il raggiungimento di fini specifici»[4]. La loro natura artificiale, unitamente alla tendenza ad essere molto più complesse delle unità sociali naturali, ne rendono insufficiente, al loro interno, il controllo esclusivamente informale del lavoro.

«La maggior parte delle organizzazioni non può essere sicura che i suoi membri abbiano interiorizzato i loro obblighi ed effettuino i loro compiti volontariamente senza bisogno di ulteriori incentivi. Ne deriva che le organizzazioni hanno bisogno di un sistema formale per la distribuzione di premi e punizioni, per far sì che i partecipanti obbediscano alle norme, alle regole, agli ordini»[5].

È all’interno di quest’ottica che la leadership va intesa come un’esigenza organizzativa. Essa, infatti, «rappresenta una forma, tra le più efficaci di controllo sociale. Leadership significa influenza interpersonale, significa dirigere persone, significa assumere ruoli di autorità, significa connessione con altre forme di controllo nell’organizzazione di attività economiche e non»[6].

Ordinare e orchestrare questa complessità, fronteggiando e governando i cambiamenti è compito primario del leader.

Nel passaggio dalla dimensione organizzativa a quella istituzionale di un qualunque sistema di attività è proprio il leader a svolgere un ruolo determinante con la propria capacità di creare unità di interessi e prospettive oltre che consenso sui valori.

Scrive Selznick:

«ciò che maggiormente colpisce e risulta con più evidenza in un’organizzazione amministrativa è il suo sistema formale di regole e obiettivi. Qui compiti, poteri e procedure sono stabiliti in armonia con un modello ufficialmente approvato. Tal modello si propone di indicare in che modo si deve svolgere il lavoro dell’organizzazione, si tratti di procedure di acciaio, di conquistare voti, di istruire bambini, o di salvare anime. L’organizzazione così concepita è uno strumento tecnico volto a mobilitare le energie umane e ad indirizzarle verso fini prestabiliti[7]».

Se la parola organizzazione suggerisce un sistema arido ed essenziale di attività coscientemente coordinate l’istituzione si avvicina di più ad un prodotto naturale delle esigenze e delle pressioni sociali; è un organismo reattivo e adattivo.

La diffusione dei valori crea un’identità peculiare che è ciò che permette all’organizzazione di divenire istituzione. Questo si realizza tramite un processo di istituzionalizzazione che è:

«qualcosa che avviene ad un’organizzazione attraverso il tempo, rispecchiante la particolare storia dell’organizzazione stessa, le persone che ne hanno fatto parte, i gruppi che essa incorpora e gli interessi costituiti che questi ultimi hanno creato, nonché il modo in cui ha saputo adattarsi al suo ambiente»[8].

Pur considerando la netta distinzione tra organizzazioni e istituzioni, difatti queste ultime, pur non essendo in contrapposizione con le prime, si differenziano per il fatto di incorporare dei valori che le connotano di un’identità distintiva, facendo sì che superino il livello di meri e anonimi strumenti tecnici. Nel momento in cui un’organizzazione acquista un’identità, può essere riconosciuta come fonte di gratificazione personale e veicolo di integrazione del gruppo.

Là dove l’istituzionalizzazione si trova in fase avanzata avviene, infatti, un’unificazione delle prospettive, delle abitudini e degli impegni distintivi, unificazione che dà una particolare impronta a tutti gli aspetti della vita organizzativa, impartendole un’integrazione sociale che va ben al di là della coordinazione e del comando formali.

Il leader diviene quindi «un agente dell’istituzionalizzazione, il quale offre la propria guida ad un processo che altrimenti avverrebbe in modo più casuale e sarebbe più facilmente soggetto agli accidenti del caso e della storia»

Se alla base del livello di organizzazione, prevale la logica dell’efficienza amministrativa, mano a mano che si sale verso il vertice dell’organizzazione tale indirizzo deve lasciare il campo a un’altra logica. Al vertice non è sufficiente dirigere tecnicamente bene, poiché occorre che il dirigente sia capace di affermarsi come leader.

La leadership è un’attività essenzialmente creativa e non adattiva, che si esplica in quattro funzioni fondamentali: definizione della missione e del ruolo istituzionale, incorporazione dello scopo, difesa dell’integrità istituzionale, scomposizione dei conflitti interni.

Tuttavia, la leadership non sempre è indispensabile; vale a dire che anche le organizzazioni prive di un leader riescono a esistere e sopravvivere; inoltre, la leadership non necessariamente va intesa come occupazione di una carica formale, perché può essere esercitata anche da soggetti che hanno una posizione puramente informale, ma carica di influenza e rappresentatività simbolica.

Per quanto si tratti di termini affini, la leadership non va, infatti, confusa con l’autorità, fatta eccezione per la particolare forma di autorità o legittimazione carismatica che la abbina all’autorevolezza.

Note

  • [1] P. De Vito Piscicelli, E. Zanarini, L’arte del comando, prospettive di psicologia delle organizzazioni, NIS, Roma 1996.
  • [2] Sulla distinzione tra leadership e headship si cfr. G. Trentini, Oltre il potere. Discorso sulla leadership, Franco Angeli, Milano 1997, ma anche G. Bellandi, Il talento del leader. Crescere nella vita professionale e personale attraverso una leadership etica e responsabile, Franco Angeli, Milano 2006. Tale questione verrà ripresa successivamente nella trattazione della leadership formale e informale.
  • [3]G. Vitalone, Leadership in azione. Ruolo forme e stili di leadership nelle organizzazioni, Franco Angeli, Milano 2004, p. 216.
  • [4] Si veda per tutti, A. Etzioni, Sociologia dell’organizzazione, Il Mulino, Bologna 1967, p. 11.
  • [5] Ivi, p. 114.
  • [6] D. Bodega, op. cit., p. 9.
  • [7] P. Selznick, La leadership nelle organizzazioni, FrancoAngeli, Milano, pp.14-5.
  • [8] Ivi, p.24

A cura di: Vanessa De Giosa

Profilo Autore

Dottore di ricerca in Sociologia e docente a contratto di Sociologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università del Salento, si occupa anche di cultura e comunicazione, svolgendo attività di studio su teorie organizzative e metodologie della ricerca.
Attualmente Capo Ufficio Piani Formazione e Sviluppo competenze, è stata nominata componente di UniSalento in seno all’assemblea del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione CO.IN.FO.

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