Il valore strategico dell’errore

Nella vita si fanno molti errori, errori imperdonabili. Ma allo stesso tempo sbagliare ti rende più forte, più consapevole, e allora capisci che ogni cosa a volte accade per una ragione.
Alessandro Diurno

Concediti la libertà di imparare dai tuoi errori e non agitarti. Apprezza gli enormi doni che ti dà l’errore: esperienza, saggezza, forza, creatività, determinazione… Dopo aver sbagliato per una vita intera cosa scoprirai? Di aver vissuto, di aver fatto cose meravigliose e di esserti divertito. Ma cos’è l’errore? È un qualcosa che nasce dalla determinazione di fare le cose in modo diverso, rompendo le regole. Sarà sempre comunque un risultato che dovremo valorizzare per quello che potrà portarci.

Il termine latino error, oltre al tradizionale valore di sbaglio, ha anche il significato di deviazione e di viaggio: l’errore, infatti, ci permette di viaggiare e di navigare nel mare delle nostre esperienze; senza di esso non c’è movimento, non c’è avventura, non c’è divertimento, ma soltanto noia e monotonia.

La vita è cosparsa di ostacoli; il nostro dovere non è quello di evitarli, rifugiandoci nel ‘tanto inciamperai lo stesso’, quanto quello di trovare l’energia per saltarli, di ridefinire i processi mentali per identificarli, di amare l’errore per superare l’ignoto. Dobbiamo valorizzare gli ostacoli perché è grazie ad essi che riusciremo ad addomesticare l’inesplicabile.

Nutriamoci di errori, tutti gli sbagli che possiamo fare, ma non facciamo mai l’errore di non imparare da essi. Sono le lezioni che ci faranno crescere, sono la via per la saggezza, sono i pilastri su cui costruire la casa della nostra consapevolezza, sono la sicurezza di chi ci sta accanto, sono il perdono che ti concedi per diventare una persona migliore.

L’errore è parte integrante della nostra natura, ci accompagna fin dalla nostra nascita. Pensate ai bambini che devono imparare a parlare, camminare, mangiare… riusciranno a fare le cose bene fin dal primo momento? No, mai, ma attraverso gli errori saranno in grado di migliorare. Quale sarà, però, l’atteggiamento di chi ci osserva? Critico o accondiscendente? A voi la risposta.

Stiamo imparando ed è giusto sbagliare. Perché allora, quando cresciamo, questo spirito di benevolenza, che dovrebbe accompagnare chi sta crescendo, non c’è più? Crescendo diventiamo perfetti? No, ma forse chi ci circonda non è tollerante nei confronti dell’errore: vuole che siamo perfetti, vuole che il mondo ci osservi e ci glorifichi. A volte siamo proprio l’oggetto di frustrazioni altrui.

Tutto ciò crea in noi una naturale avversione nei confronti dell’errore: è una reazione, quasi viscerale, che ci fa soffrire.

Proviamo ad andare oltre questo concetto. Perché sbagliamo? Molto probabilmente, anche se purtroppo non sempre, è perché stiamo cercando di fare qualcosa di diverso, stiamo cercando di migliorare attività, processi, comportamenti… ogni tentativo così orientato dovrebbe essere una cosa preziosa, un tentativo di rompere schemi, consuetudini, tradizioni, un tentativo per progredire. Se invece non facessimo nulla del genere, quale potrebbe essere il risultato? L’immobilismo: non si creerebbe nulla di originale, sarebbe come negare il progresso. È per questo motivo che bisogna accettare tutti gli aspetti negativi che ne potranno derivare, in modo da cogliere i vantaggi della crescita che ne seguirà.

Affrontiamo il problema sotto un altro punto di vista. Se l’essere umano non sbagliasse mai, dove potrebbe arrivare? Da nessuna parte. Il fatto di non sbagliare implica l’adozione rigida di regole e comportamenti. Questo fatto ci condurrà sicuramente a ottenere i risultati prefissati. Ma siamo sicuri che questa sia la strategia migliore? Ipotizziamo adesso che un nostro concorrente sia un po’ più morbido nell’applicare le regole e che l’errore sia comunque tollerato. Quando dovesse registrare un errore proverebbe subito a trovare un rimedio, ma potrebbe, anche, scoprire una strada che potrebbe portarlo al risultato in modo più efficace ed efficiente. Perché l’errore non è sempre dovuto a disattenzione, a volte è il tentativo di trovare una strada che ci possa portare al risultato in modo migliore. Pertanto se non dovessimo mai sbagliare ci precluderemmo un percorso di crescita e di miglioramento.

La varia­zione, anche se rara, è l’unica cosa che avanza; mentre la re­gola è una corsa da fermo: per quanti passi fai, sei sempre sullo stesso mattone. Solo con l’errore si progredisce, per­ché porta a qualcosa di diverso.
Pino Aprile

Ciò che potrebbe frenarci è l’idea di andare incontro a qualcosa che non conosciamo e che temiamo di non saper governare. È il ‘nuovo’ che porta con sé un senso di incertezza che non tutti sono in grado di gestire. Ma è l’ineluttabile destino delle persone e delle organizzazioni: voler e dover progredire. Sarà, pertanto, necessario, attrezzarci per saper governare il nuovo, anche, con uno spirito da avventuriero, lo spirito di chi vuole rompere le regole e tracciare la strada per innovazioni.

Purtroppo, a volte, a causa di manager non in grado di interpretare correttamente il proprio ruolo, l’errore non viene accettato. La tipica reazione, che ne potrebbe scaturire, sarà quella di andare a identificare il colpevole. In questo caso l’errore, nel senso di incapacità, da parte del management sarà duplice: non si cercherà di identificare il motivo per cui l’errore è stato commesso, al fine, eventualmente, di valutare le condizioni di un miglioramento; inoltre, ne conseguirà una perdita di tempo per l’identificare, ed eventualmente ‘punire’, il colpevole. In questo caso, si potrebbe rilevare un ulteriore problema dovuto alla demotivazione che ne potrebbe seguire, in relazione al dipendente ed al gruppo, teso e preoccupato nel non commettere altri errori. Se, invece, ci si ponesse la domanda: come si potrebbe rimediare? Vorrebbe dire che l’ambiente è pronto per accettare l’errore e sfrutterà le opportunità che ne potrebbero derivare.

In questo contesto un fattore determinante sarà l’atteggiamento del management: solo il manager che saprà parlare apertamente dei propri errori potrà mostrare a tutti che non si deve fuggire di fronte ad un fallimento e tantomeno nasconderlo. L’accettazione e la capacità di affrontarli apertamente sono i primi elementi che consentiranno di poter apprendere qualcosa da loro. Solamente attraverso un atteggiamento consapevole, aperto e sereno le persone saranno meno timorose e più stimolate a esplorare nuove aree e potranno, così, concorrere al successo dell’organizzazione.

Dovremo imparare a non vedere noi stessi e le nostre organizzazioni come delle entità fragili e neppure come delle entità resilienti che resistono alle turbolenze. Dobbiamo essere, invece, delle entità antifragili, che desiderino, paradossalmente, le deviazioni e non si preoccupino, a priori, dei possibili risultati.

Il mantra di persone e organizzazioni dovrebbe diventare: “L’insuccesso è parte del nostro processo di apprendimento, impariamo a conviverci e a valorizzarlo”.

 

Articolo a cura di Antonio Bassi

Profilo Autore

Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).

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