Prima di iniziare a parlare del paradigma della comunicazione è bene introdurre chi ha schematizzato in modo estremamente semplice ma completo il flusso della comunicazione, forse in modo inconsapevole. Da decenni viene rappresentato in corsi e seminari come il processo che meglio rappresenta l’interazione tra due soggetti che devono scambiarsi informazioni, ovviamente con tutti i limiti del caso poiché non vengono presi in considerazione gli aspetti complementari della comunicazione (ad esempio l’intenzionalità).
Il modello di comunicazione da loro teorizzato, come precedentemente detto, è stato sviluppato nel 1949 quando venne pubblicato l’articolo “La teoria matematica della comunicazione” ed è indicato anche come la “madre di tutti i modelli”. Il modello, inizialmente concepito da Shannon, aveva come obiettivo la definizione di una teoria che rendesse più efficienti i sistemi di comunicazione ed in particolar modo quelli telefonici, partendo degli elementi essenziali della comunicazione: sorgente, ricevente, messaggio, canale, codifica, decodifica. In questo contesto è stato introdotto anche il concetto di “rumore”, inteso come l’interferenza che offusca la percezione del messaggio.
Il modello non fu certamente concepito per le dinamiche comunicative umane ma fu velocemente trasposto per descrivere alcune corrispondenze tra la comunicazione tra apparati e la comunicazione tra soggetti umani. Questa trasposizione si è rapidamente diffusa ed il modello viene ancora oggi utilizzato per definire lo schema generale dei processi comunicativi.
In base al modello sviluppato e rappresentato in figura analizziamo le caratteristiche di ogni singolo componente, nell’ambito di una relazione tra umani:
Nel tempo si è scoperto che a questo modello mancava una componente essenziale, al fine di garantire un buon processo comunicativo: il ‘feedback’, ovvero il prendere consapevolezza che il messaggio sia stato interpretato in modo chiaro. Si deve l’introduzione di questo nuovo componente a Wilbur Schramm. Con Schramm il sistema smette di essere unilaterale e chiuso in se stesso ma si trasforma in un continuum fatto di codifica-decodifica-interpretazione. Il feedback introduce un percorso analogo a quello comunicativo, ma in direzione opposta, che arricchisce continuamente la comunicazione e permette una comprensione reciproca con un continuo scambio di messaggi, significati e punti di vista che produrranno nuovi scenari e nuove possibilità. Il feedback, tra le altre cose, consente di interpretare, se non espressamente dichiarato, il grado di attenzione e di interesse di chi ci sta davanti. Ciò può avvenire mediante meccanismi di indagine, quali le domande che l’insegnante fa all’allievo, o di osservazione della postura, quali i segnali che denotano distrazione, come leggere sul cellulare, parlare con il vicino, etc…. Queste informazioni devono servire per comprendere la propria capacità o incapacità comunicativa al fine di intervenire prontamente con differenti strategie e suscitare maggior interesse: proporre degli esercizi in classe, raccontare un aneddoto, una barzelletta, etc…
Se correttamente compreso e applicato, questo modello può fornire innumerevoli spunti per migliorare le capacità comunicative.
Articolo a cura di Antonio Bassi
Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).
Autore dei libri:
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