Come gestire il passaggio generazionale – l’importanza della corretta gestione degli aspetti psicologici

Di seguito tratteremo il problema del passaggio generazionale da un punto di vista psicologico. Com’è facilmente intuibile, infatti, nel gestire al meglio la successione gli aspetti tecnici e razionali sono sicuramente molto importanti, ma lo sono altrettanto quelli emotivi o irrazionali: ho ritenuto quindi imprescindibile un’analisi ad hoc anche su quest’ultimi temi, da parte di uno psicologo (Pier Christian Verde).

Talvolta gli aspetti emotivi entrano in campo in maniera violenta e non facilmente prevedibile, qualora abbiano a che fare con ripicche e risentimenti che affondano nel passato famigliare e nei difficili e precari equilibri. Questo succede soprattutto quando ci sono diversi figli che ambiscono allo scettro del comando dell’azienda.

L’intento del presente articolo è quello di proporre una teoria per i momenti di passaggio e di crisi, una teoria che descriva i diversi contesti (sociali, individuali e economici) in cui si può verificare un passaggio o una crisi, negli aspetti psicologici e antropologici. Avere una teoria è, per contrasto, la cosa più pratica proprio per affrontare il cambiamento che caratterizza la vita degli individui e dei sistemi di individui (ad esempio sistemi produttivi o culturali). Avere una teoria del cambiamento e della crisi produce proprio una maggiore capacità di affrontare questi fenomeni dell’esistenza e spesso permette di prevedere e gestire i passaggi e le trasformazioni che ne conseguono, ottenendo un migliore adattamento e aumentando le possibilità di sopravvivenza. Maggiore è la plasticità e la flessibilità, più gestibili saranno le trasformazioni e, dunque, maggiore sarà l’adattamento a situazioni mutevoli. La rigidità agisce, invece, come una resistenza al cambiamento e genera più facilmente disorientamento laddove urga una trasformazione, come – per esempio – nei passaggi generazionali.

La proposta in questione è una proposta teorica che possa funzionare come uno strumento di comprensione delle fasi di difficoltà, cambiamento e trasformazione; che si caratterizzano – forse tutte – per due aspetti fondamentali: l’incertezza dell’esito e una misura variabile, non sempre prevedibile, di ansia e preoccupazione.

Rappresentazione degli scenari futuri

Partiamo da una questione apparentemente legata all’individuo, ovvero la rappresentazione di Sé. Solo apparentemente la questione è di natura prettamente individuale perché, in realtà, l’individuo si definisce come tale solo in interazione con il contesto (altri individui o elementi diversi da sé nel contesto in cui egli esiste). È nell’interazione tra individui o sistemi che si definiscono l’identità e il pensiero, così come i progetti di vita e la coerenza dell’identità, sia di una persona, sia di una organizzazione sociale o di una azienda.

Per quanto riguarda l’identità aziendale, essa è data dalla sua storia, con le sue componenti economiche, produttive e umane. Si sviluppa spontaneamente col tempo una storia, una narrazione che definisce i confini dell’identità sulla base delle interazioni e della rappresentazione stessa di quel soggetto, organizzazione o azienda. È il racconto, più o meno coerente, con cui si definiscono eventi e persone; quel racconto ci serve per conoscere chi e cosa abbiamo di fronte.

Quando un Temporary Manager raccoglie informazioni in un’azienda, egli ascolta e trascrive quel racconto traendone dati per il suo intervento. Per questo la raccolta dati è il passo fondamentale di un intervento, passo che ci permette di pianificarlo e di guardarlo come una vitale sperimentazione. Quando interveniamo in un contesto individuale, sovraindividuale o aziendale lavoriamo con le narrazioni e costruiamo un rapporto per crearne di nuove nella prospettiva futura. Interveniamo così sulle aspettative e sulla matrice che le ha generate e le genera continuamente. Dobbiamo conoscere la storia per visualizzare il futuro e programmare al meglio il nostro intervento di Temporary Manager.

La rappresentazione di sé stessi o della propria azienda nel futuro agisce come un core organizzativo, cioè un fulcro intorno a cui ruotano decisioni e azioni. La rappresentazione di sè costituisce perno fondamentale e principale del comportamento decisionale e motivazionale (decision making). Insomma la rappresentazione delle “cose” nel futuro, in base all’idea di noi stessi o della nostra azienda nel tempo, la rappresentazione della forma e della continuità nel futuro condizionano dunque l’atto di decidere, in modo da restare sé stessi, non smarrire l’identità seppur trasformandosi.

Stiamo parlando, dunque, di come mantenere la propria coerenza senza irrigidirsi, pur adattandoci a contesti mutevoli e diversi, pur trasformandoci conservando coerentemente la nostra identità. Analizzeremo, perciò come ci si adatta a sopravvivere, rimanendo sè stessi eppure trasformandoci.

In particolare, la domanda di fondo diventa: «può un’azienda rimanere “sé stessa” dopo un passaggio generazionale? Possiamo visualizzare la sua forma nel futuro?».

Il concetto di trasformazione contiene in sé la possibilità, se non la certezza, della crisi come rischio definitivo. Ma contiene anche, se non soprattutto, la prospettiva dell’opportunità di un cambiamento, necessario all’adattamento a nuove situazioni (per esempio di mercato) e a diversi contesti (di relazioni o di mercati). Dobbiamo pensare dunque che, stante la paura, ogni crisi può essere un’opportunità. Anche il passaggio generazionale, seppur avvertito come crisi, può essere un’opportunità: bisogna lavorare perché lo sia.

In riferimento al passaggio generazionale, potremmo dire che: ciò che sono oggi organizza ciò che deciderò e ciò che vorrò fare, in base ad una idea di me nel futuro o della mia azienda senza di me.

Riguardo ai passaggi generazionali, come ai passaggi culturali ed economici che spesso coincidono, questo concetto di idea del futuro trainante le decisioni del presente, può essere trasferito senza stravolgimenti su un’impresa in termini di strategie, ad esempio, di programmazione rispetto all’organizzazione del lavoro e di adattamento rispetto alla formazione ed alla crescita del candidato alla successione. Per esempio è interessante e proficuo chiedere come un imprenditore veda la sua azienda tra 5 o 10 anni, quale scenario immagini ora per allora. Raccogliere questi dati e confrontarli lungo tutta la propria esperienza di manager può generare una sorta di “statistica interna”, molto utile al proprio lavoro e molto condivisibile con il committente.

Gli studi di psicologia ci dicono che, più che l’immagine del passato, è la rappresentazione del nostro futuro che può guidarci nella programmazione per affrontare le possibili crisi e trasformazioni. In tal senso, piuttosto, il passato ci appare una risorsa da cui estrarre selettivamente delle soluzioni[1]. Dunque la visione delle cose e di sé stessi proiettati nel futuro, assume fondamentale importanza per il presente e per la gestione delle proprie azioni ed emozioni nel presente stesso. Anche in relazione all’atto di programmazione del futuro.

L’adattamento, ovvero la sopravvivenza dell’identità nel tempo (sia essa identità culturale o antropologica; individuale o di appartenenza; aziendale o famigliare), funziona anche in base ad un rappresentazione del futuro che si sia confermata e stabilizzata, nel senso che è importante riconoscere se nel passato le previsioni operate abbiano più o meno funzionato.

Riassumendo, sosteniamo che: una buona previsione dello scenario futuro, unita ad una discreta plasticità, garantisce la sopravvivenza nel tempo. Ugualmente, se un’azienda è restata in gioco e si è accresciuta nel tempo, possiamo ben ipotizzare che la previsione degli scenari futuri potrebbe aver funzionato e non che sia stato il “caso” a garantire sopravvivenza e sviluppo.

[1] Ovviamente il passato si compone anche di accadimenti non registrati consapevolmente e, quindi, di diversa “estrazione” nei processi di recupero della memoria.

Video intervista: https://vimeo.com/258244978

Link utile: http://www.passaggiogenerazionale.info/metodo-4p/

Fonte: “Come gestire il passaggio generazionale nelle PMI italiane” di Gian Andrea Oberegelsbacher & Leading Network, Wolters Kluwer Italia (Ipsoa) 2017

A cura di: Gian Andrea Oberegelsbacher

Profilo Autore

Gian Andrea Oberegelsbacher, nato a Verona nel 1964, dal 2005 nella veste di Executive Temporary Manager, può contare su 25 anni di esperienza a livello direttivo, in multinazionali statunitensi e tedesche, come Gore-Tex® e Quelle Schikedanz Group; è stato Amministratore Delegato di Air Machine e di Zippo Fashion Italia. Manager dal taglio operativo, esperto nel "far succedere le cose", nella gestione del cambiamento, in start-up di nuovi business ed in M&A, in implementazione strategica di business esistenti e in ottimizzazione, riorganizzazione e rilancio aziendale, anche in veste di Consigliere indipendente nei C.d.A. in situazioni delicate, conflittuali o con passaggi generazionali in fieri. Dal 2010 è Vice-presidente di Leading Network, dal 2003 al 2005 è stato Consigliere di A.I.M.P.E.S. (Associazione Italiana dei Produttori di Pelletteria e Succedanei); è socio fondatore di Studio Temporary Manager e di Leading Business School.

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