Passaggio generazionale, aspetti giuridici sulla donazione o trasferimento dell’azienda

Il “passaggio generazionale” non deve essere considerato come un momento della vita dell’impresa, bensì come un processo idoneo a garantire la successione della stessa sia inter vivos che mortis causa.

Le fattispecie giuridiche che potrebbero essere interessate da tale processo sono molte e comprendono sia le ipotesi di trasferimento dell’azienda, sia le ipotesi di trasferimento delle partecipazioni societarie.

Una particolare attenzione verrà dedicata ai patti di famiglia, cioè la specifica legislazione inserita nel nostro ordinamento civilistico (Legge 55/2006) proprio per consentire il passaggio generazionale.

Il Testo unico delle imposte sui Redditi prevede il regime di neutralità (art. 58, 1 c.) in virtù del quale “il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa”.

È necessario subito evidenziare che, nel caso di donazione del complesso aziendale, non si è in presenza di una esenzione da imposta, ma solo in un rinvio di imposizione. Inoltre alla neutralità del trasferimento potrebbe accompagnarsi il realizzo di una diversa fattispecie impositiva.

In primo luogo, occorre chiarire che il regime di neutralità riguarda la posizione del donante, ossia dell’imprenditore che dona un’azienda con plusvalenze latenti.

Tale operazione, infatti, in base all’art. 86, 1 c., Tuir, realizzerebbe, in assenza della norma di cui all’art. 58, Tuir, una fattispecie di “destinazione a finalità estranee”, con conseguente emersione e quindi tassazione di dette plusvalenze, quali componenti del reddito di impresa dell’imprenditore donante.

Pertanto, scopo della disposizione dell’art. 58, 1 c. del Tuir, è quello di evitare che l’imprenditore donante non sia gravato di ulteriore peso impositivo qualora intenda, in modo non oneroso, attuare il passaggio generazionale d’impresa.

Donatario non imprenditore, considerazioni fiscali

Può esserci il caso in cui il donatario non sia un imprenditore (e neppure lo divenga a seguito della donazione di azienda), ma una persona fisica che riceve in donazione l’azienda per poi rivenderla, senza esercitare l’attività di impresa.

In questo caso come operare la regola della continuità dei valori fiscali?

In linea generale, una persona fisica non imprenditore che cede un complesso aziendale, ricevuto per donazione, non dovrebbe generare alcuna fattispecie impositiva e, conseguentemente, la previsione normativa di cui all’art. 58, 1 c. del Tuir si trasformerebbe in esenzione d’imposta vera e propria. Nella realtà il legislatore, al fine di impedire il verificarsi di tale fattispecie, ha introdotto, all’interno del Tuir, l’art. 67, 1 c. che prevede la tassazione, quali redditi diversi, delle plusvalenze realizzate da persone fisiche a seguito di “cessione anche parziale” di aziende acquisite ai sensi dell’art. 58.

Donatario imprenditore, considerazioni fiscali

Nel caso di donatario imprenditore è necessario sicuramente maggiore cautela in quanto, in base alle regole del reddito di impresa, più precisamente ai sensi dell’art. 88 c. 3 del Tuir, le liberalità ricevute nell’esercizio dell’impresa costituiscono sopravvenienze attive.

Ciò significa che, nel periodo di imposta in cui la donazione viene effettuata, l’imprenditore donatario dovrà sopportare un carico fiscale particolarmente gravoso dovuto al fatto che, da una parte, per effetto della regola della “continuità dei valori” di cui all’art. 58, 1 c. del Tuir, prenderà in carico l’azienda a “valori storici”, mentre dall’altra, dovrà rilevare un maggior ricavo pari al valore normale dell’azienda ricevuta.

Le conseguenze del passaggio generazionale sui rapporti di lavoro, considerazioni giuslavoristiche.

Dal punto di vista normativo, in specie del diritto del lavoro, il fenomeno del passaggio generazionale di un’azienda è disciplinato principalmente sotto l’aspetto del mutamento della titolarità dell’attività economica organizzata e, dunque, della successione nella titolarità dei rapporti di lavoro in essere.

Qualunque sia lo strumento giuridico scelto per l’attuazione di tale passaggio (come abbiamo visto, trasferimento per cessione dell’intera azienda o di un suo ramo, ma anche incorporazione di altra attività, fusione, affitto d’azienda, scissione, successione ereditaria ed usufrutto), infatti, in ogni caso ad esso consegue la modifica della titolarità dei rapporti di lavoro dal lato datoriale. Rimangono esclusi da tale automatico effetto i casi di cessione di pacchetto azionario (anche se di controllo), nei quali, pur modificandosi la compagine sociale, non vi è modifica della titolarità del rapporto di lavoro (Cass. Civ. n. 6131 del 12.03.2013 e Cass. Civ. n. 9251 del 18.04.2007).

Merita precisare sin da ora che per trasferimento d’azienda si deve intendere qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata (con o senza scopo di lucro) preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda.

Alla modifica della titolarità del rapporto di lavoro, dobbiamo fare riferimento in particolar modo all’art. 2112 del codice civile, così come modificato ed integrato nel tempo dall’art. 47 L. 428/90, dal D.Lgs. 18/2001 e dall’art 32 D.Lgs. 276/20003.

L’art. 2112 c.c., nella sua attuale formulazione, al primo e secondo comma prevede che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continui con il cessionario ed il lavoratore conservi tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario, inoltre, sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, tuttavia quest’ultimo può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro (seguendo le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.).

Ad ulteriore garanzia dei diritti dei lavoratori “trasferiti”, il cessionario è tenuto ad applicare ai lavoratori i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali, vigenti alla data del trasferimento fino alla loro scadenza, salvo che essi vengano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario (l’effetto di sostituzione, in ogni caso, si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello, art. 2112, co. 3 c.c.).

Inoltre, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Simmetricamente, non è nemmeno riconosciuta al lavoratore la possibilità di opporsi o contrattare il trasferimento.

Al lavoratore, però, è riconosciuta la facoltà di esercitare il recesso e, più in particolare, in caso di sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda può rassegnare le proprie dimissioni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2119, co. 1 c.c.[1] (art. 2112, co. 4 c.c.).

L’art. 47 L. 428/90, poi, prevede una procedura da seguire ogni qual volta in un’azienda con più di 15 dipendenti (apprendisti e co.co.co./co.co.pro. esclusi, lavoratori con contratti part-time conteggiati in proporzione all’orario di lavoro eseguito) ponga in essere un’operazione straordinaria, quale la cessione totale/parziale: trattasi, in sostanza, di una informazione preventiva alle organizzazioni sindacali interne, RSU o RSA, o, in assenza di queste, alle organizzazioni sindacali esterne firmatarie del CCNL applicato. totale/parziale: trattasi, in sostanza, di una informazione preventiva alle organizzazioni sindacali interne, RSU o RSA, o, in assenza di queste, alle organizzazioni sindacali esterne firmatarie del CCNL applicato.

Detta procedura prevede una comunicazione, con data certa a firma congiunta di cedente e cessionario in cui vengono riportate in modo chiaro le informazioni inerenti la materia del lavoro: la data prevista del trasferimento, i motivi del trasferimento, le conseguenze economiche giuridiche, nonché sociali, per i dipendenti ed, infine, le eventuali misure previste.

Il Ministero del Lavoro con nota del 21.05.2001 n. 5/26570/70 ha ulteriormente precisato che l’obbligo di informazione deve essere inviato almeno 25 giorni prima dell’atto vincolante fra le parti.

Il mancato rispetto puntuale della procedura costituisce condotta antisindacale, con le note conseguenze previste dall’art. 28 L. 300/70. Più in particolare, sulle conseguenze di detta inosservanza, la giurisprudenza si divide in due orientamenti: un primo, più restrittivo e datato, prevede la nullità dell’atto di trasferimento, mentre il secondo, più recente, riconosce piena validità all’atto ma sanziona il comportamento antisindacale in base al citato art. 28.

L’intera procedura descritta deve esaurirsi nei 10 giorni successivi all’inizio delle consultazioni, che siano richieste entro 7 giorni dalla comunicazione iniziale di cedente e cessionario. Trascorsi tali termini l’esame s’intende esaurito e l’azienda può procedere senza ulteriori indugi.

Procedure obbligatorie di consultazione sindacale.

Inoltre, su richiesta delle organizzazioni sindacali il cedente ed il cessionario sono tenuti ad un incontro informativo circa i motivi e le conseguenze dell’operazione in corso. Se pur non previsto quale obbligo, si ritiene di consigliare la verbalizzazione di tale incontro a dimostrazione dell’avvenuta consultazione.

 

Video intervista: https://vimeo.com/258244978

Link utile: http://www.passaggiogenerazionale.info/metodo-4p/

Fonte: “Come gestire il passaggio generazionale nelle PMI italiane” di Gian Andrea Oberegelsbacher & Leading Network, Wolters Kluwer Italia (Ipsoa) 2017

 

A cura di: Gian Andrea Oberegelsbacher

Profilo Autore

Gian Andrea Oberegelsbacher, nato a Verona nel 1964, dal 2005 nella veste di Executive Temporary Manager, può contare su 25 anni di esperienza a livello direttivo, in multinazionali statunitensi e tedesche, come Gore-Tex® e Quelle Schikedanz Group; è stato Amministratore Delegato di Air Machine e di Zippo Fashion Italia. Manager dal taglio operativo, esperto nel "far succedere le cose", nella gestione del cambiamento, in start-up di nuovi business ed in M&A, in implementazione strategica di business esistenti e in ottimizzazione, riorganizzazione e rilancio aziendale, anche in veste di Consigliere indipendente nei C.d.A. in situazioni delicate, conflittuali o con passaggi generazionali in fieri. Dal 2010 è Vice-presidente di Leading Network, dal 2003 al 2005 è stato Consigliere di A.I.M.P.E.S. (Associazione Italiana dei Produttori di Pelletteria e Succedanei); è socio fondatore di Studio Temporary Manager e di Leading Business School.

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