The “Great Resignation”: fenomeno epocale o normale avvicendamento nel mercato del lavoro?

Il termine, coniato la prima volta nel 2021 negli USA da Anthony Klotz, professore di Management alla Mays business School della Texas A&M University, descrive il fenomeno, verificatosi negli Stati Uniti, delle grandi dimissioni o dimissioni «di massa».

Le dimissioni volontarie negli USA, a partire dal 2021, ha riguardato più di 4 milioni di lavoratori. Il fenomeno si è esteso in tutta Europa, con numeri diversi e ha raggiunto anche l’Italia.

Si tratta davvero di un fenomeno così rilevante? Quali sono i motivi che l’hanno scatenato? Quali caratteristiche hanno i «Quitters»?

Forse è opportuno analizzare il fenomeno nella sua complessità, anche per sfatare i miti che lo accompagnano.

Secondo i dati del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, ad agosto 2021 è stato raggiunto il valore record di 4,6 milioni di americani che hanno lasciato volontariamente il lavoro.

Una ricerca di McKinsey, pubblicata a Settembre 2021, che ha coinvolto quasi 6mila persone in età lavorativa di Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti, ha rilevato che il 36% di chi si era dimesso nei 6 mesi precedenti non aveva ancora in mano un nuovo lavoro.

E ancora a novembre 2021, il numero di lavoratori americani che si è volontariamente dimesso ha raggiunto i 5 milioni, registrandosi così un trend costante nel verificarsi del fenomeno.

Se ci limitassimo a esaminare questi dati potremmo qualificare come «epocale» quel che sta succedendo negli USA e dovremmo leggerlo nell’ottica della «fuga dal lavoro», più che inquadrarlo nella dinamica fisiologica della ricollocazione dei lavoratori all’interno del mercato del lavoro (cambio lavoro).

Tuttavia, se analizziamo il fenomeno in un arco temporale di più lungo periodo (2000-2021), ne deriva una lettura parzialmente diversa.

Se analizziamo i dati ricavati dai rapporti del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti sull’andamento delle dimissioni negli USA nel ventennio 2000-2021 notiamo come, pur essendo ciclico, il trend sia abbastanza regolare. Non si tratta quindi di un fenomeno, quello delle dimissioni volontarie, verificatosi nell’ultimo periodo, ma era già presente nel corso della storia americana degli ultimi 20 anni.

Dati e grafici elaborati da Massimo Ghetti e pubblicati su Linkedin il 01/02/2022

Anche il dato puntuale dei lavoratori che si sono dimessi negli ultimi 4 anni (quindi pre e post Pandemia) negli USA non diverge in maniera sensibile: 43,3M nel 2018, 45.5M nel 2019, 40.0M nel 2020 e 48.8M nel 2021.

In Italia la situazione è parzialmente diversa da quella degli Stati Uniti.

Il fenomeno, sicuramente ereditato da Oltreoceano, da noi ha avuto dimensioni minori.

Nell’ultimo trimestre del 2021 il tasso di dimissioni (n° dimessi/n° totale di lavoratori) in Italia ha superato il 3% (numero che, seppure molto alto, rappresenta un terzo di quello verificatosi negli USA).

Secondo i dati del Censis, nei primi nove mesi del 2021 si sono registrate 1.362.000 dimissioni volontarie in Italia, con un incremento del 29,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. Tuttavia è necessario ricordare che il 2020, causa incertezza dovuta al periodo pandemico, è stato un anno nel quale la mobilità tra i lavoratori si è assolutamente ridotta e, di conseguenza, il raffronto deve tener conto di questa peculiarità.

Se raffrontiamo il dato a consuntivo 2021 con quello del 2019 (fonte: Rapporto annuale del 2022 sulle comunicazioni obbligatorie inoltrate dai datori di lavoro) notiamo come i contratti di lavoro cessati per dimissioni volontarie sono passati da 1.839.747 nel 2019 a 2.045.200 nel 2021, facendo registrare una crescita dell’11,6%. Tale aumento, con tutta probabilità, tiene conto anche di una percentuale «ritardata» di dimissioni previste nel 2020 che in realtà, causa Pandemia, potrebbero essersi poi realizzate nel 2021, andando a relativizzare ulteriormente l’aumento registrato nel 2021 rispetto al 2019.

Nei primi sei mesi del 2022 l’Osservatorio sul Precariato dell’’INPS ha registrato 1.080.245 dimissioni dal lavoro, con un aumento del 31,73% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Possiamo quindi concludere dicendo che in Italia il fenomeno delle «Grandi Dimissioni» è senz’altro presente ma ha numeri diversi da quanto accade negli USA .

Ma quali sono le motivazioni che sono alla base della «Great Resignation»?

Gli interpreti hanno elencato diverse cause che sarebbero all’origine del fenomeno, probabilmente tutte esatte ma nessuna sufficiente a spiegarlo in maniera compiuta.

Vediamo in dettaglio i due motivi più «gettonati» a livello interpretativo.

La pandemia e il lockdown?

La tesi secondo la quale, durante il periodo di lockdown forzato causa Pandemia, i lavoratori, lontano dal luogo di lavoro, avrebbero potuto sperimentare un migliore «work/life balance» e non sarebbero più disposti a tornare indietro, non è suffragato dai numeri sopra visti. Infatti il numero delle dimissioni negli USA ha avuto un trend costante nell’ultimo ventennio, con un aumento sicuramente verificatosi dal 2021 in avanti ma non così estraneo alla dinamica fisiologica della mobilità del lavoro.

Dobbiamo anche «ricordarci» che il periodo di inattività forzata causa lockdown ha creato non pochi disagi anche in ambito lavorativo, per chi ha dovuto ricorrere allo smartworking completo, senza possibilità di vivere, almeno in parte, le dinamiche aziendali in presenza.

La «fuga» dal lavoro dei giovani?

Alcuni analisti si spingono oltre, affermando che le nuove generazioni (la c.d. «Generazione Z», ossia i nati tra il 1996 e il 2010 e quella precedente, i c.d. «Millennials», nati tra il 1981 e il 1995) hanno valori diversi dai loro predecessori. Mettono al centro la qualità della vita e non accettano più, come invece facevano c.d. «baby Boomers» e la «Generazione X», di sacrificare la vita personale a quella lavorativa.

Un lavoro ben retribuito, la carriera a tutti i costi, insomma la c.d. «hustle culture» (permeata dall’idea secondo la quale dedicare più ore possibili al lavoro è un «must») non apparterrebbe più ai «giovani moderni», i quali, definiti «Yolo Generation» (Yolo = You Only Live One), si spingerebbero perfino a rimanere senza lavoro pur di vivere una vita più equilibrata.

Per capire se questa tesi è suffragata dai numeri, analizziamo le caratteristiche dei c.d. «Quitters» nel nostro Paese (età, sesso, titolo di studio), prendendo le mosse dai dati estratti da «Lavoce.info» (articolo del 24/01/2022) su un campione rappresentativo di comunicazioni obbligatorie rilasciato dal Ministero del Lavoro per motivi di ricerca, ora aggiornato fino al terzo trimestre del 2021.

«Lavoce.info» (articolo del 24/01/2022)

La tesi del cambio di stile di vita dei lavoratori non viene suffragata.

Infatti la tipologia di lavoratori che ha lasciato il posto di lavoro non è formata solamente dai giovani della «Generazione Z» o dai «Millennials» ma è più equamente distribuita tra i 15 e i 60 anni.

Si tratta principalmente di uomini, in possesso di un titolo di studio almeno di scuola superiore.

E inoltre possiamo veramente parlare di «fuga dal lavoro» per dedicarsi ad altro?

Qui ci vengono in soccorsi ancora i dati tratti dai rapporti del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, in tema di raffronto tra il trend di presentazione delle dimissioni nel periodo pandemico e il contestuale andamento delle assunzioni:

Dati e grafici elaborati da massimo Ghetti e pubblicati su Linkedin il 01/02/2022

Lo schema restituisce un dato che può apparire sorprendente: a parte il picco di assunzioni immediatamente successivo alla fase acuta di licenziamenti, il trend delle dimissioni e quello delle assunzioni negli USA è stato molto simile.

Se ne deduce che i lavoratori americani, pur in un mercato del lavoro sicuramente più flessibile di quello italiano, non hanno lasciato il posto di lavoro «al buio», con lo scopo di smettere di lavorare e cambiare vita ma, al contrario, lo hanno fatto quando avevano la certezza di averne trovato un altro!

Considerato che a marzo 2022 la disoccupazione in Italia è stata pari all’8,3% e negli Usa al 3,6%, pur in assenza di dati specifici in merito, non possiamo che ipotizzare che la stessa cosa sia avvenuta anche nel nostro Paese.

Altrochè niente più voglia di lavorare! Si cambia lavoro, nella maggior parte dei casi, nel caso in cui se ne abbia un altro!

Da ultimo dobbiamo segnalare che il fenomeno della “Great Resignation” è continuato per tutto il 2022.

Gli ultimi dati infatti parlano di oltre 8 milioni di persone che, negli Stati Uniti, hanno lasciato il lavoro tra novembre e dicembre del 2022.

E, in Italia, nei primi nove mesi del 2022 le dimissioni volontarie dal lavoro sono state 1,66 milioni.

Se i motivi della «Great Resignation» non sembrano, però, essere quelli più comunemente addotti dall’interpretazione comune – valutazioni post-pandemie e «fuga dal lavoro» dei giovani – come possiamo allora spiegare il fenomeno che, seppure in Italia abbia avuto numeri più contenuti degli USA, sicuramente ha coinvolto anche il nostro Paese?

La risposta certa non l’abbiamo. Probabilmente le motivazioni sono molteplici e variegate.

Possiamo però, in conclusione, farci alcune semplici domande e provare a dare le risposte:

  • Come è cambiato il modo di lavorare negli ultimi anni? E’ più organizzato o più frenetico?
  • I manager che gestiscono le risorse sono più tutor/coach che favoriscono la loro crescita o capi gerarchici che impongono attività e ne valutano solo i risultati?
  • In alcuni settori – es. quelli della consulenza informatica, dell’edilizia, della ristorazione – si lavora con ritmi adeguati oppure c’è il rischio di «burnout»?
  • Le tecnologie digitali aiutano la flessibilità del lavoro o la connessione continua favorisce il «burnout»?
  • Le retribuzioni sono adeguate alle nuove caratteristiche che ha assunto l’impegno lavorativo?
  • E’ possibile acquisire ruoli crescenti di responsabilità in Azienda oppure la crescita è impossibile?
  • Le persone sono davvero coinvolte, «ingaggiate», nel lavoro oppure si sentono ai margini dell’attività?

Tutti quesiti all’interno dei quali, probabilmente, possiamo trovare le risposte che cerchiamo.

Articolo a cura di Franco Maruccio

Profilo Autore

Laureato in Giurisprudenza, con Master in Human Resources Management, ricopre attualmente il ruolo di Human Resources Manager presso Editoriale Domus S.p.A., occupandosi di ricerca e selezione del personale, contrattualistica aziendale, gestione dei rapporti di lavoro, contenzioso e relazioni sindacali.
In precedenza, dopo aver svolto la mansione di Funzionario dei Servizi Sindacali presso l’Unione del Commercio, Turismo e Servizi della Provincia di Milano, ha lavorato presso Beta Utensili S.p.A., in qualità di Gestore del personale di Stabilimento.

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