Management by Objectives – Il valore degli obiettivi

Peter Drucker nel 1954 teorizzò il Management by Objectives quale strumento per l’assegnazione degli obiettivi alle risorse e per la valutazione delle loro performance. La cosa che stupisce è la differente applicazione che è stata data a questo metodo. In America, ad esempio, è stato sviluppato come metodo attraverso cui l’organizzazione definisce i propri obiettivi e, successivamente, le risorse definiscono i propri, con l’assunto che siano allineati con gli obiettivi dell’organizzazione. In Italia, invece, l’applicazione non è sempre stata in linea con la definizione originale. Possiamo dire, però, che recentemente si è finalmente iniziato ad attribuirne il significato originale, benché molto debba essere ancora fatto. La declinazione è stata l’attribuzione degli obiettivi organizzativi alle risorse, senza che da parte loro sia stata fatta una valutazione personale. Come pensiamo di poter ottenere da parte delle persone il perseguimento degli obiettivi dell’organizzazione se questi vengono semplicemente imposti? Ricordiamoci che uno dei fattori fondamentali di definizione degli obiettivi, che troviamo anche nell’acronimo S.M.A.R.T., è che debbano essere ‘rilevanti’ per la persona. L’obiettivo è qualcosa di personale, è qualcosa che motiva l’individuo nel raggiungere determinati risultati. Dedicherà tempo e passione al risultato perché sente che il suo raggiungimento è importante per ‘Sé’. Come possiamo allora pretendere che gli obiettivi imposti possano garantire questo tipo di motivazione? Più corretta è la declinazione iniziale, in cui le persone in base agli obiettivi organizzativi, identificano i propri. Perché saranno i ‘Loro’ obiettivi e non gli obiettivi di qualcun altro.

Ci addentreremo successivamente nell’aspetto psicologico della definizione personale degli obiettivi. Soffermiamoci ora su quelli che potrebbero essere i risultati derivanti dalla valutazione. Tipicamente, la soddisfazione degli obiettivi ha quasi sempre portato ad un beneficio economico e, in qualche caso, a un incremento di carriera. La cosa che le organizzazioni continuano a fare, sbagliando, è attribuire all’aspetto economico il maggior elemento di motivazione delle risorse. Nulla di più sbagliato risiede in questo concetto. Senza dover scomodare chi ha teorizzato sulla motivazione delle persone, vediamo quello che le persone effettivamente pensano del contributo economico quale fattore motivazionale. Traendo spunto da varie statistiche che si possono tranquillamente trovare in rete (semanticscholar.org, theseus.fi, …), noteremo che le persone attribuiscono una percentuale di circa il 7% al riconoscimento economico quale fattore di motivazione, preferendo ad esso fattori quali: lavoro stimolante, relazioni, riconoscimenti, crescita professionale. Perché allora si insiste sempre sul riconoscimento economico? Perché certamente è molto più semplice, non c’è bisogno di provare a conoscere le persone al fine di identificare i fattori motivazionali di ciascuno. Questo perché per motivare le persone c’è bisogno di dedicare del tempo a ciascuna di esse al fine di definire quei fattori che siano specifici per ciascuno. In una società in cui tutto scorre velocemente non ci si rende conto di ciò che è importante. Per un’azienda cosa è più importante delle persone? Senza la capacità di gestire le persone, quali risultati si pensa possano essere ottenuti? Si deve sempre partire dalle persone. Si deve fare in modo che siano motivate al fine di poter ottenere i migliori risultati. Come possiamo pensare di ottenere questo risultato se non prendendoci del tempo per conoscerle? È qualcosa a cui i manager non sempre sono abituati. Si dovrà investire nella capacità di gestione e valutazione delle persone prima ancora della conduzione delle più tradizionali attività manageriali per la conduzione del business. Non potranno esserci risultati sui secondi se non investiamo nei primi.

Bisogna stare molto attenti ai rischi dovuti al loop negativo che ne potrebbe scaturire. Se la persona non è motivata a perseguire gli obiettivi imposti otterrà, come risultato, una valutazione non in linea con le proprie aspettative. A fronte di questa motivazione possiamo pensare che le persone possano successivamente essere motivate ad ottenere dei risultati migliori? Bisogna radicalmente ripensare i sistemi di valutazione all’interno delle organizzazioni al fine di fornire le giuste motivazioni e valutazioni a tutto il personale.

Un altro tema di strategica rilevanza è la modalità attraverso cui le persone vengono valutate. In questo caso si hanno due ordini di problemi. La definizione in termini oggettivi degli obiettivi ed i criteri di valutazione e ricompensa. Gli obiettivi, lo sappiamo, devono essere definiti in termini oggettivi e non soggettivi.

Riscontriamo, comunque, in molti casi una definizione tipicamente non oggettiva. Questo cosa può comportare? Una valutazione che potrebbe non rispecchiare le reali performance delle persone a causa di problemi tra valutato e valutatore o di un responsabile che cambia, arrivando così ad avere una scala di valutazione differente o un sistema di valutazione non omogeneo all’interno della stessa organizzazione. Professionalmente – ed eticamente – le organizzazioni dovrebbero tendere a fornire delle valutazioni espresse in termini oggettivi in modo tale che le persone possano sapere già anticipatamente quelli che saranno i loro risultati. Relativamente al criterio di valutazione si registra un uso della curva gaussiana (ora anche per la valutazione universitaria). Questa valutazione, tendenzialmente, comporta l’identificazione di una percentuale sufficientemente ampia di dipendenti in una fascia di buona performance e altre, più ristrette, per le eccellenze e per le persone low-performer. Domandiamoci ora cosa potrebbe succedere alle persone che lavorano in un’organizzazione, caratterizzata da un basso turnover e da risultati quasi tutti centrati nella fascia di buone performance. In tal caso ci si troverà a dover ‘spostare’ delle persone per andare a ricoprire la casella dei low-performer, assumendo di non aver problemi ad identificare le persone con ottimi risultati. Questo spostamento generalmente avverrà senza nessuna regola, poiché se ci fossero delle buone regole di valutazione e specialmente se ci fosse un’effettiva valutazione oggettiva dei risultati forse non ci si troverebbe in questa situazione. Valutiamo invece l’aspetto emotivo delle persone convinte di aver svolto correttamente il loro incarico, che si trovano con una valutazione non adeguata (da non confondere con aspettative non corrisposte da corrette valutazioni, che meriterebbero un caso a parte). La tipica sensazione sarebbe quella di frustrazione, di demotivazione e di astio nei confronti di un’organizzazione che non è in grado di valutare correttamente le persone. In tale circostanza si corre il rischio di perdere validi collaboratori e quindi, di conseguenza, una buona parte del capitale conoscitivo dell’organizzazione, fatto di esperienza, competenze e conoscenze.

Le organizzazioni dovrebbero fare una seria analisi della loro capacità di gestire le performance del personale al fine di valorizzarlo e trattenerlo, con la consapevolezza che il valore dell’organizzazione è fatto proprio da quelle stesse persone.
Dovrebbero, altresì, impegnarsi a porre le persone ‘al centro’, riconoscendo loro il valore dei risultati dell’organizzazione come risultato del loro personale impegno, della loro creatività e della loro dedizione.

 

Articolo a cura di Antonio Bassi

Profilo Autore

Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).

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