La persona al centro

Chi è la persona in un contesto organizzativo? È un individuo fatto di competenze, esperienze, conoscenze, passione, innovazione, creatività, relazioni e potenzialità. È il reagente in grado di creare – se correttamente impiegato – una nuova organizzazione, costituita da una comunità di persone che sono legate da interessi comuni e che interagiscono per il bene comune.

È purtroppo normale, anche se qualcosa sta lentamente cambiando, vedere i propri dipendenti come risorse a cui assegnare dei compiti e non come persone con cui confrontarsi e definire soluzioni e strategie. Le risorse costituiscono il capitale di un’organizzazione, un capitale pensante e non mero esecutore. Pensate ai vantaggi che si avrebbero in ambito computazionale se si mettessero in rete centinaia e migliaia di elaboratori: provate ora a sostituire gli elaboratori con le menti delle persone, quali vantaggi si potrebbero ottenere? Le persone sarebbero più motivate, più dinamiche, proattive, creative e diventerebbero artefici del successo dell’organizzazione, riducendo anche il tasso di turn-over. Le organizzazioni e i manager devono, quindi, imparare a valorizzare le risorse.

La realtà, però, ci fornisce un’indicazione che va in una direzione diametralmente opposta: solo il 13% dei dipendenti si sente realmente coinvolto; pensate a quanto potenziale sprecato. Le organizzazioni devono imparare che i più importanti asset strategici di cui dispongono sono proprio i loro collaboratori: questi potrebbero diventare una fonte inesauribile di idee e soluzioni se solo si imparasse ad ascoltarli e non si ci si limitasse a impartire ordini. Le organizzazioni devono comprendere sempre meglio che l’uscita di un collaboratore può essere un danno irreparabile in quanto, così facendo, stanno perdendo l’unicità di una persona che difficilmente potrà essere sostituita con una risorsa analoga. Devono valorizzare queste unicità, ma prima di tutto devono conoscere le persone, fidarsi e coinvolgerle: solo così potranno essere in grado sfruttarne potenziale e capacità.

Nel passato c’è stato chi (Adriano Olivetti) ha avuto l’opportunità di dare una scossa al mondo industriale e ha tentato di aprire una nuova strada, stravolgendo gli equilibri e i valori, andando controcorrente, suscitando scetticismo… peccato, però, che i suoi insegnamenti e la sua filosofia di pensiero non abbiano attecchito in modo permanente. La speranza è che con il continuo ripensamento dei modelli organizzativo/relazionali e gli insegnamenti di Olivetti e di altri visionari possano finalmente portare e radicare nuovi comportamenti.
Si dovrebbe provare a ripartire da quanto diceva Olivetti: “penso l’uomo per la fabbrica e non la fabbrica per l’uomo”.
Disegnare l’organizzazione con le persone, non per le persone; quale miglior modo per valorizzarle e motivarle? Sarà necessario un cambio di paradigma anche per quanto riguarda i manager: dovranno essere più empatici per comprendere il valore aggiunto.

Tante sono le strategie che si potrebbero mettere in atto al fine di sviluppare un nuovo ordinamento organizzativo. Mi sento di suggerire, di seguito, alcune riflessioni.

  • Valorizzare la creatività delle persone. Perché limitarsi a studi di consulenza o a reparti di marketing per produrre idee creative e innovative? Pensiamo a quale capitale abbiamo in menti pensanti. Tutte le persone sono in grado di produrre nuove idee, perché esperti per quanto riguarda il proprio ambito lavorativo, e saranno in grado di generare proposte migliorative. L’importante è sviluppare strategie volte al coinvolgimento e alla valorizzazione dei dipendenti e alla condivisione delle informazioni, nonché a un trasparente processo di valutazione e approvazione delle idee con relativo riconoscimento tangibile dell’apporto innovativo. Nelle fabbriche Toyota si può osservare la seguente scritta: “Good thinking. Good products”. Dal 1951, anno in cui è stato lanciato il programma per raccogliere idee innovative, i dipendenti hanno prodotto più di 40 milioni di nuove idee, arrivando a un tasso di approvazione prossimo al 98%. Una riflessione potrebbe essere: il dipendente Toyota, sentendosi parte integrante e determinante del successo della propria organizzazione, sarà più o meno motivato di un dipendente che si trova a lavorare in un contesto più tradizionale?
  • Aggiornare i processi decisionali. In un sistema gerarchico sono generalmente i vertici che definiscono strategie e prendono decisioni in base al proprio modo di pensare, alla propria esperienza ed alla loro visione del mondo. Siamo però sicuri che le decisioni che ne potranno nascere saranno le migliori? Forse non sempre. Perché allora non ci avvaliamo della collaborazione di chi ci sta vicino? Potremo, con una mente sufficientemente aperta, valutare alcuni aspetti che forse non eravamo stati in grado di valutare in precedenza e confrontarci con soluzioni che non eravamo riusciti a formulare. La decisione spetterà, in ultima istanza, al manager ma le persone saranno comunque soddisfatte per essere state prese in considerazione, si sentiranno artefici del successo dell’organizzazione e questo loro stato d’animo migliorerà la predisposizione nei riguardi dell’azienda ed anche le loro creatività e propositività, creando inoltre un ambiente più sereno.
  • Condividere le informazioni. Le idee hanno bisogno di essere alimentate dalle informazioni. In un contesto organizzativo questo risulta in una necessità di condivisione non solo delle informazioni relative a prodotti e strategie, ma anche delle idee, in modo tale che il processo creativo possa alimentarsi e collegarsi a quanto si sta già cercando di realizzare. In molte organizzazioni in cui le informazioni non circolano efficacemente, per motivi che vanno dalla segretezza alla sfiducia nei confronti dei dipendenti, si dovrà lavorare con la ‘vision’ dei risultati che si potranno cogliere in prospettiva.
  • Scegliere il giusto stile di leadership. Il coinvolgimento delle persone non può prescindere da corretti stili di leadership dei manager, che dovranno essere sempre più improntati alla condivisione delle informazioni, alla valorizzazione delle idee e delle persone e al riconoscimento dei risultati. Interessante potrebbe essere la lettura del libroThe New One Minute Manager – per la self-leadership” scritto da Ken Blanchard, in cui viene trattato il tema della leadership situazionale quale miglior strumento per la gestione e valorizzazione delle risorse.
  • Definire la “vision”. È meglio imporre la “vision” di un’organizzazione (o anche solo di un gruppo) o costruirla con le persone che vi partecipano? Credo che la risposta sia scontata. Solo se le risorse saranno coinvolte in un processo decisionale potranno garantire la dedizione al risultato perché, attraverso il loro coinvolgimento, si sentono parte attiva e fondamentale dell’organizzazione. Questa “vision” sarà la loro “vision”, non quella imposta da qualcun altro.

Concludendo ritengo, come già detto da molti, che solo valorizzando l’”essere umano” all’interno delle organizzazioni si possa arrivare a quella centralità che potrà produrre risultati concreti, sia in termini di business che di maggior motivazione e senso di appartenenza.

 

Articolo a cura di Antonio Bassi

Profilo Autore

Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).

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