Il coraggio di cambiare: ciò che ci fa paura siamo noi

L’idea che abbiamo maturato nel corso degli anni è che l’Azienda sia assimilabile a un treno lanciato a folle velocità. A volte rallenta, magari in prossimità di una Stazione che chi sa per quale insondabile motivo immaginiamo polverosa con il vento che fa muovere vecchi infissi cigolanti. Rallenta ma non si ferma, così l’immagine di quel treno provoca in noi una certa inquietudine specie quando ci accorgiamo di non essere in grado di salire al volo, situazione che presuppone una certa agilità.

E’ in questo preciso istante che ci si scopre impacciati, impantanati nelle sabbie mobili dell’incertezza, i nostri bagagli così rassicuranti per noi che con cura e pazienza li abbiamo assemblati per una vita e dove abbiamo stipato di tutto, diventano un ostacolo insormontabile, qualcosa che ci tiene ancorati al suolo e ci impedisce quel salto salvifico su quel treno con destinazione futuro. Vederlo passare dovrebbe riempirci il cuore di tristezza ma la disperazione cede presto il passo a una diffusa rassegnazione.

Di persone che vedono i treni passare sono pieni i binari della vita. Persone che sono abitate dalla paura che può declinarsi in mille forme. Dovendola rappresentare graficamente possiamo immaginare un’articolata mappa mentale in cui dalla parola paura si irradiano infiniti raggi e tutti intimamente connessi tra loro.

L’obiettivo non è dimostrare che la paura governa le Organizzazioni, ma capire quanto spazio trova il coraggio come fattore neutralizzante della paura stessa. Due aspetti, se vogliamo, antitetici ma che presentano delle contiguità interessanti. Perché paura e coraggio non sono semplicemente l’altra faccia della medaglia ma c’è un’altra parola che in qualche modo fa da collante e unisce entrambe le esperienze. Questa parola è il rischio.

La velocità con la quale viene chiesto alle persone di adattarsi all’ennesimo cambiamento ha molto spesso un effetto paralizzante. L’inazione vince sull’azione. Nel dubbio è meglio astenersi. E’ una filosofia imperante nelle Aziende e sono pochissime le realtà in cui questo modus operandi viene smentito dai fatti. Ma quando questo avviene non è per congiunzione astrale quanto per un’interpretazione “coraggiosa” del ruolo del capo. Alla fine si prova un sottile piacere, al limite del sadico, ritornare sul luogo del delitto e scoprire nuovi e inaspettati dettagli. Perché, diciamocela tutta, un capo coraggioso fa notizia. Magari è lo stesso che ha partecipato a una dozzina di corsi sulla Leadership e che puntualmente tornava con il suo bel carico di frustrazione e lo scoramento nel constatare come inapplicabili certe teorie seppure affascinanti. E dire che in Blanchard e nella sua Leadership Situazionale ci aveva quasi creduto. Più di tutto trovava seducente il concetto di maturità declinato nel gruppo di lavoro inteso come responsabilizzazione rispetto al task assegnato. Leadership intesa non più come dogma ma come capacità di adattamento alle situazioni, qualcosa di modellabile, materia viva. In fondo, a pensarci, era il suo modo di sentirsi protagonista, specchiandosi in uno dei quadranti del famigerato diagramma di Blanchard e trovandosi improvvisamente interessante.

Se vogliamo, la ricetta del cambiamento è proprio questa: svegliarsi una mattina, sovrapporre la faccia allo specchio e scoprire di avere un’espressione diversa dal solito, una determinazione impensabile fino a qualche tempo fa. Poi ci si sveglia sudati e un po’ impauriti e ci si scopre confusi e infelici a collezionare l’ennesimo fallimento che nemmeno un aumento retributivo concesso con generosità da prima Repubblica riesce a lenire. Ora sparare addosso al capo di turno è una situazione a dir poco inflazionata, tra un po’ va a finire che la troviamo tra le discipline Olimpiche. Ma è un tema. E’ per quanto facciamo finta di ignorarlo resta una dimensione sulla quale confrontarsi.

In politica si è soliti ammettere con disarmante semplicità che la crisi che viviamo è prima di ogni cosa una crisi della classe dirigente. Nelle Aziende la situazione è speculare, per certi versi sovrapponibile. Nell’immaginario collettivo un buon capo è colui che ha dimostrato, sul campo, di essere un’autorità, un vero e proprio punto di riferimento per quel determinato processo. La scelta è quindi condizionata dal bagaglio di competenze che la risorsa investita si porta dietro.

Nessuno o magari solo una sparuta minoranza si preoccupa se accanto alle competenze tecniche la persona presenta un’attitudine a gestire risorse o team a elevato livello di complessità. Questo può produrre due danni significativi. Il primo è un appannamento della produttività del neo capo che ora si trova a dover risolvere anche delle complessità “gestionali” che nel precedente ruolo non aveva. Il secondo è l’aumento della tensione e della conflittualità all’interno dei team nel non riconoscere l’autorevolezza del capo. Il combinato disposto di questi due aspetti genera paura. In questo contesto così instabile il ruolo della funzione HR può essere determinante nel ricomporre la frattura tra capo e il resto del team e nel generare quindi virtuosità.

Ovviamente nessuno attribuisce potere taumaturgico alle donne e agli uomini HR ma il loro ruolo, se accompagnato da autorevolezza e da una profonda conoscenza della dinamiche organizzative e interpersonali, favorisce l’osmosi necessaria per operare in tranquillità e soprattutto serve a far prendere consapevolezza alle persone che la prima vera causa di paura è quella di non agire, di non essere parte attiva nel cambiamento. Per questo motivo l’individuazione dei futuri responsabili o meglio della futura classe dirigente delle Aziende deve rappresentare uno dei momenti più strategici di ogni management. Non è più consentito sbagliare, ne va della sopravvivenza di molte Organizzazioni. Se vogliamo che il coraggio vinca sulla paura dobbiamo innanzitutto esorcizzare la paura stessa fornendo esempi e comportamenti distintivi. Magari il tempo ci dirà che quello che oggi molte Aziende vivono come un problema un domani sarà ridimensionato fortemente. Meno gerarchia e magari più responsabilità diffusa in cui il coraggio nelle azioni e nei comportamenti sarà patrimonio di tutti e messo a fattor comune.

Mi auguro che sia così. Ciò che ci fa paura siamo noi, lo dicono anche i Baustelle in una loro traccia di qualche tempo fa e a volte certe canzoni ti indicano la strada. L’importante è percorrerla senza paura.

A cura di: Giovanni Di Muoio

Profilo Autore

Giovanni Di Muoio, esperto di Narrazione d’Impresa, ha maturato una lunga e consolidata esperienza in ambito HR. Attualmente ricopre il ruolo di HR Business Partner in BNL ‒ Gruppo BNP Paribas, in precedenza ha lavorato in SIAE e come libero professionista. Ha collaborato con diverse testate su tematiche HR e ha pubblicato cinque libri di Narrativa. Specializzato in Short Stories ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per la sua attività di scrittore.

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