One-tier e two-tier: due modelli di corporate governance a confronto

Una delle principali variabili in grado di incidere significativamente su un modello di corporate governance è data dalla modalità di interazione tra la funzione di gestione e quella di controllo.

Infatti, sebbene l’organo gestorio – seppur con diverse sfumature – mantenga il ruolo di perno centrale del governo d’impresa, è possibile mappare diverse tipologie di governance a seconda del modo in cui vengono distribuite le funzioni di amministrazione e controllo. Queste ultime possono infatti essere attribuite ad un solo organo oppure essere suddivise tra più organi.
In questa logica, la letteratura e la prassi conoscono due archetipi[1]:

  • one-tier models, tipici dei sistemi di common law, in cui i poteri di gestione e controllo sono conferiti ad un medesimo organo, seppur a persone diverse al suo interno, nominato dagli azionisti. Si crea così una struttura ad un solo livello;
  • two-tier models, tipici dei sistemi di civil law, in cui i poteri di gestione e controllo sono attribuiti a due organi distinti. Si crea così una struttura a doppio livello.

La purezza concettuale delle due macrocategorie, quali riferimenti storicamente tipici di un determinato sistema Paese è, nel corso degli anni, andata scemando a seguito della graduale convergenza dei modelli giuridici, corollario dei più generali processi di globalizzazione.

Sebbene all’interno di ciascuna categoria l’autonomia statutaria possa più o meno modellarne le caratteristiche, rimangono alcuni punti di riferimento quali elementi caratterizzanti dei diversi modelli. L’esistenza di un unico livello di gestione e controllo, nei modelli one-tier, implica che l’organo amministrativo sia necessariamente composto sia da membri esecutivi che da membri non esecutivi. Questi soggetti svolgono funzioni diverse e hanno differenti responsabilità, sebbene la distinzione tra funzioni non sia così evidente (perlomeno dal punto di vista formale) come nel modello two-tier. I componenti esecutivi sono tutti quei soggetti che hanno cariche manageriali all’interno dell’impresa e che quindi svolgono funzioni operativamente connesse al business.

Sebbene la rotta strategica dell’impresa sia approvata dall’intero consiglio di amministrazione, sono gli amministratori esecutivi ad essere incaricati di attuarla. Questi ultimi sono generalmente espressione di chi detiene la maggioranza del capitale di rischio. Pertanto, la loro imparzialità e obiettività nella gestione dell’impresa potrebbe venire meno. In queste circostanze è allora cruciale la presenza all’interno del consiglio di amministrazione di consiglieri non esecutivi che, non avendo cariche manageriali, non partecipano attivamente alla gestione dell’impresa. Hanno quindi il ruolo cruciale di controbilanciare il potere dei consiglieri esecutivi, di sorvegliarli e di garantire che l’operato del consiglio di amministrazione realizzi l’interesse della società e non solo di chi ne detiene le partecipazioni.

A loro volta, tra i consiglieri non esecutivi, soprattutto nelle società che fanno ampiamente ricorso al mercato del capitale di rischio, è possibile distinguere tra indipendenti e non indipendenti. Sebbene il concetto di indipendenza vari a seconda delle normative nazionali e dei codici di best practice di riferimento, la ratio rimane sempre quella di garantire che gli stessi non siano in una posizione potenzialmente idonea a pregiudicare la loro obiettività di giudizio. Data l’importanza che gli amministratori indipendenti ricoprono, generalmente la disciplina normativa applicabile ai modelli one-tier richiede che tali soggetti abbiano appositi requisiti di onorabilità e professionalità, che non durino in carica un periodo eccessivamente lungo che possa favorire un rafforzamento dei rapporti con gli amministratori esecutivi, che non siano remunerati in base alle performance aziendali, onde evitare che venga meno la loro obiettività di giudizio.

Diversamente, nei modelli two-tier, l’attività di gestione e l’attività di controllo è attribuita a due organi separati. Naturalmente, devono in questo caso sussistere dei canali di collegamento in modo tale che la separazione delle funzioni non impedisca o rallenti l’interazione tra i due organi. Come nel primo modello, anche in questo caso vi è una distinzione tra chi è incaricato ad assolvere funzioni gestorie e chi funzioni di controllo. Tuttavia, mentre nel modello one-tier tale distinzione è tra membri dello stesso organo, viceversa nel modello two-tier è tra membri che appartengono a due distinti organi. Pertanto, alla distinzione interna del one-tier si affianca una distinzione formale nel two-tier.

In entrambi i modelli l’organo o i soggetti deputati al controllo hanno peculiari prerogative che si evolvono nel tempo. Ad esempio nel nostro ordinamento al collegio sindacale, con natura tradizionalmente referente, la riforma del 2003 ha attribuito poteri di iniziativa (ne sono un esempio i poteri di denuncia al Tribunale per gravi irregolarità, la possibilità di promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori e di impugnare le deliberazioni).

I modelli two-tier si distinguono a loro volta in ragione dei soggetti che hanno il potere di nominare i componenti dei due diversi organi, potendo distinguersi tra modello two-tier orizzontale e verticale. Nel primo caso sia l’organo amministrativo sia quello di controllo vengono nominati dall’assemblea dei soci (rispettivamente consiglio di amministrazione e collegio sindacale). Questo è il c.d. “modello tradizionale”, dominante nel nostro ordinamento, in cui l’organo di gestione prende il nome di consiglio di amministrazione e l’organo di controllo è chiamato collegio sindacale; nel secondo modello, tipico dell’esperienza renana, l’assemblea dei soci nomina l’organo di controllo (supervisory board o consiglio di sorveglianza), mentre sarà direttamente quest’ultimo a nominare l’organo amministrativo (management Board o consiglio di gestione). Nel nostro ordinamento il modello dualistico verticale è inoltre caratterizzato dal fatto che all’organo di controllo vengono attribuite competenze che altri modelli di governance, riservano all’assemblea dei soci. Ad esempio, è il consiglio di sorveglianza – e non l’assemblea come nel modello tradizionale – ad approvare il progetto di bilancio.

I diversi modelli sono idealmente applicabili a tutti i tipi d’impresa.
Tuttavia, gli stessi dovrebbero essere scelti tenuto conto della natura dell’impresa, del contesto in cui opera, dell’assetto proprietario e della complessità regolamentare che caratterizza il rispettivo settore. Nella realtà tali considerazioni vengono effettuate raramente. A ogni buon conto, entrambi i modelli hanno i propri pregi e le proprie debolezze[2]. Ad esempio, sebbene con riferimento al modello one-tier, si ritiene generalmente che la commistione tra gestione e controllo in un unico organo potrebbe trasformarsi in un punto di forza nella misura in cui i soggetti deputati al controllo, sedendo nel consiglio di amministrazione, possono svolgere una verifica di legalità ed efficienza della gestione contemporaneamente alle adozioni delle deliberazioni ex ante e non ex post come negli altri modelli di governance, tale modello non è esente da critiche. Il primo punto critico – ancor di più che in un modello two-tier – consiste nel determinare il rapporto ottimale tra amministratori esecutivi e non esecutivi. Infatti, tale rapporto è uno dei fattori che maggiormente incide sul corretto funzionamento del consiglio, essendoci la necessità di contemperare due contrapposte esigenze: l’indipendenza per un verso e la specifica competenza di giudizio per l’altro. Un’insufficiente presenza di amministratori indipendenti può ostacolare il consiglio nel maturare un giudizio indipendente sulla gestione aziendale; un’eccessiva presenza può limitarne il business acumen. Un secondo punto di debolezza potrebbe essere dato dall’assenza di una distinzione organica tra soggetti che svolgono attività di gestione e soggetti che svolgono attività di controllo. Infatti, l’appartenenza di tutti i consiglieri ad un solo organo, anche in ragione dei più forti legami interpersonali che si potrebbero creare, potrebbe affievolire la forza con cui i consiglieri non esecutivi contrastano le strategie proposte dagli esecutivi.

D’altra parte, la distinzione organica garantisce, perlomeno formalmente, maggiore indipendenza tra le funzioni di gestione e quelle di controllo. In questo caso, la principale critica che generalmente viene mossa al sistema dualistico è che la separazione delle attività di gestione e controllo tra organi diversi rischia di paralizzare, o quantomeno rallentare, l’attività operativa nel caso in cui vi sia un approfondito esercizio del controllo. Inoltre, eventuali disfunzioni del processo informativo – più che nel modello one-tier – rischiano di rendere inefficiente l’attività di controllo. Infatti, uno dei principali talloni d’Achille del modello riguarda proprio la qualità, la completezza e l’accuratezza delle informazioni che vengono condivise dagli amministratori.

Delineate le principali caratteristiche emerge che, se è astrattamente vero che tutti i modelli nella loro diversità hanno gli ingredienti per essere potenzialmente ottimali, è altrettanto vero che non esiste un modello “one fits all”, ideale per tutte le circostanze. Proprio per questa ragione diversi ordinamenti giuridici, codici di best practice e prassi propongono soluzioni diversificate che più si attagliano alle caratteristiche normative, sociali, economiche e culturali di un Paese. Essendo la governance un concetto rapportato a variabili dinamiche, la stessa dovrebbe costantemente riflettere l’evoluzione dell’azienda e il contesto in cui opera. Bisognerebbe allora valutare regolarmente l’adeguatezza (o meglio la coerenza) e l’attualità del modello adottato in relazione al periodo storico, all’evoluzione del mercato e, in generale, a tutti i fattori interni ed esterni dell’impresa che si evolvono con il tempo. Dedicare attenzione al proprio modello di governance produce inoltre dei benefici indiretti, come evidenziato da alcune ricerche empiriche se si pensa che, soprattutto nelle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio, un buon modello di governance è uno dei fattori che partecipa autonomamente alla formazione del valore economico dell’impresa[3].

È comunque importante tenere conto che i fallimenti dei meccanismi di governo societario non possono mai essere valutati esclusivamente dai comportamenti/risultati aziendali, poiché per un verso vi è una netta distinzione tra meccanismi di governo/controllo e soggetti che in concreto li esercitano, per l’altro, una buona struttura di governance societaria:

  • non impedisce categoricamente il verificarsi di fallimenti, ma riduce la probabilità che essi si verifichino;
  • è sicuramente un ingrediente essenziale del successo ma, da sola, non è sufficiente ad assicurare lo stesso.

Note

[1] F. FORTUNA, Corporate governance. Soggetti, modelli e sistemi, FrancoAngeli, Milano, 2001

[2] A. ZATTONI, Corporate Governance, Egea, 2015

[3] M. REBOA, Proprietà e Controllo d’Impresa – Aspetti di Corporate Governance, Giuffrè, Milano, 2002

 

Articolo a cura di Carlo Riso

Profilo Autore

Carlo Riso è un avvocato specializzato in diritto societario con focus su operazioni di finanza straordinaria. Assiste aziende, soci e investitori a partire dalla strutturazione dell’operazione sino alla sua execution.
Supporta, inoltre, clienti italiani e internazionali in tutte le fasi dell'attività di impresa: si occupa della contrattualistica commerciale ordinaria, predisponendo e negoziando i contratti attinenti i principali settori industriali e affianca management, amministratori e azionisti nella strutturazione della corporate governance societaria.
Ha conseguito una laurea quinquennale in Giurisprudenza e una laurea specialistica in Economia e legislazione d’impresa.
Ha infine consolidato le sue conoscenze frequentando un master di 2° livello in diritto societario.

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