Marco Aurelio e la filosofia del management

Quando la formazione si separa dalle aule universitarie, dai master e dai corsi specialistici, i manager si devono preparare ad affrontare il difficile passaggio dalla teoria d’aula alla pratica da realizzare “sul campo” e prendono consapevolezza della realtà quando da addestrati si deve diventare interpreti ed assistenti di sé stessi. Le esercitazioni non sono più una simulazione e la realtà non richiede un esperimento, ma la certezza della riuscita. Nuotare o affogare? Molte volte avrei voluto avere un appiglio a cui aggrapparmi e invece ho dovuto nuotare, poi, un giorno, all’improvviso ho trovato il salvagente tanto sperato. Per una curiosa analogia navigando, questa volta, nel tranquillo mare di internet sono approdato ad un sito dove era riportata la traduzione dei “Ricordi” di Marco Aurelio. Ho iniziato a leggere stimolato dalla mia provenienza di laureato in Filosofia, ma ben presto scorrendo il testo, saltando le pagine e i capoversi, come chi non ha un chiaro piano di lettura, mi sono accorto che la Filosofia lasciava il ruolo speculativo per aprire straordinarie riflessioni di management.

Il primo dei pensieri di Marco Aurelio che mi fece riflettere:

Bastano: l’opinione capace di afferrare la realtà nel momento attuale; l’azione utile alla comunità nel momento attuale; la disposizione pronta ad accettare tutto ciò che, nel momento attuale, proviene dalla causa esterna.9,6

Agire sulla base di un assenso, di un impulso, di un desiderio in accordo con la forza generatrice degli eventi, quali soltanto la retta intenzionalità, il deliberato programma, l’organizzazione delle azioni sanno fornire all’uomo.

Ho letto e riletto queste parole e mi sono soffermato a pensare, quasi a voler operare un bilancio di quanto fatto non solo nella mia vita famigliare, ma anche quella di lavoro, a contatto con persone conosciute e non conosciute, viste e riviste o mai più incontrate sulla mia stessa strada. Ho pensato se in qualche modo, in qualche maniera ho interferito oppure ho trascurato, se ho ostacolato o agevolato, oppure se nulla si era modificato e tutto è rimasto indifferente.

I “Ricordi” di Marco Aurelio (o Colloqui con se stesso, suddivisi in XII “libri”) sono una raccolta di riflessioni che da un punto di vista proprio del management o della leadership prendono in considerazione le incognite che possono scaturire non solo da noi stessi, ma anche dall’influenza positiva o negativa che gli altri possono avere sui nostri pensieri, sui nostri desideri e sulle nostre azioni, con le inevitabili conseguenze sull’esercizio del potere, e da un punto di vita speculativo la coerenza con la questione dell’autorità, intesa come realizzazione del management.

È importante strappare il velo che ci circonda e che ci impedisce di vedere quei segnali che le altre persone e le circostanze della vita hanno in serbo per noi. Tutto il nostro agire quotidiano, dentro e fuori dell’azienda in cui lavoriamo, può insegnarci qualcosa. Ogni persona, o esperienza, è uno specchio in cui, se vogliamo guardare con diligenza, possiamo vedere riflesse parti di noi che al momento non conosciamo ancora o che non valutiamo correttamente. E proprio nel ruolo del “saper essere” che da quasi duemila anni ci giungono ancora “freschi” e in qualche caso lungimiranti le indicazioni del Filosofo Imperatore che appiano come visibili e soprattutto praticabili linee guida.

Marco Aurelio rappresenta un modello di pensiero a cui ispirarsi, non come verità indiscutibile a cui fare riferimento, ma come occasione di riflessioni che ci possano condurre per mano, proprio come il significato della parola manager che deriva dal verbo francese manager, derivato a sua volta all’espressione latina manu agere, ‘condurre con la mano’. E Marco Aurelio ci può condurre nel nostro cammino tenendoci per mano.

(In corsivo la trascrizione dei pensieri con l’indicazione del “libro” e del paragrafo)

La gestione del tempo

Ricorda da quanto tempo rinvii ciò che devi fare e quante volte, ricevuta una proroga dagli immortali, non ne fai un corretto utilizzo. Devi finalmente comprendere quale sia il cosmo di cui sei parte, quale sia l’entità al governo del cosmo della quale tu costituisci una manifestazione, e che hai un limite circoscritto di tempo, un tempo che, se non ne approfitti per conquistare la serenità, andrà perduto, e andrai perduto anche tu, e non vi sarà un’altra possibilità. 2,4

Il cosmo è il business dove il manager vive e lavora. Per ogni manager il tempo rappresenta una risorsa di valore, non tanto sul piano economico e materiale, ma per la sua dimensione caratterizzata dalla durata, dalla successione cronologicamente misurata secondo un dato criterio o sistema, in maniera lineare o come spazio cronologico previsto, impiegato o occorrente per un processo o per il compimento di un’azione. Per il manager il tempo non deve essere percepito come un legame o una scadenza ineludibile, ma come una possibilità vantaggiosa per l’impresa.

Non saper gestire il proprio tempo significa non essere organizzatori ma esecutori, significa non volersi farsi carico di una responsabilità diretta e non delegabile, assumere in prima persona il potere con tutti i rischi decisionali conseguenti.

La prima responsabilità è quella di dedicare del tempo alla gestione del tempo, senza lasciarsi sorprendere dal timore di dover scegliere e rinunciare, dalla inflessibilità delle scadenze, dai vincoli, dai limiti definiti, dall’ampiezza dell’agenda e delle possibilità che offre.

La gestione del tempo consiste in un modo di agire basato su accorgimenti e scelte particolari che ci permettono di amministrare la “risorsa tempo” con maggior presidio ed ottenere risultati eccellenti. È sicuramente meglio dover (e saper) riprogrammare che vivere una vita di lavoro basata su aggiustamenti continui. Il tempo del manager è scandito dalle decisioni.

Ci sono manager che decidono subito, quelli che vogliono riflettere e quelli che preferiscono fare decidere agli altri. Non decidere è come prendere una decisione sbagliata, il diritto/dovere di decidere è una legge che deve essere rispettata e fatta rispettare. Non decidere (che paradossalmente è una decisione) vuol dire condannarsi a farlo quando la scadenza è imminente coinvolgendo nel danno anche altre persone. Puntualità, velocità ed efficienza sono le parole d’ordine per garantire di essere sempre competitivi sul mercato. La gestione del tempo deve costituire un’abitudine che, mediante l’applicazione di tecniche, accorgimenti e, soprattutto, autodisciplina permette di amministrare con maggiore padronanza e vantaggio il tempo inteso come una risorsa e non come un vincolo.

La gestione dell’imprevisto e del rischio

Bisogna gestire la vita agendo un’azione per volta, e accontentarsi che ogni singola azione ottenga il suo risultato nei limiti del possibile: nessuno può impedirti che ciò avvenga. «Ma sorgerà qualche ostacolo esterno». Non esiterà, comunque, nulla che possa impedire una condotta giusta, temperante e razionale; forse ne verrà ostacolata qualche altra attività, ma accettando serenamente l’impedimento stesso e accingendosi di buon grado a compiere ciò che è consentito subentra immediatamente un’altra azione che si accorderà con la costruzione di cui stiamo parlando. 8,32

Quando si parla di imprevisto si intende generalmente un mutamento, connotato negativamente, che impatta improvvisamente sull’organizzazione, che richiede l’urgenza di una immediata capacità decisionale, rapidità di risposta, immediatezza operativa, velocità di transazioni, competenza nella risoluzione e razionalizzazione delle risorse tecniche ed umane, unitamente alla necessità di scegliere le modalità più appropriate per affrontare l’imprevisto.

Nei processi decisionali bisogna ammettere la presenza dei rischi ed occorre anche accettare serenamente di sbagliare e di reagire agli errori commessi. L’esposizione al rischio non può essere valutato con calcoli statistici e valutazioni probabilistiche, ma con rappresentazioni mentali che permettono al manager di “percepire” la grandezza del rischio per poter decidere di non assumerlo se fosse troppo estesa. I principali fattori che espongono al rischio sono determinati dalle variabili interne dell’organizzazione, come tecnologia, struttura, risorse umane, cultura e modalità di gestione da parte del top-management, sia dal condizionamento di quelle esterne, la turbolenza del mercato, la dinamicità dei governi, gli eventi economici, sociali e legislativi

Gli eventi eccezionali o imprevisti rappresentano le verifiche a conferma della propria leadership per rimuovere le possibili dannose conseguenze per colleghi e collaboratori che incappano nel fatto inaspettato. Governati accortamente questi avvenimenti possono potenziare le relazioni professionali, migliorare il clima aziendale, perfino accrescere la produttività. Gestiti con imperizia o imprudenza o ignorati, gli eventi imprevisti possono disgregare, danneggiare, creare gravi conseguenze.

Il cambiamento

Non lasciarti turbare dal futuro: ci arriverai, se dovrai arrivarci, con la stessa ragione che ora usi per il presente. 7,8

Una sintesi che mostra il dovere del manager: non temere il futuro, ma realizzarlo “con la stessa ragione”.

La ragione del ruolo “saper fare”, inteso come valore personale, come orientamento proattivo all’azione e al rischio, come atteggiamento che aiuti le persone (e l’azienda) ad agevolare e gestire le opportunità di sviluppo che il futuro richiede. La ragione del ruolo “saper essere” per fronteggiare la complessa dinamicità del mercato e della concorrenza, individuare la variabilità degli scenari e stabilire le strategie necessarie per realizzare gli adattamenti attraverso un fattivo cambiamento.

La gestione del cambiamento richiede l’orientamento e la capacità di fondo ad anticipare e governare i mutamenti, così da favorire l’adattamento alle nuove condizioni, coglierne le opportunità positive e limitare gli inevitabili costi economici e sociali delle trasformazioni. In particolare occorre possedere competenze analitiche e revisionali per procedere all’individuazione, all’analisi e all’interpretazione dei fattori che influiscono sul sistema di riferimento nonché saper operare analisi congiunturale e previsionale; mostrare uno stile direzionale motivante e rivolto alla creazione di un ambiente proattivo, nel quale ogni risorsa possa portare il proprio contributo creativo e innovativo; sviluppare un clima collaborativo e partecipativo per promuovere l’azione di gruppo e garantire la diffusione della nuova visione e creazione di consenso sulla missione e sugli obiettivi.

La gestione degli obiettivi

Quale necessità sussiste di porre delle ipotesi, quando è possibile osservare ciò che si deve fare, e, se lo scorgi, procedere con serenità in quella direzione, senza voltarti per giardare alle spalle; se non lo scorgi, è bene soprassedere e ricorrere ai consiglieri migliori; e, se sul tuo percorso ci sono altri ostacoli, avanzare secondo le possibilità del momento, attenendoti, dopo preciso esame, a ciò che pare giusto? La cosa migliore, infatti, è cogliere questo obiettivo, poiché mancarlo significa il fallimento. Chi segue in tutto la ragione è un essere sereno e, nel contempo, pronto ad agire; ha nel volto la gioia e, nel contempo, la serietà.10,12

La maggior parte delle aziende deve confrontarsi con mercati fortemente dinamici e sempre più competitivi, nei quali la trasformazione del ciclo dei vita dei prodotti e la diminuzione dei margini di profitto richiedono un metodo di conduzione aziendale che assicuri il raggiungimento di obiettivi di risultato, nonostante le turbolenze. Ogni azienda stabilisce obiettivi a lungo e a breve termine, in questa situazione i manager devono agire per raggiungere i risultati programmati e attesi attraverso la capacità di programmazione e gestione delle risorse, nella prospettiva che gli obiettivi aziendali coincidano con gli obiettivi del management. Individuare e stabilire il percorso per raggiungerli è frutto della “ragione”.

Una ragione che indichi una visibile strategia di lungo periodo, che valorizzi al massimo potenzialità e risorse presenti nell’organizzazione aziendale e, soprattutto, la crescita culturale del management a tutti i livelli dell’organizzazione. Per svolgere la propria funzione di orientamento e focalizzazione delle risorse aziendali, il manager deve saper stabilire obiettivi rilevanti e specifici, focalizzati su un risultato e non su un’attività, misurabili e correlati ad un periodo di tempo, sfidanti, ma raggiungibili, in numero adeguato a raggiungere risultati prioritari, deve possedere la capacità di pianificare, programmare, controllare, di organizzare/cambiare strategie,  di analisi organizzativa, di ottenere cooperazione, chiarezza, attenzione per eventuali impatti su altri settori nel flusso comunicazionale.

Rinunciare ad un obiettivo è il primo passo verso il fallimento.

Avere piena fiducia nelle proprie possibilità

Occorre avere serena luminosità nell’animo e nessun bisogno dall’esterno del soccorso e della tranquillità che gli altri possono dare. Diritti bisogna stare, non tenuti diritti. 3,5.

Il manager si trova spesso di fronte ad una realtà assalita da innumerevoli cambiamenti e priva del confortante sostegno di prospettive facilmente pianificabili, così da esporsi ad un disagio e ad un turbamento che si manifestano con allarmante insistenza. Lo stile di vita e gli stressor che provengono dall’ambiente più immediato, come l’organizzazione per cui si lavora, i familiari, e gli amici, i problemi personali, le insicurezze, le preoccupazioni economiche, la complessità del mercato e la sua dinamicità, e soprattutto la mancanza di fiducia in sé stessi, costringono ad un ritmo psicologico così incalzante che può deprimere la volontà di trovare la strada verso un equilibrio tra una realtà esterna in trasformazione e una interna in evoluzione e verso il raggiungimento di un proprio benessere.

Occorre convincersi di essere sempre in grado di superare tutte le situazioni problematiche nelle quali si è coinvolti, per deprimere l’ansia e l’incertezza dentro di noi e riuscire quindi a lavorare in modo più efficiente. Le persone che hanno sempre bisogno di appoggio e di aiuto sono legate quindi al sostegno degli altri, le persone che sanno contare su sé stesse possono considerare gli altri addirittura come un impedimento.

Il Feedback

Togli l’opinione, è tolto il “sono stato offeso”; togli il “sono stato offeso, è tolta l’offesa. 4,7

Un feedback negativo costituisce una critica che può essere costruttiva, ma anche distruttiva. Il feedback deve essere accolto attraverso un ascolto attivo, ovvero evitando di formulare giudizi affrettati e reagendo con modalità di difesa di tipo aggressivo, ma cercando di comprendere gli atteggiamenti e le motivazioni di chi critica. Solo dopo aver ascoltato attentamente tutto il contenuto del feedback avrete tutte le informazioni necessarie per chiarire e verificare il perché delle valutazioni negative. Se la valutazione è corretta, forse non è una sostanzialmente una critica, ma un modo di aiutarvi a lavorare meglio.

Possedere una buona resistenza allo stress causato dal cambiamento

Ricorda, del resto, in ogni circostanza che ti spinga a provare angustia, di avvalerti di questo principio, per cui non è questa una sventura, ma, al contrario, è una buona ventura il saper sopportare la circostanza con nobiltà. 4, 49.

Ogni cambiamento o promozione può diventare un insidioso stressor, che in alcuni casi può in parte compromettere, con i suoi effetti negativi, quanto di positivo è stato faticosamente ottenuto. Per il manager il cambiamento deve essere una visione del mondo sempre trasparente, così che appaiono visibili le modifiche necessarie a fronteggiare gli eventi. Inoltre, il manager deve agevolare una intima partecipazione dei collaboratori, definendo e mostrando i metodi più adatti e più efficaci: la condivisione nel cambiamento è la chiave del successo. Pensare al cambiamento come già realizzato aiuta ad essere attivi e a vincere le proprie resistenze. Essere manager significa essere sempre pronto ad accettare le sfide della vita: è una forma di disponibilità ad un scorrimento costante di nuove esperienze. In sintesi essere “nobili”.

Analizzare le proprie performance per comprendere le ragioni degli eventuali insuccessi

Non provare avversione, non rifiutare, non ritirarti disgustato, se non riesci a realizzare compiutamente l’obiettivo di agire in ogni circostanza secondo retti giudizi, ma dopo aver subito uno insuccesso, torna nuovamente all’opera e sii lieto se la maggior parte delle tue azioni rispecchia in grado elevato l’umanità dell’uomo. 5, 9.

Al manager viene affidata la responsabilità di una parte dell’organizzazione e contemporaneamente al manager vengono attribuiti meriti, ma anche le censure per gli eventuali insuccessi. La responsabilità deve essere costantemente auto-percepita come una sorta di self-responsibility che corrisponde al sentimento di essere responsabile e protagonista delle situazioni della proprie scelte e decisioni. La self-responsibility è connessa con la prevedibilità degli eventi e si realizza con l’autovalutazione delle proprie capacità, ovvero con la percezione che quanto più ci si considera sicuri riguardo a un determinato compito, tanto meno si avrà timore di affrontarlo. In questa prospettiva l’insuccesso deve essere attribuito alla mancanza di conoscenze e abilità che possono essere acquisite. Un punto di vista autodistruttivo dell’autostima attribuirà il fallimento alla propria incapacità, facendo perdere fiducia su come affrontare non solo il presente, ma anche il futuro, diventando facili preda dello stress e della depressione. La self efficacy consolida la convinzione di essere in possesso di ciò che occorre per riuscire, implementa lo sviluppo di abilità cognitive e di capacità interpersonali che contribuiscono maggiormente allo sviluppo della professionalità rispetto alle competenze tecniche (sapere) e permettono di presidiare ruoli gestionali.

Non temere la considerazione degli altri (collaboratori, colleghi, struttura)

Se uno è capace di confutarmi dimostrandomi che non congetturo con adeguatezza o non agisco rettamente, con gioia sono pronto a cambiare. Difatti cerco la verità, dalla quale nessuno ha mai subito un danno; ne subisce, invece, chi persiste nel suo abbaglio e nella sua ignoranza. 6,21.

I giudizi che gli altri esprimono su di noi possono essere costruttivi, quando sono orientati al miglioramento, al benessere o all’aiuto dell’altro, opporre possono essere manipolativi quando assumono l’aspetto di critiche che intendono provocare imbarazzo, senso di incompetenza, di ignoranza, di colpa. La gestione delle critiche manipolative è fondamentale per contrastare la dipendenza dal giudizio degli altri e i pericolosi risvolti ansiogeni che possono avere un effetto dominante sulla nostra autostima. La dipendenza dal giudizio degli altri genera sempre un circolo vizioso che si autoalimenta anche attraverso percezioni distorte. I feedback che gli altri ci inviano vengono interpretati sempre in ottica valutativa, così un cenno di assenso fatto con il capo mentre parliamo può essere inteso come adesione a ciò che abbiamo detto «sono d’accodo, dici bene, giusto …», ma anche come scherno «sì sì, continua a dire stupidaggini». Il dubbio interpretativo può tornare a tormentarci anche quando la relazione è finita. Un giudizio “a priori” non esiste: un giudizio del genere non è che un “pre-giudizio”, cioè un giudizio di per sé falso. E in ogni caso i giudizi a priori, come dice Kant, sono quanto di più inutile possa esistere. In realtà tutti i giudizi sono a posteriori, anche quelli analitici, anche quelli che si desumono dal principio di contraddizione.

L’unico vero giudizio corretto è quello che il manager “onesto” ha di sé stesso

La gestione delle idee

Ricordati che sia il cambiar idea, sia seguire chi ti corregge sono ugualmente atti di libertà; perché la tua azione si realizza secondo il tuo impulso e giudizio e certo anche secondo la tua mente. 8, 16.

Se le nostre idee vengono confutate criticamente, sulla base di valide motivazioni, è possibile che siamo noi, alla fine, a condividere l’opinione degli altri. Se le nostre idee non sono condivise senza il sostegno di efficaci giustificazioni, portiamo avanti con pertinacia la loro validità fino ad ottenere, se non una accettazione, almeno un grado attendibile di seguito. Se cambiamo idea deve essere il frutto di una decisione del tutto autonoma. Difendere le proprie idee è come difendere una parte di noi stessi. Le idee che comunichiamo sono la rappresentazione di ciò che è nella nostra mente. Accettare di rinunciare alla loro difesa è come ammettere di avere sbagliato.

Comunicare

Bisogna comprendere, parola per parola, i discorsi che si fanno; e, impulso per impulso, gli eventi che ne conseguono. Per gli eventi, vedere subito a quale scopo fa riferimento l’impulso; per i discorsi, tenere ben presente il loro significato. 7,4

La comunicazione rappresenta le modalità con cui l’organizzazione stringe e mantiene le relazioni e i rapporti con coloro dai quali dipende la sua esistenza, il suo sviluppo e il suo benessere.      La comunicazione è una funzione del management che ha lo scopo di definire, pianificare e gestire l’immagine dell’azienda, la reciproca informazione con il pubblico esterno ed interno da cui dipende il successo della stessa azienda. Il potere del management nel gestire la comunicazione è riferito alla legittimità che le conferisce in quanto calata “dall’alto” ed alla sua valenza di funzione strategica.

Comunicare vuol dire partecipare ad un sistema di relazioni basato su delle regole e dei protagonisti che si scambiano informazioni attraverso canali e codici in un particolare contesto. Il manager comunica con un livello di responsabilità assai elevato in un contesto penetrato da diverse interazioni, sia verso l’interno che l’esterno e contribuisce alla creazione della propria immagine sulla base dei giudizi che la sua comunicazione veicola con i comportamenti verbali e non verbali.

Il mio amico Marco Aurelio

All’alba, quando ti svegli di malvolentieri, rifletti su questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio dovere di uomo; e ancora mi lamento per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato creato per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, è più piacevole». Sei nato, allora, per appagare i sensi? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo? Ti rendi conto che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio compito, collaborando per la loro parte alla vita dell’universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che è proprio dell’uomo, non corri verso ciò che è secondo la tua natura? «Ma è necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch’io: la natura, però, ha posto una dimensione anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, tuttavia, vai al di là della dimensione, al di là di quel che è sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di darsi da fare: allora ti tieni «nei limiti del possibile»! Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volontà. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l’avaro il denaro o il presuntuoso la sua meschina gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l’opera in cui sono impegnati: a te invece le azioni ispirate al bene della comunità sembrano di minor valore, meno meritevoli di attenzione? 5,1

“Pensare da manager” significa essere pronti e disponibili ad immergerci in questo ruolo interrogandoci sulla realtà che ci circonda e, soprattutto, sulla nostra esistenza, che trascorre velocemente in ogni istante ed è incontenibile tanto più si cerca di capirla, proprio come la sabbia di una spiaggia ci sfugge da ogni parte quando proviamo a stringerla in mano. Per aiutarci a comprendere la realtà e le scelte che ci impone il ruolo ci viene in aiuto il pensiero filosofico che si pone al di sopra di ogni altra attività cognitiva, non limitandosi allo sforzo di interpretare il funzionamento della realtà, ma che richiede anche di spiegare perché essa proceda con certe modalità e nel far ciò si sostiene sulla ragione, cioè sulla facoltà che più di ogni altra si impegna ad interpretarla con la forza della comprensione pura che costituisce il faro a cui far riferimento nel nostro percorso di lavoro quotidiano. La filosofia rifugge dai postulati e in ciò risiede la sua grandezza: non accetta nulla per scontato, non solo prova a risolvere problemi, ma ne solleva anche di nuovi, senza accontentarsi mai dei provvisori traguardi cui è pervenuta, ma apre nuovi orizzonti, semina nuovi dubbi e subito si lancia a capofitto per risolverli. Il “manager filosofo” accetta la responsabilità di affrontare il mandato, assegnato dal suo ruolo, di interrogarsi costantemente senza chiudersi nei confini posti da riflessioni istintive o abitudinarie o, peggio, in fantasiose visioni di realtà.

Il manager è, dunque, una “persona” che appartiene anch’essa all’organizzazione, si nutre al suo interno della stessa strategia e ne è il principale interprete e diffusore. Una persona connotata dalla decisionalità che lo caratterizza come “l’uomo faber”, che sa rinnovarsi, sa comprendere e cogliere rapidamente tutte le opportunità che si presentano, ma anche quelle nascoste dietro ogni angolo, che sia motivato, ma che sia anche una motivazione per gli uomini che dirige.

Un “persona” costituita di pensiero, di una attività della sua mente che non si vede ma che si realizza nella formazione delle idee, dei concetti, della coscienza, dell’immaginazione, dei desideri, della critica, del giudizio, e di ogni raffigurazione del mondo sia conscio che inconscio. che costruiscono una realtà visibile.

Gli psicologi definisco il pensiero come la manipolazione delle rappresentazioni mentali delle informazioni, che si possono rappresentare sotto forma di parola o di immagine, per riuscire a rispondere a domande, risolvere problemi e raggiungere obiettivi. Ma il pensiero è anche collegato al cuore, all’anima, alle nostre emozioni e a volta il pensiero può assumere modalità che fanno scorre la nostra vita dall’ansia alla tranquillità, dal saper decidere alla più profonda delle incertezze.

L’insieme dei “Ricordi” di Marco Aurelio concorre a delineare una nuova immagine del manager che non corrisponde all’essere perfetto, modello insuperabile sempre e comunque, ma un uomo singolo fra uomini singoli, fragile e solitario, impegnato ad agire attraversando il permanente fluire del tempo che rende precari gli eventi, a dedicarsi agli altri, ad agire per loro e con loro in una dimensione che è quindi anche management.

La lettura della sua opera equivale ad aver parlato con uno dei migliori docenti dei migliori master.

L’amico Marco Aurelio che dialoga con voi, siete voi stessi quando ricercate da soli la giusta via da percorrere. Se saprete farvi “compagnia” insieme aiutandovi con la certezza di riuscire, riuscirete.

Articolo a cura di Antonello Goi

Profilo Autore

Laureato presso l’Università Statale di Milano in Filosofia, ho acquisito un’esperienza nell’ambito delle Risorse Umane.
In particolare ho assunto la responsabilità, in azienda Leader delle telecomunicazioni, della Selezione del personale, della Formazione, Gestione HR, Relazioni Industriali.
Collaboro per gambelassociati per quanto riguarda la Formazione Manageriale Aziendale e Interaziendale, attraverso attività di consulenza, progettazione ed erogazione di corsi di formazione.

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