L’instaurazione del rapporto di lavoro nel CCNL dirigenti industria

L’articolo 2 del CCNL dirigenti industria, intitolato all’instaurazione del rapporto, dispone quanto segue:

  1. L’assunzione o la promozione a dirigente debbono essere effettuate per iscritto con indicazione delle funzioni attribuite, del trattamento economico e delle eventuali condizioni di miglior favore rispetto alle clausole del presente contratto.
  2. L’eventuale fissazione del periodo di prova, limitatamente ai dirigenti di nuova assunzione e comunque per una durata non superiore a sei mesi, potrà essere concordata fra le parti e dovrà risultare da atto scritto.

Per l’assunzione o la nomina dei dirigenti l’articolo 2 del CCNL dirigenti industria prescrive la forma scritta ad substantiam (“debbono essere effettuate”). Ciò comporta che, in assenza di un atto scritto, deriva la nullità dell’intero rapporto o dell’assunzione, fermo restando che, in caso di contestazioni, spetta al lavoratore provare di aver svolto una attività rientrante nella descrizione di cui all’articolo 1 del contratto collettivo.

Nella lettera di assunzione, che deve essere sottoscritta per accettazione dal dirigente, occorre innanzitutto indicare la data di inizio del rapporto; analoga previsione deve essere contenuta nell’ipotesi riferita, non già ai dirigenti di nuova nomina, ma a quei soggetti (quadri o impiegati) dipendenti dell’azienda che vengono promossi a dirigenti.

Il periodo di prova – eventuale – può essere previsto soltanto per i dirigenti di nuova assunzione (comma 2), con esclusione quindi delle ipotesi di promozione e di riassunzione di dirigenti già occupati presso la stessa azienda. In questo caso, infatti, il datore di lavoro è già in grado di valutare le capacità professionali del lavoratore – costituenti oggetto specifico della prova – posto che lo stesso è già stato, o lo è ancora, alle sue dipendenze.

L’imposizione della forma scritta per l’ammissibilità di un preventivo periodo di prova a cui subordinare l’assunzione è prevista dall’art. 2096 c.c., sì che, in mancanza, il dirigente deve senz’altro essere considerato assunto a tempo indeterminato.

La clausola di apposizione del termine deve essere indicata nella lettera di assunzione e ciò deve essere stipulato antecedentemente o al massimo contestualmente dall’inizio del rapporto, pena la nullità della relativa pattuizione con la conseguente instaurazione immediata di un contratto a tempo indeterminato.

L’espresso riconoscimento dell’applicazione integrale del contratto collettivo dirigenti industria e sue eventuali modifiche può risultare non necessario laddove le parti aderiscano entrambe alle associazioni sindacali stipulanti; diviene, invece, indispensabile, ai fini dell’applicazione del contratto stesso, se una o tutte e due le parti non aderiscono alle predette associazioni e intendono ugualmente applicare l’accordo in oggetto.

Particolare importanza assume “l’indicazione delle funzioni attribuite”. Oltre che a delineare, ai sensi dell’articolo 1, la figura del dirigente, ad essa, infatti, si riconnettono particolari conseguenze, come ad esempio, quelle relative alla responsabilità civile e penale dello stesso (articolo 15).

È, infatti, chiaro che il dirigente può essere ritenuto responsabile del suo operato soltanto se viene effettivamente messo nelle condizioni di poter determinare, in tutto o in parte, l’andamento aziendale, per cui al momento della conclusione del contratto deve essere prestata grande attenzione alla precisa determinazione della sfera di competenza e, soprattutto, di autonomia del dirigente.

In mancanza dell’indicazione del trattamento economico si può fare diretto riferimento all’articolo 3 [Trattamento minimo complessivo di garanzia], a meno che tra le parti non sia previsto un trattamento economico complessivo di maggior favore.

Sempre nella lettera di assunzione o di nomina possono essere, inoltre, contenuti eventuali altri elementi utili a precisare la posizione del dirigente nell’ambito dell’azienda o qualsiasi altro chiarimento utile alla definizione del rapporto di lavoro. Così, ad esempio, possono essere predeterminate le ipotesi di concessione dell’aspettativa ex articolo 8, possono essere risolti i problemi di riproporzionamento delle ferie (articolo 7) o del preavviso (articolo 23) del dirigente assunto a tempo parziale oppure quelli relativi alla conservazione del posto di lavoro al dirigente in prova in caso di infortunio o malattia.

Il contratto individuale di lavoro è anche la sede più opportuna per l’apposizione di una clausola limitativa del diritto del dirigente a ricercare un’occupazione in un settore in concorrenza con l’attività dell’azienda, nel periodo immediatamente successivo alla cessazione del rapporto (patto di non concorrenza).

L’articolo 2125 c.c. dispone in proposito che “il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo”. La durata di tale vincolo non può, peraltro, superare i cinque anni, e se ne è prevista una superiore essa viene necessariamente ricondotta nel suddetto limite.

Se il patto limitativo della concorrenza viene stipulato dopo la cessazione del rapporto di lavoro e la risoluzione del contratto non è più applicabile l’art. 2125 c.c., bensì l’art. 2596 c.c., secondo cui l’accordo deve essere provato per iscritto (forma scritta, quindi, non più ad substantiam, ma ad probationem) ed è valido solo se circoscritto ad una determinata zona e ad una determinata attività, per un limite temporaneo massimo di cinque anni.

Tutte le variazioni delle condizioni contenute nella lettera di assunzione, intervenute nel corso del rapporto di lavoro, devono essere comunicate in forma scritta. Allo scopo di precostituirsi validi strumenti probatori sarà naturalmente opportuno utilizzare quelle forme di comunicazione adatte a tale scopo.

Infine, l’articolo 27 dispone che la nomina a dirigente di un dipendente già in servizio comporta il riconoscimento dell’anzianità già maturata in un’altra qualifica, con l’aggiunta delle anzianità convenzionali cui il dirigente abbia diritto.

A norma dell’art. 2096 c.c. e della previsione di cui al comma 2 della clausola in commento, l’assunzione di un lavoratore per un periodo di prova deve risultare da atto scritto che, secondo l’orientamento prevalente, deve necessariamente precedere o essere contestuale all’instaurazione del rapporto.

Se, quindi, l’azienda acconsente a che il dirigente inizi la propria attività, rimandando anche di poco tempo la formalizzazione di un accordo verbale già raggiunto, viene a trovarsi nelle condizioni di non potere legittimamente più apporre al contratto di lavoro la clausola della prova.

L’azienda e il dirigente sono tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova, mentre, durante detto periodo, ciascuna delle parti può recedere dal contratto di lavoro senza obbligo di preavviso. Occorre, comunque, tenere presente che, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non consente lo svolgimento della prova, o vi consente in maniera inadeguata, il licenziamento può essere oggetto di sindacato da parte del giudice, che potrebbe, quindi, dichiararne anche l’illegittimità.

Allo scadere del periodo di prova l’assunzione diviene definitiva, e il periodo di attività già prestato va computato nell’anzianità di servizio del dirigente.

La durata massima del periodo di prova è stabilita in sei mesi (comma 2), così come del resto dispone l’art. 4 del r.d.l. 1825/1924, convertito con legge 562/1926 [Disposizioni relative al contratto di impiego privato]. Dal computo rimangono, peraltro, esclusi eventuali periodi di sospensione del rapporto. In particolare, se il periodo è stabilito in mesi, come nel caso qui esaminato, occorre considerare l’attività effettivamente svolta, senza tener conto dei periodi di sospensione dell’attività per determinati eventi (malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, permessi, sciopero, ferie, con la sola esclusione dei riposi settimanali e delle festività, che devono essere conteggiati).

Non è consentito far svolgere la prova al lavoratore, quadro o impiegato, già dipendente dell’azienda, che viene promosso dirigente. Tale previsione è da estendere anche ai dirigenti già occupati in passato presso lo stesso datore di lavoro.

In caso di risoluzione del rapporto durante la prova spettano al dirigente:

  • I ratei di tredicesima mensilità.
  • L’indennità sostitutiva delle ferie maturate.
  • Il trattamento di fine rapporto.

Al termine del periodo di prova entrambe le parti sono libere di recedere dal contratto, oppure di continuarne l’esecuzione. In questo caso, affinché il rapporto diventi definitivo, non è necessario che il datore di lavoro renda formalmente esplicita la sua volontà di confermare il lavoratore assunto in prova, ma è sufficiente che l’attività lavorativa prosegua, anche per breve tempo, dopo la scadenza.

Alcuni problemi possono porsi nel caso di assunzione di dirigenti a tempo parziale, laddove si tratta di individuare un parametro di riproporzionamento per la durata del periodo di prova.

Per quanto riguarda i part-time orizzontali (ossia quelli che prevedono un orario ridotto nel corso della giornata lavorativa) non sembra che alla prova possano applicarsi termini massimi diversi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo. Assumendo un dirigente a tempo parziale l’azienda è infatti perfettamente consapevole del ridotto apporto lavorativo che lo stesso può comunque garantire dopo il superamento della prova, ed è proprio su queste basi che deve, quindi, valutare la riuscita o meno dell’esperimento.

La naturale sospensione dal lavoro nei casi di part-time verticale, ciclico o misto (alcuni giorni/settimane/mesi su base annua) può essere invece ricondotta a quei periodi di sospensione del rapporto di cui sopra, con la conseguenza che, in tal caso, il periodo di prova deve essere riferito soltanto ai periodi di effettiva attività.

In ogni caso, resta consigliabile, onde evitare successive contestazioni, che al momento della stipula del contratto le parti raggiungano un accordo specifico sul punto della durata della prova, motivando espressamente l’adozione di un periodo più lungo – o meglio, riproporzionato – con la particolarità di un rapporto di lavoro a tempo parziale.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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