L’ambiente di lavoro nelle previsioni del CCNL Industria Metalmeccanica

Premesse e principi generali

L’articolo 1, sezione IV, Titolo V, del vigente CCNL metalmeccanici è dedicato a “Ambiente di lavoro – Salute e sicurezza”.

Questa clausola va tenuta in debita considerazione in quanto riflette l’attenzione che le disposizioni di legge vigenti pongono sul tema della sicurezza in azienda. È difficile rinvenire aspetti che non siano già previsti e gestiti dal sistema legale della sicurezza, nel suo insieme.

Qualche accenno possono meritare le seguenti evidenze:

  • Potranno essere sperimentate modalità di coinvolgimento attivo dei lavoratori nell’organizzazione dell’attività di prevenzione finalizzata al miglioramento della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
  • Sulla base di quanto concordato nelle Linee guida dell’8 ottobre 2018 potranno altresì essere sperimentati e/o attivati, anche in accordo con la R.S.U., i cosiddetti break formativi consistenti in un aggiornamento del lavoratore sulla sicurezza attraverso brevi momenti formativi (15-20 minuti al massimo) da collocarsi durante l’orario di lavoro in funzione delle esigenze tecnico-organizzative.
  • Nell’ambito degli attuali incontri periodici tra R.S.P.P. e R.L.S. sarà possibile discutere di emissioni, di trattamento rifiuti, di impatto energetico e di ambiente con il coinvolgimento dei rappresentanti aziendali che seguono i diversi temi.
  • Il registro infortuni, eliminato dall’articolo 21 comma 4, D.Lgs. n. 151/2015, è sostituito con il “Cruscotto infortuni” messo a disposizione dall’Inail.
  • In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza secondo quanto previsto dall’Accordo interconfederale 22.6.1995 in applicazione dell’articolo 18 del D.Lgs. 19.9.1994, n. 626 (attuale articolo 47, D.Lgs. 9.4.2008, n. 81, come modificato dal D.Lgs. 3.8.2009, n. 106).
  • Ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S.) sono attribuiti, in parti-colare, diritti in materia di formazione, informazione, consultazione preventiva, accesso ai luoghi di lavoro, da esercitare secondo le modalità e nei limiti previsti dalle norme vigenti e dalle procedure aziendali.
  • Negli stabilimenti di cui all’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 17.8.1999, n. 334 come modificato dal D.Lgs. 21.9.2005, n. 238, su richiesta delle R.S.U., è istituito il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e l’Ambiente (R.L.S.A.) che, fermo restando il numero complessivo di rappresentanti già previsto dalle norme contrattuali, subentra nella titolarità dei diritti, del ruolo e delle attribuzioni pre-visti dalla legge e dalle norme contrattuali per il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
  • Le parti, ritenendo utile la rilevazione dei quasi infortunio ai fini dello sviluppo della cultura della prevenzione e del miglioramento continuo della sicurezza sul lavoro, convengono che potranno essere sperimentati a livello aziendale, previa valutazione congiunta tra R.S.P.P. e R.L.S., sistemi e modalità per la segnala-zione dei quasi infortuni e delle situazioni pericolose nell’intento di individuare opportune misure gestionali.

Le esigenze di tutela della salute e sicurezza del lavoratore negli ambienti di lavoro, hanno subito un percorso normativo che si è venuto a sdoppiare, prevedendosi un apparato di norme sulla prevenzione degli infortuni ed un altro corpo di norme sulla gestione dell’evento infortunistico, una volta manifestatosi, con gli accadimenti del caso. Le disposizioni principali e tendenzialmente esaustive di questo secondo profilo sono contenute nel d.p.r. 1124/1965, sulla tutela degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, tutela da intendersi sia sul piano normativo, sia sul piano economico, integrate a loro volta dalle previsioni contrattuali di presidio e supporto che regolamentano gli eventi infortunistici e per malattie professionali, una volta accaditi e manifestatesi.

È fuori di dubbio che le istanze alla base della tutela della salute e sicurezza del lavoro muovano da istanze naturali di tutela della persona del lavoratore che, nell’economia del rapporto di lavoro ha decisamente un rilievo centrale, presentando l’esistenza di norme specifiche di tutela in numerosi istituti legali e contrattuali, come nel caso della clausola del CCNL qui in commento, che presenta ed espone una serie di regole che ribadiscono principi legali, ma che spesso costituiscono istanze contrattuali mirate alla creazione di un corpo di regole, dette altrimenti best practice, o comportamenti virtuosi, che nel contratto collettivo metalmeccanici hanno trovato asilo quali forme di presidio e stimolo dell’attenzione di tutti i soggetti, collettivi ed individuali, comunque attratti nella potenziale sfera di azione di tutta la materia.

La tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, il rispetto dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile delle attività produttive sono valori condivisi dalle parti a tutti i livelli e costituiscono obiettivi comuni dell’azienda e dei lavoratori, a partire dal rispetto degli obblighi previsti dalle disposizioni legislative vigenti, secondo il preambolo dell’articolo in commento, che, molto opportunamente, apre il sistema ad una valutazione complessiva anche in una ambito di sviluppo sostenibile, non essendo possibile accettare numeri che parlano di 1.000 morti per anno a causa di infortuni sul lavoro.

Molto opportunamente la clausola contrattuale ribadisce, che coerentemente con questi obiettivi, il datore di lavoro, i dirigenti e preposti, i lavoratori, il medico competente (ove previsto), il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza collaborano, nell’ambito delle rispettive funzioni e responsabilità, per eliminare o ridurre progressivamente i rischi alla fonte e migliorare le condizioni dei luoghi di lavoro, ergonomiche ed organizzative, i livelli di salute nei luoghi di lavoro e di tutela dell’ambiente.

Le istanze di protezione si sono arricchite nel tempo, espandendosi fino alla protezione della personalità morale del prestatore di lavoro, ma sempre muovendo dal punto di partenza rappresentato dalla tutela della salute e sicurezza del medesimo.

È assodato che la causa prossima di un infortunio o di una malattia, oltre che di origine extra professionale, possano trovare la loro causa scatenante nell’ambiente di lavoro.

Già questa eventualità pone i correlati problemi di tutela in chiave prevenzionistica, rispetto agli eventi lesivi della salute (e sicurezza), con l’obiettivo pregnante, assorbente e virtuoso di scongiurare o ridurre al massimo i rischi connaturalmente legati allo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno degli ambienti di lavoro.

A questa finalità è rivolta, sin dall’impianto cardine del codice civile, la previsione dell’art. 2087, la quale sancisce il c.d. “obbligo di sicurezza”, inserito giocoforza nel contenuto normativo ed obbligatorio del contratto di lavoro, al quale corrisponde un diritto (soggettivo) del lavoratore subordinato.

Il dovere di sicurezza richiede un impegno specifico e tecnico, finalizzato all’emersione delle concrete “misure di sicurezza” che, in ogni situazione lavorativa, il datore di lavoro e imprenditore è tenuto ad adottare, al fine di proteggere innanzitutto, la integrità fisica del prestatore di lavoro.

La legge è intervenuta negli anni lontani del 1955 e 1956 attraverso l’introduzione di una miriade di disposizioni volte al presidio dell’azione imprenditoriale, nell’ambito degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro, basate su una infinita elencazione di misure tecniche/specifiche volte ad attutire l’impatto dei fattori di rischio derivanti dall’espletamento materiale delle mansioni di lavoro da parte dei lavoratori soggetti interessati.

Peraltro, l’obbligazione generale dell’art. 2087 c.c. si è sempre più spinta, per adattarsi all’evoluzione della scienza e della tecnica, nell’ambito delle condizioni di lavoro, imponendo, di fatto, al datore di lavoro un obbligo di continua ricerca delle soluzioni tecniche anzidette, fino a ricomprendervi le c.d. cause innominate – con le corrispondenti misure di sicurezza – comunque rinvenibili nell’evoluzione tecnologica degli ambienti di lavoro e del relativo contesto. La giurisprudenza ha elaborato questo concetto di adattamento e ricerca continua in modo tale da ricomprendervi il principio della “massima sicurezza tecnologicamente ottenibile”, in forza del quale, per l’esenzione da responsabilità, l’imprenditore non può ritenersi libero dagli oneri severi connessi all’inadempimento limitandosi a rispettare, acriticamente, le regole tecniche vigenti nel tempo, essendo invece tenuto ad adottare tutte le misure ulteriori (e, per ciò stesso, definibili come “innominate” con una azione continuativa di aggiornamento verso macchinari, presidi e relative forme di tutela esistenti nel mercato e ragionevolmente individuabili e reperibili).

Frequentemente, la giurisprudenza individua la responsabilità di un imprenditore per un infortunio sul lavoro: 1) per non aver vigilato a sufficienza affinché esso non si producesse (culpa in vigilando) o 2) per non aver scelto con diligenza e senso di responsabilità soggetti capaci, in pratica, di impedire l’evento infausto o nefasto (culpa in eligendo).

IL TU sicurezza

La normativa strutturata come sopra (obbligo di sicurezza, oltre regolamenti tecnici) operava esclusivamente sul piano della dissuasione, attesa la miriade di violazioni che prevedeva e univa, anche severamente, con sanzioni penali, aveva con sé un limite intrinseco, quello dominante della reale carenza di una organizzazione concreta della prevenzione in azienda.

La direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989 esprimeva una tendenza a concentrare tutti il sistema della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro con una evidente azione di promozione, volta al miglioramento del sistema. Dal processo di attuazione in Italia è scaturito il d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, al quale si deve l’inizio di una nuova cultura della prevenzione, anche se ad esso non sono seguiti i risultati sperati, atteso il numero di infortuni, anche mortali, in crescente aumento e in assestamento.

Si sentiva ancora, nell’impianto legislativo globale, una certa lacuna di base, ovvero la mancata diffusione e recepimento conseguente di una regola generale di cultura della sicurezza, attraverso il recepimento della stessa dai soggetti interessati, sotto la cura di una vigilanza amministrativa più stringente. Si è giunti così, in quest’ottica culturale e di metodo, all’emanazione del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (successivamente corretto in molti interventi e, dunque. s.m.i.), TU sicurezza.

Molte sono le innovazioni inserite nella disciplina di legge, sulle quali valgano i seguenti cenni schematici:

  • Non applicabilità al solo lavoratore subordinato in senso stretto, ma anche a tutte le persone che, comunque, svolgono una attività in un presidio di rischio all’interno di una qualsiasi forma di organizzazione.
  • Assoggettamento alla disciplina del collaboratore coordinato e continuativo, ove la prestazione si svolga nei luoghi di lavoro del committente; al socio lavoratore di cooperativa o di società; al lavoratore in tirocinio e di orientamento.
  • Il datore di lavoro viene definito come il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la sua attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
  • È previsto che il datore di lavoro possa delegare ad altro collaboratore dipendente le proprie funzioni in materia di sicurezza del lavoro, secondo precisi e rigorosi limiti procedurali (escludendosi dalla delega, peraltro, la redazione del Documento di Valutazione dei rischi (DVR) e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione).
  • Sono previsti, nell’ambito dei vari livelli gerarchici ed organizzativi, obblighi a carico dei dirigenti (anche in questo caso come focalizzati e definiti nel TU Sicurezza).

Gli obblighi di sicurezza

Il TU impone, al vertice del sistema di sicurezza, l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c., letto alla luce degli standard delle “massima sicurezza tecnicamente fattibile”, come già sottolineato precedentemente.

Vengono disciplinate, innanzitutto, le misure generali di sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, così riassumibili e schematizzabili:

  • La valutazione di tutti i rischi.
  • La programmazione della prevenzione.
  • L’eliminazione dei rischi o, comunque ed in ogni caso, la loro riduzione al livello minimo tecnicamente raggiungibile, con le competenze e conoscenze tecniche dettate dalla scienza e dalla tecnica.
  • Il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro (lavori monotoni e ripetitivi).
  • La riduzione dei rischi alla loro fonte.
  • La sostituzione (nel senso più ampio del termine: macchine, processi, prassi, etc.) di ciò che costituisce pericolo con ciò che ne è esente o lo riduce effettivamente.
  • Il controllo sanitario dei lavoratori.
  • L’informazione e la formazione, calibrate ed adeguate, per tutti gli attori del sistema di tutela e prevenzione: lavoratori, dirigenti, preposti.
  • La partecipazione e consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Il sistema prevede, come integrazione e logica conseguenza di tutto ciò, una serie analitica e dettagliata di obblighi a carico del datore di lavoro, nonché, per limiti e competenze attribuite, dei dirigenti e preposti, la maggior parte dei quali è presidiata da un severo sistema di sanzioni penali (nonché di sanzioni disciplinari per questi ultimi).

Il DVR, che costituisce l’obbligo più rilevante per il datore di lavoro, ha per oggetto l’effettuazione con il supporto del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, e si concretizza in una relazione dettagliata ed analitica di tutti i rischi esistenti negli ambienti di lavoro, incluso lo stress lavoro-correlato; l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione, correlate ed adottate; l’indicazione dei servizi di prevenzione e protezione adottati; il programma delle misure di adeguamento e miglioramento; le procedure per le misure da adottare e dei ruoli organizzativi correlati; la designazione del medico competente; l’individuazione delle mansioni che comportano rischi specifici.

La valutazione dei rischi deve essere effettuata periodicamente ed adeguata ai nuovi e diversi rischi che possono nascere nello sviluppo organizzativo, attraverso modifiche organizzative e nuovi processi di lavoro, tali da generare impatti significativi sulla salute e sicurezza del lavoro, ovviamente anche in grado del processo di evoluzione della tecnica.

I diritti dei lavoratori all’informazione e alla formazione (in relazione al dovere di sicurezza)

Il sistema della sicurezza considera fondamentale il coinvolgimento diretto dei lavoratori, al fine della diffusione di una cultura della sicurezza, in modalità estrema. Sembra quanto mai ovvio che il lavoratore possa essere chiamato a divenire parte attiva della sicurezza solo ove gli vengano fornite adeguatamente le conoscenze necessarie a tale fine (considerato che l’art. 20 del TU prevede una serie di obblighi specifici anche a carico dei lavoratori, a partire dal dovere generale (di notevole rilievo sistematico), di prendersi cura della propria sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, sui quali ricadono gli effetti delle sue azioni ed omissioni, “conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”).

L’informazione e destinata ad esplicarsi nei riguardi dei rischi generali e specifici dell’attività d’impresa e sulle misure di prevenzione adottate, la formazione è mirata ai concetti base del sistema della sicurezza, a decorrere dalla prevenzione e, ancora, su rischi e misure di prevenzione.

La formazione deve avvenire in occasione dell’assunzione, di trasferimenti o variazioni di compiti e mansioni ed è strutturata con percorsi parzialmente diversi nei riguardi dei dirigenti e preposti. Anche in questo caso ed in funzione dissuasiva, gli obblighi sono presidiati da un corpo di sanzioni penali.

In considerazione della verificata situazione che le occasioni di lavoro di per sé stesse ingenerano sempre e comunque pericoli aggiuntivi per la sicurezza, in caso di gravi e reiterate violazioni delle norme in tema di riposi e di altre norme a tutela della salute, nonché in caso di presenza di una percentuale di lavoratori irregolari pari o superiore al 10% del totale degli occupati, gli organi di vigilanza possono disporre la sospensione dell’attività di impresa e l’interdizione della stessa dagli appalti pubblici.

Al di là della prevenzione penale, sembra ovvio dover aggiungere, tra gli strumenti dissuasivi, anche il necessario e continuo presidio di una efficace vigilanza amministrativa. Il TU, in questi termini, ha tentato di migliorare la collaborazione istituzionale fra tutti gli autori del relativo sistema: imprese; sindacati; lavoratori, Ministeri; dipartimenti competenti delle aziende ATS, Ispettorato nazionale/territoriale del lavoro, INAIL, IPSEMA), con un accorpamento fresco di attuazione, ad opera di recenti interventi normativi, scaturiti dalla piaga delle c.d. “morti bianche.

È stata approvata la legge di bilancio 2022, che contiene molte novità in materia di lavoro e previdenza.

È da sottolineare l’intervento in materia di sicurezza sul lavoro contenuto nel decreto-legge in materia fiscale che accompagna la manovra per il 2022.

Si è trattato di un intervento volto al potenziamento dell’attività di vigilanza e ad un più efficace coordinamento dei livelli istituzionali coinvolti, per evitare la dispersione e la duplicazione delle competenze tra la pluralità di soggetti competenti.

Tra gli interventi ad ampio spettro contenuti nel decreto convertito spicca, per la sua pertinenza ed importanza, l’introduzione di un obbligo di formazione adeguata e specifica dei datori di lavoro (così come già prevista per dirigenti e preposti, oltre che per i lavoratori, ovviamente), che viene innestato tra gli obblighi in materia di sicurezza, con obbligo di aggiornamento periodico.

Come noto, nel provvedimento sono state inasprite sensibilmente le sanzioni in materia di salute e sicurezza, con una particolare rimodulazione in aumento, distintamente organizzata per presidi, violazioni e correlate – nuove e deterrenti – sanzioni specifiche. Su questa materia si è già scritto molto e, al di là di un esame dettagliato, per il quale si rimanda ai provvedimenti di legge, v’è da sottolineare che l’istinto “repressivo” è sempre stata la caratteristica pregnante degli interventi in tema di tutela antinfortunistica, con il limite determinante della – neppure malcelata – intenzione repressiva avulsa da una corrispondente e temporanea diffusione di una cultura della sicurezza, tale da essere forzatamente innestata nel pensiero e negli strumenti generali di sensibilizzazione. Tutto ciò considerato che l’esperienza passata ha sempre dimostrato che gli interventi repressivi “isolati” da un contesto formativo ed informativo di tutti gli attori del fronte della sicurezza, non sono serviti a far diminuire il numero degli infortuni – anche mortali – sul lavoro in Italia.

È stato ampliato il sistema di controllo, con l’estensione delle competenze dell’Ispettorato del lavoro dai cantieri edili, di cui già si occupava, a tutti i settori. È stato conferito all’Ispettorato nazionale del lavoro lo stesso perimetro di competenze che spetta ai servizi ispettivi delle AST in materia di vigilanza sulla salute e sulla sicurezza, alle quali, però, nulla è stato sottratto.

Sono potenziati degli organici, con l’assunzione di circa 2000 nuovi ispettori.

È stato rivitalizzato lo strumento della sospensione dell’attività imprenditoriale per motivi di salute e sicurezza sul lavoro, che si aggiunge allo strumento esistente della prescrizione. Con la recente conversione è stata anche prevista, ai fini della sospensione per lavoro irregolare, l’ipotesi di personale occupato come lavoratori autonomi occasionali, in assenza delle condizioni richieste dalla normativa.

In tema di contestuale verifica della regolarità dei rapporti di lavoro, il decreto-legge ha previsto, da un lato, il rafforzamento dell’attività di coordinamento e ispettiva, avendo come obiettivo quello di prevenire le situazioni di illegalità e di pericolo e, dall’altro lato, l’inasprimento delle sanzioni nei confronti delle imprese inadempienti, sia di quelle che non abbiano posto in essere le misure preventive previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008 sia di quelle presso le quali si riscontrano dei lavoratori in nero.

Altro intervento contenuto nel richiamato decreto ha riguardato la qualità degli interventi ispettivi.

Attraverso l’attivazione, dopo oltre 13 anni dal Testo unico n. 81 del 2008, del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), si realizza uno scambio di informazioni tra INAIL, Ispettorato del lavoro, INPS e AST in tempo reale.

Un’apposita sezione del Sistema informativo sarà dedicata alle sanzioni irrogate nell’ambito della vigilanza, con il fine di ricostruire la storia e l’evoluzione, sotto il profilo della sicurezza, delle imprese sottoposte a verifiche.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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