Leadership ai tempi del Covid-19: navigazione a vista

Per molto tempo ho trascorso bellissime vacanze estive veleggiando, insieme a mia moglie, nel Mediterraneo. Naturalmente l’esperienza è maturata nel tempo, e ho dovuto imparare, un po’ alla volta, le tante differenze tra questa tipologia di viaggio e il solo apparentemente analogo tour in roulotte o camper, che pure avevamo praticato.

Una prima lezione me la diede un anziano ormeggiatore ligure, ex marinaio, che – al mio saluto “Ciao, stiamo andando a Cannes” – rispose: “Casomai state andando verso Cannes”. La navigazione a vela, infatti, specie con le imbarcazioni più piccole, è estremamente soggetta ai capricci del vento, all’epoca (oltre venti anni fa) molto meno prevedibili di quanto non ci consentano gli attuali modelli metereologici previsionali, in termini sia di intensità che di provenienza. Certo, si può anche avanzare in direzione contraria, ma consapevoli che l’andatura di bolina comporta, come dicono i francesi “due volte la strada, tre volte il tempo, quattro volte la fatica” rispetto alle andature portanti. Ciò non significa che non si possano fare programmi, che anzi sono indispensabili. Diceva Seneca: “Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare”. Bisogna però essere consapevoli del fatto che ogni nostro piano è fondato su ipotesi delle “condizioni al contorno” che potrebbero rivelarsi fallaci, e rispetto alle quali potremmo essere costretti a ripetuti aggiornamenti dei nostri programmi, non tanto in termini di destinazioni da raggiungere, quanto di rotte da seguire. Lo skipper più capace si rivelerà pertanto non quello che garantisce l’improbabile (se non impossibile) puntuale rispetto di un piano di navigazione dettagliatamente predisposto a priori (magari mesi prima, in qualche serata invernale…), ma quello che (sub)ottimizza la navigazione in base agli eventi che via via si succedono più o meno imprevedibilmente (la burrasca improvvisa, il guasto al motore ausiliario, l’impossibilità di ormeggio in un porto troppo affollato, ecc.).

Fuor di metafora: molte nostre imprese sono abituate ad operare in contesti altamente prevedibili, soggetti a variabilità limitate delle normali variabili esogene: andamento della domanda, quote di mercato, costo delle materie prime, ecc. Certo, ambiti di incertezza – anche notevole – ci sono sempre, ma in termini normalmente abbastanza circoscritti dall’esperienza.

La pandemia del Covid-19 ha cambiato tutto questo: a distanza di quattro mesi dal suo inizio non siamo ancora in possesso di dati certi sia sul morbo (quali sono i fattori che ne influenzano la contagiosità? Qual è la quota percentuale degli asintomatici? Quali sono le terapie di contenimento più efficaci? Quanto sono probabili gli ipotizzati nuovi picchi autunnali?) sia, e soprattutto, sulla possibilità (e relativi tempi) di disponibilità di un vaccino efficace. La stessa crisi finanziaria del 2007-2009, pur nella sua eccezionalità, si muoveva nell’ambito di parametri comunque conosciuti, o comunque meno indeterminati. Una recente indagine condotta dalla Arthur D. Little presso alcuni top manager Italiani, di Hong Kong e Singapore, ha evidenziato quattro differenze tra l’attuale crisi e le precedenti: le difficoltà nel trovare informazioni attendibili; la velocità con la quale gli eventi si sono sviluppati; l’imprevedibilità di una crisi che ha colpito l’intero “ecosistema” di fornitori e partner; l’assoluta incertezza sul futuro.

Dal punto di vista del leader, amministratore pubblico o d’impresa, il contesto appare quindi sostanzialmente innovato rispetto alle condizioni “as usual”: tornando alla nostra metafora, è come se il comandante di un rimorchiatore d’altura, abituato a navigare rispettando tempi e destinazioni programmati con largo anticipo, contando sulla sostanziale capacità del proprio naviglio di affrontare con successo qualunque situazione metereologica, anche grazie a moderne strumentazioni di bordo, si ritrovasse ad affrontare “la tempesta perfetta” con una ben più fragile imbarcazione a vela, e potendo contare solo sulla strumentazione più “antica” e tradizionale (barometro, sestante) per orientare le proprie scelte.

Il contesto diventa così molto più difficoltoso; la burrasca non colpisce però tutte le imbarcazioni allo stesso modo: entrano in gioco la stazza, le attrezzature, la professionalità di comandante ed equipaggio, ma anche la posizione in cui si trovano e le mete che vorrebbero raggiungere.

Cominciamo dai più fortunati: il vento, violentissimo, soffia in direzione della nostra rotta; la navigazione sarà comunque difficoltosa, con continue planate su onde gigantesche, ma se l’imbarcazione è solida, e l’equipaggio esperto, raggiungeremo la nostra meta prima del previsto. È questo il caso di molte imprese dei settori informatico (soprattutto), ma anche farmaceutico, elettromedicale e, in parte, alimentare, che usciranno dalla congiuntura più forti di prima.

Ci sono poi imbarcazioni che navigano in un golfo ridossato rispetto al fortunale: risentono della burrasca, la loro navigazione sarà dura, e probabilmente non riusciranno a raggiungere tutte le mete prefissate, ma comunque non registreranno danni catastrofici. È questa la situazione di imprese che operano in mercati meno violentemente colpiti dal lockdown, spesso in situazioni di monopolio più o meno naturale, come, ad esempio, le utilities (con alcuni segmenti, come l’idrico e – in parte – la distribuzione dell’energia, meno colpiti di altri).

Per tutte le altre, che sono state sorprese, al largo, da una tempesta che le allontana sempre più dalla rotta prefissata, le opzioni possibili sono sostanzialmente due.

  • Mettersi “alla cappa”: manovra che comporta la riduzione della velatura ed il posizionamento dell’imbarcazione in condizioni che consentano, almeno si spera, di evitare il naufragio e di ridurre l’arretramento rispetto alla meta prefissata, in attesa del ripristino di condizioni “normali”;
  • risalire il vento, lottando contro la burrasca, augurandosi che lo scafo e l’attrezzatura resistano fino a quando l’affievolirsi del fortunale consentirà di tornare a condizioni di normalità, ed insieme valutando tempestivamente ogni possibile meta alternativa rispetto a quella prefissata.

La scelta tra le due opzioni non è mai facile. Per decidere non solo dobbiamo essere consapevoli delle caratteristiche strutturali della nostra imbarcazione e dell’esperienza dell’equipaggio, ma siamo anche costretti a fare ipotesi (ragionevoli?) sulla possibilità che i viveri a bordo siano sufficienti a garantirci la sopravvivenza sino al raggiungimento di un approdo ospitale, nell’uno o nell’altro caso. Fuor di metafora: mettersi alla cappa significa prolungare la sospensione delle attività (anche oltre i vincoli temporali fissati dal lockdown) nell’attesa del ripristino di condizioni non solo di materiale operatività, ma anche di un minimo di redditività. È il caso, ad esempio, delle molte attività di ristorazione e turistiche che stanno già rinunciando ad operare nella prossima stagione estiva.

Nel secondo caso, invece, si trovano le aziende che cercano comunque di continuare a produrre il più possibile, eventualmente procedendo a improvvise e radicali riconversioni – come le imprese del tessile che si stanno dedicando alla produzione di dispositivi di protezione individuale – in attesa del ritorno a condizioni di normalità.

Solo il futuro ci dirà quali sono state le scelte migliori. Chi sarà chiamato a valutare l’operato dei leader in questa difficile congiuntura (gli azionisti per le imprese, gli elettori per le pubbliche amministrazioni) dovrà essere comunque consapevole dell’oggettiva difficoltà in cui essi si sono trovati ad agire e dell’enorme influenza che gli imprevisti, e imprevedibili, sviluppi della situazione avranno sui risultati ottenuti.
L’unico errore che non potrà essere perdonato sarà quello di chi, di fronte alla crisi, ha deciso di non decidere, e di subìre passivamente gli eventi.

 

Articolo a cura di Nicola Costantino

Profilo Autore

Nicola Costantino (Bari, 1951) è docente di Ingegneria Economico Gestionale presso il Politecnico di Bari, del quale è stato Rettore dal 2009 al 2013. È autore di circa 300 pubblicazioni, sui temi del construction management, del project management, del supply chain management e delle relazioni tra economia e tecnologia, ed ha svolto attività di ricerca e didattica anche in USA, Cina, Regno Unito, Danimarca e Spagna.
Nel 1996 ha conseguito il brevetto di Certified Cost Engineer dell’ICEC – International Cost Engineering Council, e nel 2006 il titolo di Fellow della Royal Institution of Chartered Surveyer. Dal 1977 al 1993 è stato Direttore Tecnico di una importante impresa di costruzioni, curando la realizzazione di alcune grandi opere di ingegneria industriale e civile. Tra il 2014 ed il 2016 è stato Amministratore Unico di Acquedotto Pugliese SpA. Attualmente è componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e, dal 2017, Presidente del Consiglio d’Amministrazione di Retegas Bari SpA.

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