L’approccio motivazionale nella pubblicità moderna: la svolta politica del marketing sportivo

La comunicazione si è evoluta sotto molti aspetti per quanto riguarda la pubblicità, che sia essa su social media, internet, televisione o radio. Purtroppo negli ultimi anni si è dato quasi esclusivamente risalto alla rivoluzione digitale, con l’attenzione degli addetti ai lavori troppo spesso focalizzata sul solo strumento di veicolazione digitale, anziché sui contenuti.

Partendo dalla premessa che l’esplosione della pubblicità su social media e internet ha sicuramente comportato un cambiamento radicale su costi e programmazione – e che l’evoluzione tecnologica ha permesso la diffusione di una qualità audiovisiva di altissimo livello – ciò che forse è cambiato in modo più radicale è l’approccio con la quale l’impresa comunica con la propria audience, il così detto appeal della pubblicità.

Gli obiettivi di notorietà

Nei decenni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, per effetto della maggiore integrazione dei mercati in seguito al raggiungimento degli obiettivi del Piano Marshall, la pubblicità in radio e televisione aveva valenza per lo più informativa. L’impresa si poneva infatti il fine essenziale di farsi conoscere dalla propria domanda. Si è trattato del periodo di affermazione del marketing come funzione aziendale nelle multinazionali statunitensi e dei primi approcci delle PMI a un superamento della mera attività di promozione commerciale.

Il branding si basava su politiche molto semplici, seppur estremamente costose. A fronte di una minore concorrenza infatti l’obiettivo era creare un aumento significativo di brand awareness (notorietà) con pochissime attenzioni all’immagine. Il punto cruciale per il marketer di allora consisteva nel far riconoscere un certo brand dal più alto numero possibile di potenziali clienti in alcune specifiche classi di prodotto. I media del tempo (televisione, radio e carta stampata) ospitavano così messaggi pubblicitari che valorizzavano il prodotto per i suoi caratteri più tangibili e prevalentemente con modalità piuttosto basiche, con simpatici claim e slogan che ben si guardavano dal coinvolgere tematiche etiche, sociali e ambientali.

Gli obiettivi di immagine

All’aumentare della concorrenza in seguito alla globalizzazione, agli obiettivi di comunicazione sulla notorietà si è affiancata la necessità di valorizzare il brand sulle sue dimensioni qualitative (immagine). Negli anni Ottanta e Novanta tutti conoscevano gli articoli sportivi Nike, Adidas e Reebok. Il problema del marketer si sostanziava principalmente nel far comprendere al potenziale cliente le motivazioni per cui il proprio brand era migliore di un altro. Trattandosi di prodotti tra loro molto simili, la corsa alla notorietà del passato non generava quindi vantaggi competitivi sostenibili verso i concorrenti.

In questi anni, agli ingenti investimenti pubblicitari destinati a prodotti alimentari o generi utili per la casa, si iniziarono ad affiancare con maggior forza quelli relativi al settore dell’abbigliamento sportivo. In tale contesto la funzione marketing aveva fondamentalmente l’obiettivo di valorizzare il prodotto non per la sua forma sostanziale – ad esempio la scarpa – ma per le associazioni generate nelle persone dal logo sovraimpresso al prodotto stesso. Le associazioni sono le percezioni qualitative che la domanda riconosce in un brand, talvolta definite complessivamente come l’immagine, e sono andate a legarsi con aspetti sempre più profondi della società, prendendo la distanza dal bisogno di vestirsi del cliente e andando a collocarsi per lo più sui bisogni di autorealizzazione e status, progredendo quindi verticalmente nella piramide di Maslow.

Le grandi marche dell’abbigliamento sportivo passarono quindi ad un approccio motivazionale della pubblicità, in cui il messaggio ha l’obiettivo di rafforzare quanto più possibile l’idea che indossare un certo capo d’abbigliamento migliori anche l’esistenza medesima dell’individuo, valorizzando il rapporto con gli altri oltre a quello con sé stesso.

Pertanto le grandi imprese di abbigliamento sportivo iniziarono a far propri i valori della competizione, dell’auto-miglioramento e dell’autostima, andando inaspettatamente ad acquisire le capacità di empatizzare e motivare la propria audience, anche attingendo al vocabolario e al background tipici del mondo dei grandi allenatori. Slogan come “just do it” o “impossible is nothing” iniziarono quindi a imperversare nelle campagne televisive mondiali. L’obiettivo di tali strategie era convincere il target che lo sport, ovviamente mai prescindendo dall’uso dei relativi prodotti, fosse lo strumento chiave mediante il quale realizzare sé stessi.

Tali strategie funzionarono e fecero delle imprese più audaci del marketing del passato i grandi oligopolisti del settore di oggi. Tuttavia il consolidamento di tale approccio di comunicazione si affiancò a un grande cambiamento negli equilibri della società. Infatti, se finora il target poteva essere tipicamente riconosciuto nel giovane maschio sportivo occidentale, iniziava adesso a subentrare con maggior forza un nuovo pubblico di riferimento: le donne.

Il nuovo target

Anni di concorrenza commerciale sul target maschile portarono il mercato a una repentina saturazione che impediva alle imprese il raggiungimento degli obiettivi di incremento del fatturato e delle quotazioni in Borsa. Tale premessa portò il management a considerare il sempre più preminente ruolo della donna quale protagonista del mercato in un numero più ampio di settori. Il percorso di emancipazione femminile accelerava e comportava un cambiamento culturale nella società, ormai consapevole di una sua maggiore presenza sia nel mondo professionale che nel tempo libero. La conformazione stessa della domanda, per bisogni e caratteristiche, stava drasticamente cambiando.

Le imprese di abbigliamento sportivo furono rapidamente attratte dalle opportunità del mutamento, specialmente per il forte legame con il sempre più audace e seguito movimento sportivo femminile, oltre che per i valori di universalità associati allo sport. Rispetto a un passato di egemonia sportiva maschile, finalmente si stava affermando un’intera generazione di icone di competizione femminile di prim’ordine.

I messaggi pubblicitari continuarono a essere motivazionali e non smisero di considerare con attenzione il pubblico maschile, ma vi era una svolta nei contenuti della comunicazione, sempre più reindirizzati verso quel 50% di audience che finora era rimasto distante dalla luce dei riflettori. Dagli anni Novanta i messaggi rivolti alle atlete furono in forte aumento anche grazie all’introduzione di nuovi testimonial, quali iconiche e forti donne del calibro di Laila Ali e Serena Williams.

A testimonianza di questo cambiamento un celebre spot di Nike, avente per protagonista la grande tennista, recitava:

“greatest black woman tennis player
greatest black woman tennis player
greatest black woman tennis player”.

Il motto “just do it”, ad esempio, iniziò quindi a evolversi nella sua immagine più emancipata, non condiscendente, del moderno ruolo paritario della donna in società. Naturalmente gli investimenti continuarono anche sul fronte del target maschile, sempre più attraverso la sponsorizzazione di atleti militanti nelle leghe elitarie dei vari sport.

I temi successivi all’introduzione del target femminile nelle strategie di comunicazione, se considerati all’unisono di quelli più tipicamente utilizzati per il più tradizionale target maschile, mostrarono una forte virata dal novero dei valori sportivi a quelli di natura etica e sociale. Gli investimenti pubblicitari dello sport iniziarono quindi a legarsi indissolubilmente ai cambiamenti della società civile occidentale, con particolare attenzione ai giovani.

La svolta politica e i boicottaggi

Tale approccio ha subito negli ultimissimi anni una nuova trasformazione, mescolandosi non solo al dibattito sociale ma anche a quello politico e istituzionale. Le statunitensi Under Armour e Nike hanno infatti preso delle posizioni ben definite durante le ultime elezioni presidenziali, che hanno visto nella campagna e nel personaggio di Donald Trump un potente magnete mediatico. Attraverso le dichiarazioni pubbliche dei proprietari e dei testimonial, negli spot e nei post sui vari media, si assiste a una comunicazione d’impresa nuova in questo settore che denota una forte politicizzazione dei brand, ora pronti ad accogliere nuove associazioni qualitative legate più alla sfera del cittadino/elettore che a quella del potenziale cliente.

Senza soffermarsi sulla scelta di campo delle imprese, ci si limita ad approfondire un ulteriore fatto: sposare o osteggiare le politiche di un particolare candidato sulle tematiche etiche e sociali espone il brand al rischio di essere fortemente criticato dai rappresentanti dello schieramento opposto, non sul piano commerciale ma politico. I vari tentativi di “boycott” verso queste imprese, scatenati sul web dagli elettori del partito antagonista, ha di fatto guidato la concorrenza tra i brand su un nuovo piano e porta il potenziale cliente a scegliere l’abbigliamento sportivo anche sulla base di considerazioni estremamente profonde.

L’interpretazione della strategia in uso al momento da alcuni colossi dell’abbigliamento sportivo può essere quella di radicalizzare la dimensione d’immagine, portando a un livello più profondo la fedeltà dei propri sostenitori (non più solo clienti fedeli) consapevoli di rinunciare a una parte di audience più moderata.

Alcuni spunti utili per le nostre campagne

Nelle varie evoluzioni del motivational appeal cerchiamo ora, dunque, di estrapolarne le caratteristiche distintive che si sono mantenute costanti in questi decenni e che sono il punto di partenza per capirne le evoluzioni future.

Innanzitutto si tratta di una tecnica di comunicazione che prevede l’uso di principi fortemente ispiratori al fine di catturare l’attenzione dell’audience e spingerla a un’azione. L’azione è ovviamente sempre diversa, nel tempo abbiamo assistito a campagne aventi ad esempio le seguenti letture:

  • non essere pigro. Migliora te stesso con lo sport;
  • non aver paura di essere tu a fare la differenza;
  • non importa quale può essere il sacrificio, credi in ciò che fai.

L’obiettivo è sempre quello di portare il cliente a un’azione, che tra l’altro può essere intrapresa attraverso l’acquisto di un articolo sportivo.

Un ulteriore aspetto cruciale è che tali messaggi infondono una forte carica emotiva e fisica all’audience, stimolandola a credere di poter raggiungere una situazione ideale (es. perfetto stato di forma, vittoria…).
Non è il prodotto al centro del messaggio ma la persona: si tratta quindi di cosa l’ascoltatore può fare per cambiare lo status quo verso il miglioramento.

Seppur con tutti i rischi associati a prendere una posizione politica in una strategia di marketing e l’effettiva rapida concorrenza che imita la novità dei valori espressi dal messaggio, il motivational appeal è ad oggi una tecnica dominante nella pubblicità. Se si pensa ai budget riservati ai testimonial sportivi, risulta ad oggi essere un trend non solo in consolidamento ma anche in forte crescita. Del resto, i valori dello sport sono antichi quanto l’umanità, e il marketing altro non è che la funzione d’impresa che deve capire al meglio le persone, nel loro meglio e nel loro peggio, …per vendergli qualcosa.

 

Bibliografia

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Articolo a cura di Norman Lubello

Profilo Autore

Laureato in Marketing ho proseguito con gli studi manageriali presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca nella sede del dottorato in Marketing e gestione delle imprese, dove ho trascorso in seguito un periodo come assegnista di ricerca. La passione per l’insegnamento mi ha spinto a mettermi alla prova con il ruolo di Professore a contratto nei corsi di Market-driven management e Economia e tecnica della comunicazione aziendale. Non ho mai abbandonato però la sfida costante rappresentata dal mondo della comunicazione lavorando su campagne digitali. Strategia, comunicazione e competizione restano parte integrante del mio tempo libero in veste di allenatore di pallacanestro.

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