Conflitti e mondo del lavoro 4.0

Cinque tendenze caratterizzano il futuro del lavoro: nuovi comportamenti, la tecnologia, i Millennials, la mobilità, la globalizzazione. Ciò almeno secondo lo studioso Jacob Morgan, fondatore di The Future of Work University in California e autore di saggi sul tema (Morgan, 2014).

Le organizzazioni di lavoro resistono, cambiano, nascono producendo mutazioni evolutive o involutive – a seconda dei casi – e apprendimenti, premesse di azioni future in ogni caso.

Velocità, interconnessioni, contemporaneità di informazioni, eventi, interlocutori, agitano e smuovono equilibri anche faticosamente raggiunti e scatenano dinamiche sempre più imprevedibili e fuori dal nostro controllo.

L’essere umano, tra razionalità e irrazionalità, agisce in questi scenari organizzativi con ambivalenze emotive che sempre sottostanno ai comportamenti frutto poi di decisioni più o meno consapevoli, anche se le ragioni delle azioni sembrano/sono gli obiettivi da raggiungere, i budget, i risultati prodotti, i processi e le procedure. L’assetto motivazionale e di legame del contratto psicologico individuo-organizzazione caratterizzato da spirito di gruppo, sano senso della sfida, motivazione alla conoscenza, ambizione positiva di crescita e/o di carriera, possono essere intrisi di emozioni e sentimenti dove può incunearsi, ad esempio, la gelosia. Questo “mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre” (Otello, Atto III, scena III; Shakespeare), può infatti essere causa di conflitti interpersonali anche in ambito professionale.

Contemporaneamente, anche nel mondo delle imprese in versione 4.0 dove l’essere umano collabora con la robotica e che convivono con quelle di ere più tradizionali, se il ritmo e il livello richiesto di alta prestazione diventano un incubo, ecco che ci sentiamo prendere da un senso di stanchezza duratura e “strana”, possiamo arrivare a nutrire sensi di colpa perché deludiamo aspettative nostre interiori e quelle altrui. Subentra qui allora il rischio di cadere in depressione, forma di malattia sempre più diffusa nella società che soffre di eccessiva positività, la società della stanchezza (Han, 2010). Un paradosso anche inquietante, perché la ricerca costante della perfetta prestazione distrugge alla lunga le energie, rende costantemente insoddisfatti e quindi porta alla depressione: non quella umorale e temporanea, ma quella “vera”, quella del tunnel da cui spesso da soli – o solo con farmaci – non si esce!

A questo proposito il conflitto, dunque, può in primo luogo nascere anche dentro di noi, aggiungendosi a quei conflitti più del profondo dei quali non siamo nemmeno consapevoli ma che ci caratterizzano fin dalla nascita proprio come esseri umani. È il conflitto che fa parte della vita, che può essere sconosciuto come dimensione ma che agisce comunque dentro di noi come motivazione, come ragione di molte nostre scelte, come motivo di atteggiamenti tesi a salvaguardare o a conquistare maggiore agio e soddisfazione di bisogni, aspirazioni, aspettative, obiettivi, ecc.

Naturalmente nel contesto lavorativo ci sono vari tipi di conflitti manifesti, nascosti o potenziali con i vari interlocutori. Qualche esempio: con capi autoritari, collaboratori troppo esecutivi o troppo scalpitanti, oppure tra colleghi che lavorano insieme in team interdisciplinari dove però i limiti reciproci non sono nitidi. O conflitti di competizione tra colleghi di differenti unità organizzative; oppure di un’altra azienda, con cui si collabora in partnership su un certo progetto ma si è concorrenti su altri. Conflitti di potere, di posizione, di status, di perimetro del ruolo, di appartenenza a cordate organizzative, ecc.

In sintesi, le tipologie di conflitto nelle organizzazioni che possono essere quindi distinte in tre dimensioni: intrapersonale, intragruppo, intergruppi. Tra l’altro – e non da meno – in un’organizzazione le persone devono condividere spazi, capi, obiettivi: quindi devono entrare in relazione tra loro e mantenerla in modo tendenzialmente proficuo. Inoltre, spesso un conflitto è tra settori di staff e settori operativi e a tutto questo si aggiunge il fattore tempo, la necessità di presa di decisione veloce, gli input contemporanei che si ricevono e che si danno (Castiello d’Antonio, d’Ambrosio Marri, 2019). Tutti elementi che incidono sullo stress dell’essere umano al lavoro.

È chiaro che un eccessivo grado di ambivalenza tra sentimenti contrapposti può rendere difficile il tentativo di ampliare la propria zona di comfort e rendere arduo il raggiungimento di un equilibrio emotivo dinamico nel tendere alla flessibilità che non potrà mai essere stabile e costante.

Il conflitto, la paura di esso o, al contrario, il gusto di esso, può trasformare le persone, può addirittura trasfigurarle in risorse disumane che operano in contesti complessi che, addirittura, talvolta potrebbero favorirne culturalmente la proliferazione dannosa (Castiello d’Antonio A., d’Ambrosio Marri, 2017).

C’è poi l’aspetto della gestione dei rapporti interpersonali-professionali attraverso le nuove tecnologie, i social aziendali e quelli di ben più ampia diffusione. Illuminante è la prospettiva con cui guardare in modo più profondo, e contemporaneamente esteso, la questione proposta da Baricco nel suo The Game (2019). Siamo passati da calciobalilla, flipper e videogioco a una dimensione totalmente altra – quella digitale – dove tutto, anche le relazioni, è di tutt’altro tipo: leggero, veloce, immateriale. Una dimensione altra dove si è riconfigurato l’assetto posturale degli esseri umani, che oggi sinteticamente è identificabile in persona-tastiera-schermo. D’altronde è sempre più abitudine andare dal mondo all’oltremondo, anche mentre si è in riunione, oppure in colloqui delicati con capi, collaboratori, colleghi con l’alibi dichiarato che tanto si è ormai tutti multitasking (se poi l’ascolto è debole, sembra non sia importante). Oppure mentre si sta in trattoria con gli amici. Questa ubiquità – ormai dote umana – può essere irritante per alcuni spettatori della scena e intanto normale per gli attori della stessa scena. Ma può trasformare le relazioni fino al punto che l’eventuale conflitto per una discussione su idee, sulla vita, su dove è meglio andare in vacanza, su interrogativi di varia natura sia risolto attraverso un utilizzo usa e getta delle informazioni immediatamente disponibili on line o sui social o attraverso il pensiero degli influencer (lavoro per il quale ora esistono anche corsi di formazione!), anziché essere frutto di confronti, scambi di esperienze, descrizioni e verbalizzazioni dei vissuti e o delle fantasie: eludendo così sfumature, contrasti ed evitando lo sforzo di trasformare i pensieri e le emozioni in parole al fine di farsi capire.

Insomma il rischio è quello di saper passare dal mondo all’oltremondo in modo talmente disinvolto, veloce e immediato da perdere la capacità di pensiero e di relazione se non attraverso icone, emotion che certo fanno sintesi, ma riducono pure!

Se poi pensiamo a situazioni di divergenza e/o di potenziale conflitto di maggiore complessità per contenuti o per scenario o per entrambi, sorge l’interrogativo su come gestire la questione con un’attrezzatura che vada oltre il buon senso, ciò che ci ha aiutato nel passato, gli apprendimenti anche inconsci su come meglio porsi verso il conflitto. Può allora su questo punto essere utile l’adozione di tecniche che aiutano mettere meglio a fuoco la situazione, gli interessi in gioco, non solo quelli dichiarati, ciò che è sotto le posizioni espresse (spesso affermate come ultimatum ma invece punti di partenza di fatto mobili): perché quello che conta è la soddisfazione – in un range minimo/massimo che non è quasi mai solo quantitativo ma anche, e spesso maggiormente, qualitativo – di una serie di necessità, interessi e obiettivi che possono essere inquadrati in una cornice più ampia su cui coinvolgere l’interlocutore col quale negoziare, o controparte che dir si voglia.

Quindi, in ogni situazione potenzialmente o di fatto conflittuale, se vogliamo che il conflitto sia occasione per risolvere problemi e produrre un valore aggiunto anziché solo frustranti ripieghi, dobbiamo dotarci di un’attrezzatura adeguata. Identificare e usare una cassetta degli attrezzi per la gestione dei contrasti. Una cassetta degli attrezzi a nostra misura. Ecco perché può essere utile ampliare lo sguardo sulle manifestazioni e i sintomi dei conflitti nei vari contesti in cui si declinano, non solo nel mondo del lavoro. Riconoscerne i segnali anche deboli e decidere come meglio affrontarli rispetto alle risorse, ai vincoli e agli obiettivi che si hanno di volta in volta, è decisivo per la vita di ognuno.

La bacchetta magica non esiste. Tecniche interessanti e metodologie a propria misura, sì! Di più: il conflitto può sprigionare energie utili se ben indirizzate, superando aggressività o vie di fuga, al fine di migliorare realmente la situazione su cui esso si è innestato. Ecco perché anche la gestione del conflitto necessita (e può rappresentare) un cambio di paradigma non solo nel mondo delle organizzazioni, ma nel mondo più ampio e nell’oltremondo. Anche questo può essere the game.

 

Bibliografia

 

Articolo a cura di Luciana d’Ambrosio Marri

Profilo Autore

Sociologa del lavoro, specializzata in psicologia del lavoro e esperta di gestione dei processi formativi. Da oltre trent’anni è consulente di management, in particolare per attività di selezione, valutazione, formazione, benessere organizzativo, coaching e sviluppo delle persone nel mondo delle imprese, PA e scuole di management. Si occupa di Diversity Management, empowerment e di tematiche di genere. Docente in master universitari, è autrice di numerose pubblicazioni in ambito HR, e coautrice di CONFLITTI. COME LEGGERE E GESTIRE I CONTRASTI PER VIVERE BENE (Giunti, 2019); RISORSE UMANE E DISUMANE. COME VIVERE OGGI SUL PIANETA R.U. (Giunti, 2017); YES WE STEM (SGI, 2016); EFFETTO D: SE LA LEADERSHIP È AL FEMMINILE: STORIE SPECIALI DI DONNE NORMALI (FrancoAngeli, 2011); COME MUOVERE I PRIMI PASSI IN AZIENDA (FrancoAngeli, 2010). Ha anche pubblicato DONNE ALL’OPERA CON VERDI (2013). Intervistata da riviste, radio e tv, interviene in convegni su temi di scenario e attualità. E’ sposata e ha un figlio. www.lucianadambrosiomarri.it

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