Clima aziendale, benessere organizzativo tra storia e attualità. Un futuro migliore che viene dal passato

Accade, a volte, di sentire le cosiddette voci di corridoio dire: c’è aria di tempesta, la temperatura si è riscaldata oppure si è raffreddata riferendosi ai rapporti tra le persone. Metafore per rappresentare l’atmosfera sociale che connota in un dato momento un determinato luogo di lavoro.

Non si tratta quindi del “tempo” atmosferico, che è per natura mutevole e verosimilmente prevedibile, ma piuttosto di “condizioni sociali” che caratterizzano una organizzazione.

All’interno di ogni Organizzazione si possono individuare due livelli:

  • Hard (Formale): costituito dalle variabili razionali, formalizzate e conosciute dal management e visibile;
  • Soft (Informale): sommerso, costituito dalle variabili che emergono spontaneamente in base ai vissuti emotivi dei membri dell’Organizzazione e che scaturiscono dai bisogni individuali di ciascuno di loro.

Il clima è una variabile informale collocata nella parte emotiva (sommersa) dell’organizzazione e ne determina la percezione del “funzionamento”.

In questa prospettiva, quando si parla di clima con riferimento alla psicologia sociale, si vuole indicare un fenomeno che si manifesta con modalità relativamente stabili, all’interno di un determinato gruppo di individui, e lo caratterizza attraverso particolari condizioni socio-psicologiche.

Perché se le giornate sono nuvolose il morale ne risente, ma se le giornate sono splendenti di sole ci si sente più motivati e meno giù di tono? Questa “condizione sociale” è simile al clima che si avverte quando dal mondo esterno si entra in “quel” mondo interno del lavoro, così che è possibile lasciare alle spalle una splendida giornata di sole per calarsi in una atmosfera triste, buia e con una prospettiva di sofferenza. Oppure il contrario.

Oggi le aziende si aspettano di avere risorse con la mente aperta all’avvenire, che sappiano e soprattutto vogliano contribuire alla costruzione del proprio futuro e del proprio sviluppo e dell’impresa alla quale appartengono.

Un avvenire già auspicato 73 anni fa, quando nell’agosto del 1945 i telefonici della STIPEL (Società Telefonica Interregionale Piemonte e Lombardia), poi confluita nella SIP e oggi TIM stabilirono il primo contratto di lavoro dopo le “corporazioni”, l’organo costitutivo del sindacalismo fascista che sancì le norme che abolirono la pluralità rappresentativa dei lavoratori, sostituendola con il sindacato unico obbligatorio.

Leggendo l’articolo 1 si può rilevare l’inserimento del termine “patto di lavoro”. Patto (pactum) dal verbo pacio o paciscor che letteralmente significa “fare la pace”, voleva rappresentare il superamento di un generico “contratto” in quello che si potrebbe qualificare come una alleanza.

Da una parte un’alleanza liberamente concepita, discussa o onestamente accettata, dall’altra l’impegno solenne alla sua osservanza. E, ancora, una sottolineatura importante: i “dipendenti” vengono definiti “lavoratori”.

E questa “moderna” vision faceva parte integrale di quel lontano patto, una prospettiva innovativa che cercò di porre le basi per un futuro, per un’avvenire che potesse da una parte garantire il profitto dell’impresa e dall’altra il benessere delle proprie risorse umane, la loro soddisfazione che esplicita la voglia di continuare ad investire nel lavoro, che possiede la spinta a innovare e di garantirsi la qualità dell’organizzazione produttiva, di far maturare un clima collaborativo, di migliorare i prodotti e i servizi ai clienti.

Ogni gruppo agisce per un bisogno razionale-oggettivo quando la collaborazione è realizzata per “fare insieme”, ovvero per raggiungere gli obiettivi assegnati, e per un bisogno emozionale, quando risponde all’esigenza dello “stare insieme” al di là degli obiettivi assegnati. “Armonizzare gli interessi morali e materiali dei lavoratori e della Società non più contrastanti”. L’articolo 2, dichiarava lo scopo, la finalità dello stesso patto:

Il ruolo del manager è un compito molto impegnativo. Per essere un manager di successo non è sufficiente impegnarsi, occorre essere in grado di gestire e di orientare adeguatamente il potere progettuale, decisionale ed esecutivo che è stato affidato (e che può essere revocato). Ogni manager è uno specialista della specifica funzione che gli è stata assegnata e deve interiorizzare che il vantaggio competitivo, che deve realizzare, è sostanzialmente condizionato dalla capacità di integrare:

  • il sapere, le conoscenze proprie della funzione;
  • il saper fare, che traduce empiricamente abilità, capacità, esperienza;
  • il saper essere, creatività e affidabilità, capacità di lavorare sotto pressione, capacità organizzative, capacità di team working, capacità relazionali orientate sia verso l’interno (capacità di comunicare e condividere gli obiettivi) sia verso l’esterno (capacità di associare partner di valore), capacità di interiorizzare e trasmettere la dimensione valoriale nell’orientamento nel voler credere nella qualità;
  • saper gestire le risorse assegnate (motivare, coordinare, orientare, controllare) per il raggiungimento degli obiettivi.

Le quattro dimensioni non sono statiche, ma si muovono dinamicamente secondo le esigenze della struttura che si deve presidiare, e la loro dinamicità è regolata dalla rete delle interconnessioni tra obiettivi e rapporti interpersonali, dall’adottare routine efficienti e prospettare soluzioni innovative, programmare ed organizzare il lavoro, assegnare responsabilità chiare, definire mezzi e risultati, controllare e riorganizzare, coinvolgere, delegare e capire i bisogni degli altri, motivare, e tutto ciò che fa parte dell’infinito universo del management.

È dunque dal combinato composto dell’agire in queste quattro dimensioni che si genera il clima in cui si lavora (il manager, le sue risorse e tutta la struttura), si raggiungono o si falliscono gli obiettivi, si produce ricchezza o si crea disoccupazione.

In ogni azienda esiste una particolare atmosfera che determina quel particolare spirito di gruppo che si potrebbe definire (e che ciascuno auspica) una sensazione di buona volontà, che lega i colleghi tra loro e a cui si deve se le persone volontariamente sono disposte a collaborare insieme per uno scopo comune che concorre al successo dell’impresa.

Le risorse umane rappresentano, a tutti i livelli, l’esperienza dell’organizzazione alla quale appartengono, la linfa vitale che attraverso il loro coinvolgimento e valorizzazione consente di trasportare capillarmente tutte le abilità dei singoli a beneficio dell’intera struttura organizzativa. Per questo motivo diviene importante mantenere un buon clima aziendale, dotare il personale dei mezzi necessari per svolgere bene il proprio lavoro, creare consapevolezza del ruolo, ricercare occasioni per condividere conoscenze ed esperienze, valutare le prestazioni e il potenziale, programmare e realizzare percorsi formativi valutandone successivamente l’efficacia.

Come si possono fare le previsioni del tempo, così si può realizzare una previsione del “tempo” che domani farà in una organizzazione. Un clima di lavoro depresso è il principale responsabile dell’assenteismo, delle richieste di cambiamento mansioni da parte delle persone che vi lavorano, di lamentele continue o dell’assenza assoluta di esse, di una produttività stanca e discontinua. In altre parole chi vive bene in un clima opprimente e ostile?

Alcuni indicatori di benessere o malessere possono essere immediatamente percepibili dal management, senza la necessità di somministrare questionari, ma basati solo sulla volontà di dare ascolto ai segnali, anche deboli, che provengono dalle risorse.

 

INDICATORI DI BENESSERE INDICATORI DI MALESSERE
Soddisfazione per l’organizzazione Insofferenza nell’andare al lavoro
Desiderio di impegnarsi Assenteismo
Sensazione di far parte di un team Disinteresse per il lavoro
Desiderio di andare al lavoro Richieste di cambiare lavoro
Elevato coinvolgimento Aggressività/nervosismo occasionali
Adesione ai valori organizzativi Disturbi psicosomatici
Speranza di poter cambiare le condizioni negative Sentimenti di inutilità
Percezione di successo dell’organizzazione Aderenza formale alle regole
Relazioni interpersonali ricercate Freddezza nelle relazioni
Immagine positiva del management Immagine negativa del management

Un’indagine sul grado di benessere delle risorse umane consente infatti di acquisire importanti informazioni in relazione a come queste percepiscono l’organizzazione nella quale agiscono (vivono e lavorano), sui rapporti che vi sono all’interno della struttura organizzativa e sulle attività che si devono migliorare. La sua finalità consiste, in sintesi, nel poter conoscere i motivi di soddisfazione e di insoddisfazione che influiscono nel determinare il livello di coinvolgimento, di motivazione e di impegno con il quale le risorse svolgono le mansioni di loro competenza.

L’analisi di clima costituisce, dunque, lo strumento fondamentale per capire quale impressione le persone abbiano dell’impresa per cui lavorano, per conoscere a fondo lo stato di benessere della stessa, per individuare il grado di realizzazione delle risorse, per conoscere i motivi di soddisfazione e d’insoddisfazione influenti nel determinare il livello di coinvolgimento, di motivazione e d’impegno con il quale i lavoratori gestiscono il rapporto con l’organizzazione. Il benessere organizzativo realizza, infatti, un valido modo di affrontare il lavoro e ne dimensiona le attività attraverso il rispetto reciproco dei rapporti tra i diversi livelli di responsabilità (struttura), eliminando e riducendo le situazioni di stress e conflittualità (manifesta o implicita) con conseguenze dirette sulla singola risorsa e sulla qualità delle prestazioni fornite.

Convenzionalmente si considera un’organizzazione in grado di produrre benessere quando:

  • mette a punto un ambiente di lavoro salubre, confortevole e accogliente;
  • pone obiettivi espliciti e chiari ed è coerente tra enunciati e prassi operative;
  • riconosce e valorizza le competenze e gli apporti dei singoli e stimola nuove potenzialità;
  • ascolta le richieste delle proprie risorse;
  • mette a disposizione le informazioni per svolgere correttamente il lavoro;
  • adotta tutte le azioni e le condotte per prevenire gli infortuni e i rischi professionali;
  • stimola un ambiente relazionale franco, comunicativo e collaborativo;
  • assicura scorrevolezza operativa, rapidità di decisione, supporta l’azione verso gli obiettivi;
  • assicura equità di trattamento a livello retributivo, di assegnazione di responsabilità, di promozione del personale;
  • stimola il senso di utilità sociale contribuendo a dar senso alla giornata lavorativa dei singoli;
  • è aperta all’ambiente esterno e all’innovazione tecnologica e culturale.

La finalità dell’analisi di clima è principalmente quella di raccogliere “il punto di vista” delle risorse, ovvero ciò che “percepiscono” della propria organizzazione. In questa prospettiva lo scopo non è rilevare ciò che è vero o falso, ma “l’idea”, “la rappresentazione” che ogni risorsa ha sviluppato della propria realtà lavorativa. Per questo motivo l’analisi del vissuto organizzativo sostanzia lo scarto che vi è tra le aspettative delle risorse e la realtà organizzativa vissuta ogni giorno. Questa prospettiva consente di rilevare il modo con cui le risorse “vivono” il proprio lavoro, il loro modo di rapportarsi all’organizzazione e il loro modello mentale di comprensione di alcuni elementi fondamentali dell’organizzazione e come quest’ultima trasferisca il proprio modello organizzativo e le caratteristiche della cultura presente nella specifica realtà lavorativa.

Una diagnosi di clima deve basarsi, in primo luogo, rifacendosi al concetto di organizzazione come fenomeno soggettivo, e realizzarsi attraverso uno strumento soggettivo e pluralistico in quanto, mirando alla rivelazione dei “vissuti organizzativi” deve tendere a sviluppare la diagnosi “su e con” tutte le componenti dell’organizzazione. Con queste modalità è possibile, attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse, il ritrovamento di quel controllo sulla struttura organizzativa che costituisce il requisito indispensabile per vivere un’appartenenza non solo per quanto riguarda l’aspetto economico strutturale, inteso come risorsa “pagata per lavorare”, ma psicologico, come risorsa che desidera intervenire sul proprio modo di lavorare e di “vivere la propria situazione lavorativa”.

L’indagine del clima effettuata con un monitoraggio periodico realizza uno strumento preventivo per tarare interventi, rivedere priorità organizzative, intervenire per tempo sul malessere organizzativo.

La storia dell’economia è, in fondo, la storia di un’impresa umana. Dietro alle statistiche, alle tabelle, ai grafici, che sono gli elementi degli economisti di professione, si celano le decisioni e le azioni di persone allo stesso tempo ordinarie e straordinarie. Le economie non sono costruite dalle politiche in sé, ma dalle persone che le hanno concepite nei minimi dettegli; non dai flussi di capitale ma dalle persone che li hanno saputi investire; non dai dati sulla produzione e sulle esportazioni, ma dalle persone che prendono il pullman per andare a lavoro ogni giorno e che passano otto ore di fronte a una catena di montaggio producendo le merci che poi saranno contate dagli esperti di statistica.

Sono passati molti anni dall’augurio di un mondo del lavoro migliore che i lavoratori della STIPEL auspicavano nel loro patto.

In molti casi si è realizzato, in altri è ancora notte. Fare sorgere l’alba è dovere del management.

In ogni organizzazione si attiva una dimensione dell’agire collettivo in un contesto che a sua volta attiva, nel medesimo spazio, atteggiamenti, comportamenti, emozioni, motivazioni e simboli, attraverso una rete di relazioni interpersonali la cui regia è affidata ad un “centro direzionale” che veicola e riceve informazioni dai “nodi della rete”, rappresentati dai membri e dai gruppi che governano ogni sua singola funzione. Una regia, il management, che deve prestare molta attenzione al fatto che attraverso la sua direzione viene indicato l’agire organizzativo, definita la storia delle mete raggiunte nel passato e precisate quelle da perseguire, viene puntualizzato l’indirizzo degli obiettivi strategici, dei prodotti e dei servizi che intende realizzare in futuro, viene assegnato il grado della tensione emotiva interna e delle politiche di pianificazione e sviluppo.

Il documento qui citato (reperibile presso Archivio storico TIM) contiene elementi di clima pensati e previsti pochi mesi dalla fine della seconda guerra mondiale e forse sulla spinta emotiva di un tragico passato e sulla speranza di un migliore avvenire.

Un avvenire che è già realizzato e che è in continua dinamica evolutiva: saturazione dei mercati, imprese leader che vengono affiancate e spesso superate da organizzazioni il cui successo è garantito dagli investimenti sulla ricerca, accorpamenti, fusioni, alleanze, joint venture. Un mare agitato dove il management deve tenere la barra del timone sulla rotta che deve garantire la corretta navigazione sugli aspetti qualitativi dei prodotti o dei servizi.

E sono le risorse umane che costituiscono l’equipaggio della nave in traversata, risorse preparate, motivate, portatrici di sentimenti, opinioni, idee, creatività e atteggiamenti di accoglimento e sostegno dei bisogni della propria azienda e dei clienti.

A cura di: Antonello Goi

Profilo Autore

Laureato presso l’Università Statale di Milano in Filosofia, ho acquisito un’esperienza nell’ambito delle Risorse Umane.
In particolare ho assunto la responsabilità, in azienda Leader delle telecomunicazioni, della Selezione del personale, della Formazione, Gestione HR, Relazioni Industriali.
Collaboro per gambelassociati per quanto riguarda la Formazione Manageriale Aziendale e Interaziendale, attraverso attività di consulenza, progettazione ed erogazione di corsi di formazione.

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