Autosviluppo professionale: una disciplina per diventare la freccia che raggiunge il bersaglio

Una laurea conseguita con buona votazione e master specialistici hanno insegnato al manager ad organizzare, comandare, gestire, prevedere, controllare e coordinare. La professione del manager non si riduce in un bagaglio di conoscenze acquisite, queste sono sicuramente determinanti per il successo del ruolo e, tutto sommato, relativamente semplici. “Diventare” manager presuppone una dinamicità direttamente proporzionale al muoversi delle persone, dei fatti e degli eventi che vivono all’interno e all’esterno della struttura e con allarmante frequenza si tende ad attribuire la responsabilità degli insuccessi, gravi o meno che siano, al loro combinato composto. Eppure non esiste un interno ed un esterno, ma un unico sistema nel quale il manager vive.

Diventare manager significa soprattutto “sperimentare, adattare, applicare” e, in questa prospettiva, la conoscenza di sé stessi è una delle chiavi che aprono la porta del successo.

Occorre chiedersi: «Che tipo di manager sono?», «Quali sono le mie mancanze, le mie debolezze, i difetti che non riesco a vedere o che rifiuto di riconoscere?»

Il successo personale e professionale è costituito da un insieme di scelte attente e ponderate. Deve essere in primo luogo voluto, poi programmato, pianificato ed effettuato tramite comportamenti adottati con la consapevolezza dei propri valori e delle proprie credenze e con una chiara visione degli obiettivi da raggiungere.

In questa prospettiva la domanda da porsi è: «Mi impegno fino in fondo per migliorarmi? ».

E occorre guardare avanti a sé. La visione che appare, generata dall’intimo, rappresenta un obiettivo specifico: ciò che vorremo essere e ciò che non vorremmo più essere.

La distanza tra le due modalità di “essere” e “non essere” può fare apparire la visione come utopistica e deprimere il desiderio di cambiare. Allora bisogna fare in modo che la differenza di potenziale, come nella fisica, diventi una fonte di energia tanto maggiore quanto sarà la grandezza misurabile, facendo in modo che la “tensione” risulti continua e non alternata.

A volte può avvenire che si operi una sorta di suicidio motivazionale: «non ce la farò mai!»

E come scusa ci si dice che occorre essere realisti, e si consolida l’orientamento alla rinuncia.

È bene riflettere sul fatto che ogni conquista professionale ha alla sua base il cambiamento delle proprie credenze e l’assunzione di una nuova mentalità, prendendo a modello chi ha conseguito il successo e seguendo la direzione nella quale ha convogliato le sue energie. Altro è il moto della freccia, altro il moto dell’intelletto; eppure l’intelletto, quando procede con volontà e quando si concentra nel suo esame, si muove diritto e verso l’obiettivo non meno della freccia.

Rivolgiamo il pensiero al passato: il diploma, la laurea, e poi quel colloquio di assunzione che ha portato al ruolo di oggi. Un percorso non facile e non certamente agevolato dal possedere più o meno mezzi e possibilità di tipo economico. Ma la meta finale è stata raggiunta esclusivamente dalla visione sostenuta dall’auto-motivazione.

L’auto-motivazione richiede per perdurare la necessità di un obiettivo, termine mutuato dal lessico militare che indica il bersaglio su cui concentrare l’azione, dove dirigersi come una freccia. Avere degli obiettivi da realizzare, dei traguardi da raggiungere o come abbiamo già detto dei bersagli da centrare presuppone l’esistenza di uno scopo. Lo scopo è la risposta alla domanda: «A cosa serve tutto questo?»

Comprendere questa finalità significa essere in grado di capire quanto essenziale sia, per il successo, riuscire a definire e a raggiungere obiettivi precisi. Ovvero la visone che si deve avere.

Una visione che nel proporre un obiettivo “sfidante” stimoli nella direzione voluta e nel procedere si dovrà porre attenzione su come ci si muove, ovvero quali emozioni si provano, quale è il modo di relazionarsi, quale livello di “tensione” si esprime.

Non è sufficiente desiderare solamente di raggiungere il bersaglio. Possono avvenire venti contrari. Allora bisogna porre una volontà realizzatrice fatta di strategia, tattica o, in sintesi, di azione.

I valori aziendali sono i principi che guidano le persone nel loro lavoro quotidiano e nel mettere in pratica la strategia aziendale. Rappresentano le linee guida per i comportamenti che ognuno deve seguire e fare propri ogni giorno e, di conseguenza, aiutano a descrivere lo stile di vita dell’organizzazione. La dinamica della vita professionale di un manager è governata dall’energia che esprimono questi valori. Essi costituiscono la visione che governa le sue decisioni e indica la direzione da prendere. Se poi questi valori sono stati interiorizzati, allora si potrà precedere conservando un altrettanto profondo senso di sicurezza, di certezza delle decisioni, di serenità nel saper come raggiungere il bersaglio.

Credere nei valori significa avere “positiva” la visione e procedere da subito con modalità costruttive che sostengo l’agire e soprattutto l’autostima.

I manager che hanno consapevolmente (ovvero concretamente riscontrata) una buona autostima sono maggiormente orientati all’ottimismo ed all’azione. Al contrario, quelli che hanno scarsa fiducia in sé, tendono al pessimismo, sono ansiosi quando devono fronteggiare situazioni nuove, si deprimono e si inibiscono socialmente con maggiore probabilità.

L’opinione che ciascuno ha di sé si riflette inevitabilmente sulle proprie aspettative. L’anticipazione del successo, la certezza di raggiungere ogni tipo di obiettivo procura contemporaneamente una sensazione di piacere anticipato, che si traduce in ogni comportamento agito, tanto che la stessa postura, il tono della voce e la gestualità in genere si adattano al benessere delle sensazioni vissute.

L’orientamento all’insuccesso determina apprensione per ciò che dovrà accadere e diminuisce le motivazioni a partecipare. L’auto-anticipazione di giudizi negativi che gli altri potranno dare di noi conduce ad un circolo vizioso: bassa autostima → bassa partecipazione sociale → bassa autostima. Per giustificare l’allontanamento dalla partecipazione sociale si finirà per attribuire scarso valore alla stessa partecipazione sociale.

Si può avere fiducia in sé stessi solo se lo si desidera intensamente. Bisogna pretendere da se stessi una maggiore dose di rispetto di sé e desiderare un posto migliore nella stima degli altri.

Tenete in manutenzione la fiducia in voi stessi, facendo leva sui successi passati, le occasioni in cui avete mostrato di essere superiori agli altri. Fate un inventario dei fattori che vi hanno condotto al successo (resistenza fisica, competenze, tenacia, volontà, coraggio, ecc.) e costruitevi una matrice che, applicata alle situazioni che dovete affrontare, possa fare risaltare la vostra superiorità.

La paura di fallire è una delle emozioni che maggiormente consumano le energie necessarie all’agire.

Per prima cosa occorre valutare in che misura essa si basa su fatti ed eventi reali e per quanta parte sia frutto solo di fantasia. Poi è necessario passare subito all’azione attraverso la progettazione di un piano d’azione realistico. Fare subito quello che più si teme per acquisire l’abitudine ad essere risoluti a fronte delle avversità. Evitare di fare ciò che non è gradito è un catalizzatore per la mancanza di fiducia in sé stessi. Andate incontro alle situazioni nuove, ognuna di queste è un’occasione di esperienza e di apprendimento.

Le occasioni di apprendimento sono ovunque e consentono, se riconosciute e raccolte, di ottenere i successi professionali che si cercano o si desiderano. L’apprendimento consiste nell’attitudine alla comprensione della realtà e la capacità di rielaborazione per conseguire padronanza del proprio ruolo/funzione. In questa prospettiva apprendere non significa solamente acquisire più informazioni, ma espandere l’abilità di produrre risultati utili che si desiderano concretamente.

Voler apprendere significa avere:

  • Sensibilità verso le novità.
  • Disponibilità ad accettare ed applicare nuove idee e procedure.
  • Disponibilità ad ampliare le proprie competenze.
  • Interesse a documentarsi e a fare nuove esperienze.
  • Capacità di adattamento proattivo alle innovazioni che investono la sfera delle attività.
  • Capacità di sviluppare la propria attività anche su aspetti di routine.
  • Interesse a sperimentare idee, tecniche e teorie per verificarne la funzionalità nell’ambito del proprio ruolo/funzione.
  • Capacità di accettare ostacoli e difficoltà come una sfida da superare.
  • Orientamento a farsi coinvolgere attivamente da nuovi stimoli, idee.
  • Orientamento a teorizzare nuove idee e stimoli ed a organizzarli in schemi prima di attuare nuove iniziative.
  • Orientamento ad approfondire le tematiche di lavoro.
  • Orientamento a studiare innovazioni riguardanti il proprio settore.
  • Orientamento a conoscere meglio il proprio mercato di riferimento.
  • Orientamento a sviluppare principi di comunicazione per il miglioramento dei processi.

Il successo professionale non è mai frutto del caso ma è il risultato di un sistema strategico i cui elementi sono sinergicamente connessi. Una sistema progettato con una visione del futuro stimolante, sulla base del capitolato di credenze e dei valori di riferimento, alimentato dall’orientamento all’azione, guidato verso obiettivi a lunga scadenza dalla decisionalità, dalla capacità di risolvere i problemi, dal saper superare i fallimenti o vedere nuovi traguardi.

  • Ambizioni: ambizione significa letteralmente: «caparbio desiderio di raggiungere l’obiettivo che ci si è proposti. Il successo non è a portata di mano, non è disponibile come un prodotto al supermercato, non è un automatismo legato alla carriera, ma un percorso che nasce dalla consapevolezza dei propri punti di forza (da tenere in manutenzione) e quelli di debolezza (da correggere immediatamente), da una corretta visione dei traguardi si vogliono raggiungere e da una pronta pianificazione della rotta da seguire.
  • Cambiamento: come apertura al nuovo inteso come valore personale, come orientamento proattivo all’azione e al rischio, come atteggiamento che aiuti l’organizzazione ad agevolare e gestire le opportunità di sviluppo che il cambiamento richiede per fronteggiare la complessa dinamicità del mercato e della concorrenza; individuare la variabilità degli scenari e stabilire le strategie necessarie per realizzare gli adattamenti attraverso un fattivo cambiamento.
  • Autocritica: disponibilità al riconoscimento ed alla correzione dei propri errori. Autovalutazione di ciò che si fa e di ciò che si può fare, di ciò che è possibile o impossibile. Valutazione di eventuali successi in chiave di miglioramento e non di impossibilità a crescere. Esame di se stessi e del proprio operato che metta in luce anche i lati negativi.
  • Capacità di raggiungere gli obiettivi: l’interesse a lavorare bene e a misurarsi con standard d’eccellenza. Lo standard può essere soggettivo come impegno costante a migliorare la propria performance, oggettivo come impegno a raggiungere gli obiettivi assegnati nei tempi prestabiliti. E’ la capacità di porsi in modo realistico delle mete ed attivarsi con consapevolezza nel perseguirle.
  • Consapevolezza: la convinzione di poter assolvere un compito, di assumere decisioni o di convincere gli altri in qualunque situazione, anche critica, o di reagire costruttivamente agli insuccessi. Capacità di saper contare sulle proprie risorse anche nelle situazioni di tensione riuscendo a vedere gli aspetti positivi e le possibili soluzioni, riconoscendo i propri limiti di capacità e professionalità ed attivando al meglio le proprie risorse (mentali, psicologiche, tecniche, comportamentali) nell’esercizio del ruolo.
  • Creatività: la fantasia e la prontezza nell’inventiva riferita alla realtà aziendale, offrendo un contributo innovativo e un modo di ragionare fuori dagli schemi per trovare soluzioni alternative o inventare possibili soluzioni, per delineare un quadro completo delle azioni da intraprendere senza ancorarsi alle sole informazioni facilmente accessibili con il rischio di trascurare o ignorare importanti opportunità.
  • Entusiasmo: motivazione ad affrontare la realtà aziendale nella sua dinamica quotidiana ed evolutiva. Per andare avanti occorre guardare avanti: la fiducia in sé stessi nasce dall’accettare le responsabilità. Occorre pensare in grande per sentirsi grande. Non deve mancare l’entusiasmo di progettare il proprio futuro, e ciò che conta maggiormente è la capacità di prevedere gli eventi in positivo, di interpretare fallimenti come opportunità per capire meglio la realtà.
  • Fiducia: l’apertura verso gli altri, la motivazione all’ascoltare con attenzione ogni problema, dimostrare appoggio e accettazione, essere coerenti e non fare promesse che non si possono mantenere. Esprime inoltre l’interesse a stabilire rapporti con le altre persone ed a incoraggiarle a manifestare pensieri e sentimenti.
  • Indipendenza: libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà, senza subire imposizioni da altri, senza aderire passivamente a schemi di riferimento o metodologie consolidate, ma nell’interrogarsi sulla loro efficacia, riformulando e modificando quanto è richiesto per trovare uno schema o un metodo migliore.
  • Partecipazione: intesa come strumento manageriale mette in evidenza l’orientamento a produrre una collaborazione in chiave di obiettivi aziendali nell’ambito della proprio ruolo/funzione, ovvero una partecipazione al processo organizzativo globalmente considerato.
  • Pragmatismo: capacità di agire non in base a motivazioni ideali o ideologiche, ma facendo ricorso alle efficaci possibilità di riuscita tenendo sempre presente il concreto guardando ai fatti. Possedere autonomia cognitiva, spirito d’iniziativa e interpretazione dinamica del ruolo. Il senso pratico presuppone che la scelta migliore sia quella che si fonda sull’utilizzazione delle conoscenze dei meccanismi del processo decisionale.
  • Decidere: concretizzare scelte e prendere decisioni in condizioni di incertezza accettando il rischio insito nelle proprie azioni. Valutare i vantaggi e gli svantaggi delle diverse opzioni, effettuando scelte con tempestività e in modo coerente con gli obiettivi, anche in situazioni di complessità, incompletezza di informazioni o di incertezza. Decidere tempestivamente per la soluzione di un problema assumendosi la responsabilità delle azioni da attuare.
  • Rischio: il rischio è sempre insito in ogni decisione e nella dimensione aziendale occupa sempre una posizione di rilievo e deve essere visto come un elemento del discernimento e fonte di preziose indicazioni, in quanto può fare emergere le scelte da evitare (almeno in prima battuta), orientare verso una scelta, richiedere un aiuto esterno, eliminare informazioni superflue, evitare di prendere decisioni troppo precipitose, stabilire esattamente chi-fa-che cosa. La capacità soggettiva di accettare le conseguenze del rischio è differente dall’apprezzamento a priori del rischio stesso.
  • Responsabilità: consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti e del modo di agire che ne deriva. L‘accortezza, il giudizio, la coscienziosità. L’attitudine ad assumersi le responsabilità connesse con i propri compiti affrontando in ogni caso le conseguenze delle proprie decisioni, a fronte dell’orientamento a sfuggirle per cercare di “passare” ad altri negando i propri errori a fronte di qualsiasi scelta adottata.
  • Sicurezza: capacità di agire e pensare con determinazione, senza esitazione. Fermezza necessaria a compiere una scelta e a portarla alle sue ultime conseguenze con saldezza di principi, risolutezza e coerenza di comportamento
  • Tenacia: capacità di realizzare con successo le proprie aspirazioni e ottenere ciò che si desidera, di perseguire gli obiettivi con decisione, fermezza, volontà d’azione. Determinazione propria di chi sa ciò che vuole e sa come raggiungerlo. Fermezza necessaria a compiere una scelta e a portarla alle sue ultime conseguenze.

In che modo si può sapere come si esiste all’interno del sistema? La conoscenza di sé è una risorsa fondamentale e irrinunciabile per chi intenda programmare la propria vita e, soprattutto, condizionare quella degli altri. Il percorso del conoscere sé stessi non riguarda solo gli aspetti psicologici: l’essere umano è infatti un’entità multidimensionale, costituita da quattro livelli interconnessi corpo, emozioni, mente e spirito. Per conoscere sé stessi non è sufficiente avere consapevolezza del proprio “conscio” e delle emozioni, ma anche del corpo e dello spirito e ammettere che sono tra loro inestricabilmente collegati e che ognuno influenza tutti gli altri. Conoscere sé stessi è, in primo luogo, un atto introspettivo che richiede di sapersi osservare e saper interpretare il reale significato delle proprie considerazioni per poter identificare correttamente le sensazioni, le emozioni e le intuizioni. È importante strappare il velo che ci circonda e che ci impedisce di vedere quei segnali che le altre persone e le circostanze della vita hanno in serbo per noi. Tutto il nostro agire quotidiano, dentro e fuori dell’azienda in cui lavoriamo, può insegnarci qualcosa. Ogni persona, o esperienza, è uno specchio in cui, se vogliamo guardare con diligenza, possiamo vedere riflesse parti di noi che al momento non conosciamo ancora o che non valutiamo correttamente.

Valutiamoci su ogni elemento del sistema.

La pratica di una autodiagnosi occasionale può essere utile per verificare quanto siamo sinceri con noi stessi in quelle particolari situazioni che non hanno un impatto od una sicura valenza sul nostro modo di agire.

Un’autodiagnosi sistemica richiede un impegno più assiduo e un lavoro più frequente e, benché possa prendere l’abbrivio da una situazione particolare, è finalizzata a studiare a fondo i processi che sottendono ai nostri atteggiamenti e comportamenti. Maggior impegno e maggior frequenza non sono sufficienti a garantire il successo di una autodiagnosi se non interviene a sostegno anche un criterio di continuità nell’applicazione e nel seguire fino in fondo ogni tipo di problema rilevato.

Frequenza e continuità implicano allora una auto-collaborazione nel voler consapevolmente affrontare quelle resistenze emotive, a volte anche penose, che possono contrastare il nostro procedere, soprattutto quando la verità emerge dalla nebbia, che senza renderci conto avevamo disposto attorno, e appare all’improvviso, perché all’improvviso abbiamo squarciato il velo che la nascondeva.

Per esercitare l’auto-collaborazione occorre attivare una irriducibile volontà di venire alle prese con noi stessi, distillare una spietata onestà nel riconoscerci come siamo e non come vorremmo essere: l’intenzione e l’orientamento a voler essere onesti con sé stessi non può certamente coincidere con la capacità di esserlo.

Fate uno studio realistico che ha per argomento la vostra vita aziendale. L’autosviluppo inizia imparando da se stessi

 

Articolo a cura di Antonello Goi

Profilo Autore

Laureato presso l’Università Statale di Milano in Filosofia, ho acquisito un’esperienza nell’ambito delle Risorse Umane.
In particolare ho assunto la responsabilità, in azienda Leader delle telecomunicazioni, della Selezione del personale, della Formazione, Gestione HR, Relazioni Industriali.
Collaboro per gambelassociati per quanto riguarda la Formazione Manageriale Aziendale e Interaziendale, attraverso attività di consulenza, progettazione ed erogazione di corsi di formazione.

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