Stress lavoro correlato e Burnout nella stesura del Documento di Valutazione dei Rischi (D.V.R.)

Questo intervento intende approfondire le metodologie di monitoraggio aziendali e di eventuali, conseguenti, approcci fattivi, da parte del datore di lavoro, in sede di predisposizione del D.V.R., con particolare riferimento ai rischi di stress lavoro-collegato, burnout e patologie psicosociali e fisiche del lavoro da remoto abitualmente svolto nella abitazione del lavoratore. Lo scritto non prende in considerazione le precise definizioni concettuali delle tre fattispecie sopra indicate, rinviando alla copiosa fonte di riferimento ad opera di studiosi, sia in forma divulgativa, sia in forma scientifica e, dunque, dandole per scontate, nel loro ambito definitorio, sia generico, sia approfondito. La considerazione di fondo, che caratterizza il presente lavoro, è quella di monitorare, combattere e prevenire tutti questi fenomeni.

L’articolo 2087 del codice civile e la sua portata precettiva

Sebbene il corredo normativo di riferimento in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro sia, attualmente, il d.lgs. 81/2008 e sia stato, precedentemente, negli anni a decorrere dal 1994, il d.lgs. 626/1994, in uno scenario notoriamente riferito a principi comunitari, non può comunque ritenersi “esiliato” il dettato normativo dell’art. 2087 cod. civ., di piena matrice nazionale e codicistica, a mente del quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La norma, considerata la densità precettiva di cui è all’evidenza portatrice, in un lavoro di analisi rigoroso dovrebbe essere centellinata, posto il carattere considerevolmente degno di attenzione e di approfondimento di ogni singola espressione, anche la più minuta (non solo la terminologia generale, dunque), sino ad essere scomposta in ogni singolo aspetto della materia che intende disciplinare. In questo senso, per citare qualche profilo tra i più significativi, potrebbero essere esaminati i profili relativi alla funzione della norma; alla portata precettiva, generale e specifica; ai confini della responsabilità che individua; ai destinatari dell’obbligo di sicurezza; al contenuto dell’obbligo di sicurezza; alla natura contrattuale dell’obbligazione; alle connessioni con le altre norme di sicurezza; all’apparato sanzionatorio; alla tutela dell’integrità fisica, contrapposta a quella della personalità morale.

Quando si parla di personalità morale (del lavoratore), in quanto contrapposta ed affiancata all’integrità fisica, si recepisce immediatamente il profilo di sensibilità del legislatore del 1942, che perseguiva, evidentemente, l’intento di configurare una portata tendenzialmente omnicomprensiva della norma e del bene tutelato, che, prescindendo dalla considerazione dell’idea immediata riconducibile al concetto medico legale di lesione fisica, si estende fino ad attrarre nell’alveo della sua portata precettiva – anche specifica – fattispecie che vanno ben oltre ad una considerazione esclusivamente “infortunistica” dell’apparato di tutela codicistico. In effetti, la visuale infortunistica trova la sua applicazione dinamica, contrapposta a quella statica riferibile al concetto di “misure di prevenzione” di cui all’art. 2087, nella disciplina di tutela contro gli infortuni sul lavoro che, volendo riguardare la realtà secondo il medesimo metro descrittivo, si occupa dell’aspetto dinamico, ovvero, per dirla in altri termini, di ciò che avviene, o dovrebbe avvenire, dopo il manifestarsi dell’eventuale evento infortunistico o di malattia professionale tutelato (cfr. d.p.r. 1124/1965, nonché, quale prototipo originario della tutela, salve le significative differenze strutturali, legge 80/1898).

La differenza tra l’idea di fatica – e stanchezza – fisica, e fatica – e stanchezza – psichica, non corrisponde ad una precisa categoria concettuale e, soprattutto, medica. Quello che può affermarsi con una certa sicurezza è che gli eccessi e così i lunghi periodi di situazioni psicologiche non esternate ma trattenute, sono in generale cause importanti di malessere e, dunque, tecnicamente, di malattia. In particolare, due sono gli stati emotivi considerati causa diretta di quello stato generale del corpo che si definisce astenia:

  • le rimuginazioni ossessive, le preoccupazioni, gli stress e gli eccessivi lavori intellettuali: i sintomi in questo caso sono, insieme alla stanchezza, pallore, inappetenza, desiderio continuo di coricarsi, lievi palpitazioni, nausea, diarrea, poco desiderio di parlare.
  • la paura e l’angoscia caratterizzanti la sindrome ansiosa: in questo caso si produce via via nel tempo il caratteristico “blocco” della volontà. I sintomi che accompagnano l’astenia sono dolori lombari, vertigini, acufeni (“fischi” alle orecchie), secchezza delle fauci, continui risvegli notturni, diminuzione della memoria.

L’astenia però e solamente uno dei possibili effetti di una aggressione stressogena, tale da passare da una condizione di stress ad una condizione di esaurimento nervoso, con tutta la serie di conseguenze ipotizzabili, qualora sia accertabile una responsabilità del datore di lavoro, sia in relazione al precetto incardinato nell’art. 2087 cod. civ., sia in relazione alle responsabilità annesse alle violazioni della normativa del TU salute e sicurezza.

Le fattispecie considerate

Se queste sono le manifestazioni e le conseguenze per il lavoratore ascrivibili all’ipotizzato comportamento (contrattualmente inadempiente, come noto) del datore di lavoro, nel ricercare i fenomeni relativi sui quali ha concretamente influito la norma dell’art. 2087, dando la possibilità alla giurisprudenza di intervenire nonostante il vuoto normativo di norme specifiche, non vi è dubbio che gli esempi paradigmatici sono – ancora oggi – costituiti dallo stress lavoro-correlato, dal burnout e dalla c.d. “costrittività organizzativa”, nei limiti in cui possa richiamarsi.

L’art. 28 d.lgs.81/2008 (Oggetto della valutazione del rischio), nel comma 1 dispone che nel D.V.R. devono essere valutati tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. Nell’art. 32 (Capacità e requisiti professionali degli addetti e dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni), poi, si legge che, per lo svolgimento delle funzioni di R.S.S.P. è necessario frequentare appositi corsi di formazione, ivi meglio specificati, “in materia di prevenzione e protezione dei rischi, anche di natura ergonomica e da stress lavoro-correlato di cui all’art. 28, comma 1”.

L’accordo-quadro europeo di cui si parla è stato recepito il 9 giugno 2008 dalle parti sociali.

Al punto 3 del suddetto accordo, lo stress viene definito “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”.

Così descritto e riguardato in una prima accezione interpretativa, tale “stress”, in effetti, può essere conseguenza dell’azione di fattori esterni, sicuramente idonei a causare come risultato finale una diminuzione sensibile dell’efficienza sul lavoro, ed in questo caso il problema può effettivamente essere al di fuori della sfera di azione o, comunque, di controllo del datore di lavoro. Laddove, diversamente, i fattori determinanti possano qualificarsi come interni all’ambiente di lavoro e, conseguentemente, causalmente connessi a tale ambiente o, in senso più generale, come detto sopra, ascrivibili alla sfera di azione e/o influenza deterministica del datore di lavoro (organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro, difetti di comunicazione interna, contenuto del corredo mansionatorio, etc.), il fenomeno deve essere riguardato in una ben diversa visuale, comportando, all’evidenza e supposto il suddetto fattore causale, quanto meno un principio di responsabilità, da qualificare e specificare nelle dovute modalità.

La questione, in effetti, si prospetta, come detto in premessa, già in sede di elaborazione del D.V.R., che deve contenere, stante la previsione legale specifica che non pone, al riguardo, margini interpretativi di applicazione, e che deve ritenersi oggi pienamente in vigore, l’indicazione delle misure necessarie per eliminare il rischio da stress e, ove ciò non sia possibile, le modalità, azioni ed interventi per una riduzione alla fonte.

L’origine delle disfunzioni mediche dello stress da lavoro

Si ritiene, perlopiù, per entrare più in dettaglio con qualche dato ed esempio, che le fonti principali dello stress da lavoro-correlato siano soprattutto rinvenibili nei rischi ambientali o psico-sociali. Tra i rischi ambientali si enumerano la rumorosità, le vibrazioni, le carenze igieniche ambientali, il microclima, etc.; tra i rischi psico-sociali si ricomprendono, in generale, quelli specificamente presenti nel contesto dell’attività lavorativa: modalità di sviluppo della carriera, relazioni interpersonali, mobilità interna ed esterna; equilibrio lavoro/tempo libero e vita privata, ritmi di lavoro, tipologia delle mansioni, etc.

Non sfugge all’esame della normativa ed alle considerazioni esposte che il fulcro della tutela contro i rischi in parola gravita innanzitutto sul datore di lavoro, che, normalmente, opererà con la collaborazione e con la partecipazione dei lavoratori e del R.L.S. nell’attuazione delle misure di prevenzione, individuali e/o collettive, idonee, nello specifico scenario e contesto aziendale, ad eliminare o, quanto meno a ridurre al minimo il rischio. Questo fermo restando il principio che la responsabilità può essere esclusa solo dalla programmazione concreta di una politica aziendale specifica in materia di stress lavoro-correlato.

Il concetto di “costrittività organizzativa” e la sua reale portata

Secondo la nota circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003 (“Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche”) [sulla quale v., peraltro, Tar Lazio 4 luglio 2005, n. 5454 e Cons. Stato 17 marzo 2009, n. 1576, per l’esatta definizione dei confini e della portata del contenuto: n.d.r.], “la nozione di causa lavorativa consente oggi di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative”.

Sebbene la c.d. “costrittività organizzativa” non possa assurgere ad un rischio tale da generale una malattia professionale tabellata, proprio in carenza della stessa ed in ragione della possibile valutazione nei termini di una malattia professionale non tabellata (con i conseguenti, gravosi oneri probatori a carico del lavoratore interessato, circa il nesso di causalità tra l’attività espletata e la affezione morbosa), il riferimento, per così dire, descrittivo e di riferimento può ritenersi utile in funzione pratica e di indirizzo.

La procedimentalizzazione del controllo datoriale sullo stress da lavoro con il D.V.R.

Una corretta gestione datoriale della valutazione del rischio di forme di affezioni morbose quali lo stress lavoro-correlato ed il burnout, deve muovere da una pianificazione e procedimentalizzazione delle attività di controllo e di intervento.

La prima fase, preliminare, non può essere che quella della ricerca ed identificazione dei fattori di rischio.

La fase di valutazione preliminare (e, poi, a seguire, costante nel tempo) dovrebbe prendere in esame indicatori relativi all’esistenza negli ambienti di lavoro o nell’organizzazione aziendale di fattori di rischio da stress lavoro-correlato, a loro volta distinti tra fattori relativi al contesto di lavoro ed a fattori relativi al lavoro di per sé stesso considerato.

Si dovrebbe quindi procedere con la distinzione tra fattori di stress relativi al “contesto lavorativo” e fattori relativi al “contenuto del lavoro”.

Per individuare i soggetti più esposti devono essere presi in considerazione gli indici – fondamentali – di impatto – caratterizzato dai c.d. eventi o accadimenti “sentinella”, ovvero le primarie manifestazioni di disagio enucleabili attraverso uno screening dei fattori di lavoro.

All’indice di impatto degli eventi sentinella deve enuclearsi un corrispondente indice di esposizione ai fattori di stress ed ai fattori riconducibili ad una contestuale analisi organizzativa ed ergonomica.

D’accordo con il RSPP della Società e in collaborazione con l’ufficio delle risorse umane dovrebbero essere definiti gli indicatori da produrre, relativi agli eventi sentinella, con calcolo e valutazione di un “indice” di impatto

I fattori di contenuto, quali: fattori fisici, cognitivi, sociali, organizzativi, ambientali e altri in grado di fornire una prospettiva complessiva degli stessi

L’analisi può essere condotta tramite un sopralluogo (ove appropriato) da parte di consulenti esperti, per constatazione diretta di alcuni elementi e un colloquio con almeno un testimone qualificato (persona che conduce l’attività) che possa consentire una raccolta di informazioni sui processi organizzativi e su altri aspetti dell’ergonomia della propria attività.

Devono essere tenuti in debita considerazione il coinvolgimento e la comunicazione interna coerentemente con lo spirito dell’Accordo Europeo del 2004, con le migliori prassi internazionali (cfr. documento HSE, 2017, che richiede una fase di preparazione dell’organizzazione), e con il documento INAIL 2017 che richiede una “Fase preliminare”.

La raccolta dei dati può avvenire con:

  • interviste ad alcuni testimoni qualificati aziendali
  • visite ai luoghi di lavoro.

Parallelamente si deve provvedere, con la collaborazione della funzione amministrazione del personale, a una raccolta di eventi sentinella collegati al fenomeno dello stress (eccessi in azienda, assenze dal lavoro per malattia frequenti e ricorrenti, indici di soddisfazione, controlli sulla produttività e sulla risposta).

Anche la predisposizione di un questionario anonimo sulle condizioni del singolo lavoratore occupato in azienda, volto a determinare il livello di soddisfazione dello stesso, o l’eventuale insoddisfazione, su dati massivi, può arricchire il bagaglio di dati a disposizione del datore di lavoro e di chi collabora alla redazione del D.V.R.

Per l’efficacia e la significatività del progetto appare necessario il coinvolgimento di diverse funzioni interne e di parte del personale, così ipotizzabili:

  • coinvolgimento diretto del management apicale, del RSPP, dell’ufficio delle Risorse Umane e del RLS;
  • una cabina di regia che segua il progetto dal suo inizio, eventualmente con il supporto di soggetti esterni specializzati in questi servizi;
  • una comunicazione interna riguardante il progetto che deve essere diramata a tutto il personale, per il necessario coinvolgimento consapevole di ciò che sta accadendo;
  • la partecipazione di altri lavoratori, del management, del Medico competente la natura stessa della raccolta di dati, sopra descritta, doverosamente richiesta dalla natura sensibile dei dati;
  • una successiva riunione di presentazione dei risultati al management, al gruppo di regia, al personale.

Fase di approfondimento della valutazione del rischio stress

Si decide di procedere a un approfondimento della valutazione che tenga conto degli aspetti soggettivi (tramite questionari, interviste o altri analoghi metodi per la raccolta di dati).

  • Le fonti di rischio sono valutate con il questionario specifico.
  • Per valutare il clima organizzativo possono utilizzarsi alcune ulteriori procedure utili per recuperale il fulcro dei valori organizzativi, l’ambiente e la consistenza della soddisfazione dei lavoratori.
  • Il livello di benessere psichico può essere valutato analizzando la quantità di sintomi sottosoglia, che possono essere conseguenti allo stress.
  • Per indagare motivazioni latenti alla base degli eventuali vissuti di disagio dovrebbe essere utilizzata una tecnica di rilevazione per la ricerca sociale di tipo qualitativo.

La disponibilità di tutti questi dati può consentire con un discreto margine di sicurezza, di accertare/valutare il clima aziendale ed i connessi, eventuali, fattori di disturbo, collettivi o individuali, necessari alla “costruzione” del D.V.R., adattato alla realtà concreta del momento storico di effettuazione.

Alcune attività di quelle sopra descritte devono giocoforza essere reiterate e continuate nel tempo, altre esauriscono la loro portata in questa preminente fase di esame e studio.

Il lavoro da remoto e le sue particolarità gestionali

Che il lavoro da casa sia una potenziale fonte di esposizione a rischio di burnout o di stress lavoro-correlato, è una realtà ormai accettata dalle analisi degli esperti e per tali fattispecie, soprattutto per il burnout da “lavoro agile” le suddette procedure di valutazione devono tenere in debito conto i diversi fattori di rischio e le misure da adottare, sempre nell’ambito della redazione e dell’aggiornamento del D.V.R. Questa materia non è oggetto di questo intervento, ma i contenuti sopra esposti possono senza ombra di dubbio sensibilizzare le aziende ad una attività di sorveglianza e di monitoraggio continuo.

Il “lavoro agile”, lo Smart working, negli ultimi due anni, si è trasformato da una visione positiva dei soggetti fruitori, in una condizione di lavoro molto problematica e difficile da gestire, soprattutto da un punto di vista psicologico al punto da diventare un fattore di rischio per la sindrome da burnout, ovvero “esaurimento”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il burnout come un fenomeno occupazionale dovuto a stress cronico mal gestito e nel 2019 l’ha riconosciuta come “sindrome”. Il burnout, quindi, è legato a una condizione di stress prolungato.

In questi termini, quando una situazione di stress passa dalla fase di gestibilità e controllo e quella, pi insidiosa, di “distress” che comporta un esaurimento delle risorse del lavoratore, proprio come è successo a tanti lavoratori in questi due anni di Smart working dovuto al Covid, ci si trova di fronte ad un rischio conclamato e ad effetto diretto di burnout.

Le procedure sopra indicate, ove seguite ed applicate, potrebbero sicuramente mettere il datore di lavoro in “sicurezza” (to be on the safe side), trasferendo la causa di eventuali malesseri, nonché di patologia conclamata, al di fuori dell’area di controllo e riferimento aziendale, restando valide le cause ascrivibili alle fattispecie di “caso fortuito” o “forza maggiore”, sulle quali nessun datore di lavoro può influire, una volta svolto il proprio compito di prevenzione e sorveglianza.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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