La salute «eraclitea» dell’organizzazione

Considerata nella luce dell’“autopoiesi” dei sistemi viventi, un’organizzazione umana si comporta come l’organismo biologico che “plasma il suo ambiente e ne è plasmato”. La responsabilità di darsi una missione in questo ambiente è essenziale alla natura di sistema intenzionale (purposeful system) di ogni organizzazione umana. Questo ambiente è un contesto culturale che orienta le azioni di uomini che agiscono in universi già strutturati ma in costante ristrutturazione, trasformati dalla pratica incessante degli attori: è ciò che descrivono lo “strutturalismo costruttivista” di Bourdieu e la “teoria della strutturazione” di Giddens (Dupuis 1990). Questa vita in divenire è un continuo rinnovamento della coscienza e dell’identità culturale.

Come si è detto sopra, le componenti di una organizzazione complessa sono e variabili di natura diversa: esse sono reciprocamente irriducibili, interagiscono senza posa e generano un ordine dinamico, dando luogo a fluttuazioni e a ristrutturazioni. (Considerando il gioco delle loro interazioni si individuano quelle che dominano il campo di variabilità e i loro effetti probabili: si riduce l’incertezza e si è in grado di “orientare la variabilità”). Più variabili appaiono tese tra opposizioni polari, mal conciliabili.

Ma l’analisi per opposizioni polari sembra essenzialmente legata alle dicotomie concettuali (corpo – spirito, uomo – natura, soggetto – oggetto, individuale – sociale) che hanno condizionato la cultura della società industriale.

Infatti lo Scientific Management trovava la sua coerenza nella sequenza di poli che congiungono il valore di scambio dei prodotti all’ordine di subordinazione degli uomini: questo è il suo convinto e cieco riduttivismo.

L’irrealismo di un’astrazione “disgiuntiva” risalta quando queste polarità si definiscono reciprocamente (la nozione dell’“individuale” implica lo sfondo del “collettivo” e il collettivo significa insieme di individui) e tanto più quando essi si generano a vicenda: per esempio, non si produce “profitto” senza lavoratori a cui si paga un “salario”, e non si può pagare il salario in assenza di profitto.

Non si possono disconoscere queste tensioni contraddittorie. Quando si ignora o si rimuove una delle polarità – cosa che fa l’Organizzazione Scientifica del Lavoro – ci si acceca: si vuole cancellare la coesistenza di istanze complementari che si influenzano incessantemente, interagiscono convergendo e divergendo, si specificano e si riconoscono nella loro relazione: la vita dell’impresa è in questo equilibrio dinamico.

Soccorre l’analogia con l’equilibrio fisiologico affidato nell’organismo alla sintesi regolativa di eccitazione – inibizione esercitata dal sistema nervoso autonomo. Ma l’equilibrio assicurato dagli automatismi neurali nell’intenzionalità inconscia del corpo deve essere, nella vita di un’impresa, conquistato con l’intenzione consapevole, confermato e modificato nell’evolvere dell’ambiente interno ed esterno, e riconquistato attraverso l’espressione delle contraddizioni e la soluzione dei conflitti che ne conseguono. Questo tessuto essenziale di rapporti tra istanze antitetiche è proprio dei sistemi viventi. Si possono applicare all’impresa le osservazioni di Prygogine (1979) sulle funzioni stabilizzanti e destabilizzanti delle «strutture dissipative» anche nei sistemi umani. La psicologia del profondo ha rivelato con Jung come ogni estremo psicologico contenga il suo opposto. Nello sviluppo cognitivo, secondo Piaget, la contraddizione tra aspetti percettivi e comportamentali è il momento della creazione di nuovi concetti. La coscienza di sé implica la coscienza dell’altro, l’identità individuale si fonda in relazione all’altro, l’identità collettiva in relazione ad un altro collettivo: è una relazione che rinnova.

I sistemi complessi sono omeostatici.: deviazioni dall’assetto normale attivano la correzione di situazioni pericolose per la sopravvivenza e l’evoluzione del sistema; e ciò che compare nel sistema come rischio patogeno ne rinnova salutarmente la vita. In generale, si può affermare con Bateson (1972) che le opposizioni analitiche sono cristallizzazioni provvisorie dei processi.

L’impresa vive in una transizione che la rende sempre “imperfetta” perché sempre “incompiuta”, mai definitiva. Questo divenire la costringe a ridefinire i rapporti tra le componenti della sua vita complessa e a rinnovare la sintesi tra i loro poli: una sintesi che non è un incontro a mezza strada tra questi, e che invece fa risaltare proprietà irriducibili a quelle rappresentate in una dicotomia polare. In tal modo un sistema di lavoro organizzato vive grazie alla scelta intenzionale delle possibilità d’azione che formano il suo avvenire. È quello che, nei suoi studi sul management strategico, Ansoff (1979) definisce “apertura esplorativa” e “creativa” di un’impresa.

Questa “totalità integratrice”» di diversi e anche dissonanti, vitalmente evolutiva, rammenta la concordia discors di Eraclito: “L’opposto è concorde e dai discordi una bellissima armonia sorge”. Un’armonia che non confonde i diversi e dove il confronto competitivo apre a nuove forme d’esistenza lavorativa e di umanizzazione del mondo.

Per Peter Drucker (1993) ormai “l’informazione sostituisce l’autorità e la responsabilità sostituisce il potere”[1]. Nell’accordare il suo assenso al reale, nell’utilità vitale del suo compito l’uomo rinviene il significato della sua attività e dell’azione collettiva. Si è osservato che “la motivazione non è diventata una questione importante, tanto per le scienze sociali quanto per la stessa organizzazione del lavoro, se non quando il senso del lavoro è scomparso” (Sievers 1986). Si è cercata e inventata una panoplia di succedanei (denaro, status…) per ovviare alla mancanza di senso del lavoro, cercando invano di “motivare” la gente e pervenendo alla “metapatologia” già descritta da Maslow (1954), causata da un genere di soddisfazione priva di senso e di adempimento reale. Gli uomini si motivano unicamente da sé: quando anche il loro lavoro è ammesso a “testimoniare il significato” di una civiltà umana, incontrando la “razionalità sostanziale” di cui Max Weber denunciava l’oblio. (…)

L’organizzazione è uno strumento a servizio della società, dalla quale trae le sue risorse e per la quale esiste: l’assolvimento di questo compito è la condizione della sua salute.

L’organizzazione sana è un sistema di responsabilità che fa operare in una interazione dinamica – concordia discors o discordia concors – individui e gruppi di competenze diverse e interessi differenti: il che crea l’ordine mentale, funzionale, morale ed emozionale dell’organizzazione.

[1] Secondo questo autore il termine “democratica” non si può usare per l’impresa“ perché ‘democratica’ connota a rigore una organizzazione politica e giuridica”. E aggiunge: “Non uso nemmeno il confuso termine ‘partecipativo’. Ancor peggio è il concetto di ‘empowerment’: non è un gran passo avanti togliere il potere dal top e metterlo al bottom; si tratta ancor sempre di potere. Per costruire organizzazioni di successo, occorre sostituire ‘potere’ con ‘responsabilità’“.

 

A cura di Antonia Chiara Scardicchio, Università di Foggia, docente di Progettazione e Valutazione dei Sistemi Educativi e Formativi e Ricercatrice in Pedagogia Sperimentale

Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Marzo/Aprile 2016

 

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