Dalla leadership del cambiamento al cambiamento della leadership

Negli ultimi 30 anni sulla “leadership” davvero molto è stato scritto [1]. Tutti hanno proposto una serie di suggerimenti utili su cosa dovrebbe fare un manager per accrescere la propria leadership oppure come diventare un leader potenziando le proprie capacità.

Ma leader si nasce o si diventa?
Questo dilemma ha afflitto migliaia di managers in tutto il mondo. Personalmente credo che si nasca per poi diventarlo; ovvero bisogna avere alcune caratteristiche di base per poi potenziarle nel tempo. Ma la caratteristica di base più importante è la voglia di essere un leader, il desiderio di non fermarsi alle prime difficoltà ma raccogliere quotidianamente le sfide che la vita ci presenta mettendo in discussione innanzitutto se stessi.

Ma dove essere leader? Quando essere leader? Su “come essere leader” ognuno può trovare le proprie risposte nei tanti libri o corsi sulla leadership. Ma la domanda che pongo è: quanto essere leader? Parlando dei “veri leader” vengono in mente noti managers di grandi aziende, persone eccezionali dotate di capacità e caratteristiche molto al di sopra della media, persone quindi inavvicinabili ed ineguagliabili distanti mille miglia da noi “miseri mortali”.

Ma il nostro capo è un leader? Se non lo è abbiamo un problema e se lo è potremmo avere un problema ancor più grosso qualora fosse un leader eccezionale. Già, la tentazione di affidarsi totalmente a questo Leader con la “L” maiuscola, sarebbe fortissima. Su questa riflessione ci soffermeremo più avanti in quanto è l’essenza di questo articolo.

Se è relativamente semplice essere leader in un contesto stabile con risultati ogni anno crescenti, ben altra cosa è essere leader in una situazione dove la complessità, la competitività ed i continui cambiamenti sono la “costante operativa”. Cito testualmente alcune considerazioni introduttive sul tema, tratte da un interessante articolo di Anna Maria Megna [2]:
“Abitiamo un mondo caratterizzato da continui mutamenti ed incertezze, dove le organizzazioni sono sempre più impegnate a ri-pensare e a ri-disegnare la propria cultura e le proprie azioni. In questo contesto, la figura del leader è chiamata a percorrere strade insolite, a volte anche sconnesse e non asfaltate, giocando un ruolo primario come catalizzatore di nuovi modi di vivere nell’organizzazione e come attivatore e facilitatore del cambiamento.

E’ indispensabile uno stile di leadership evolutivo e innovativo, capace di proiettare una visone chiara della direzione da seguire, di tenere un atteggiamento aperto e costruttivo, di trasformare qualsiasi tipo di problema in un’opportunità di crescita, di mobilitare in ogni individuo tutta l’energia che può esprimere, di costituire un fondamentale punto di riferimento per gli altri componenti dell’organizzazione.

E’ uno stile in cui convivono da un lato la capacità di entrare in sintonia con i collaboratori, soprattutto sul piano emotivo, e dall’altro la capacità di agire su tutte le componenti interne ed esterne del sistema azienda.

In un tempo dove l’unica costante è il cambiamento, la vita dell’organizzazione non è più determinata solo dall’ambiente in cui agisce o dalle “abitudini” che muovono il suo sistema interno: ciò che fa la differenza è la spinta evolutiva che riesce a realizzare. Sintetizzando, un leader deve essere in grado di padroneggiare abilità relative a quattro aree: la guida di se stesso, la relazione con i collaboratori, la capacità di gestire strategie atte al raggiungimento degli obiettivi, il governo del sistema nel quale opera (Dilts 1998, Dilts 2003).

“Essi hanno la responsabilità di creare organizzazioni nelle quali le persone continuano ad espandere le loro capacità di comprendere la complessità, di chiarire la visione, e di migliorare i modelli mentali condivisi … Questo nuovo modo di vedere è vitale … Assumere questo impegno è il primo atto di leadership …” (Senge, 1992) [3].

Questo modello di leadership evolutiva ed innovativa è da tempo apprezzato e condiviso pubblicamente in molte situazioni che vedono come protagoniste le organizzazioni: direzioni di aziende, gruppi di lavoro, associazioni, corsi di formazione, convegni, dibattiti. Nonostante ciò non è raro imbattersi in leader che, pur dichiarando pubblicamente una piena condivisione, si trovano poi a gestire la realtà delle loro organizzazioni in maniera non corrispondente a quanto dichiarato, continuando a lavorare concentrati sul dito che indica la luna.

Forse ci provano, ma, continuando nei fatti ad applicare vecchi modelli di leadership non riescono a guidare il cambiamento e a motivare profondamente i loro collaboratori, né a costruire quella visione comune e quel gioco di squadra necessari per realizzare in modo eccellente gli obiettivi aziendali. “Deviati e frastornati dal romanticismo letterario sulla leadership e connessa leaderologia non ci accorgiamo dell’umanità quotidiana dei leader in servizio. Più arrivisti che ambiziosi; più invidiosi che emulativi; più forti con i deboli e deboli con i forti . Ad una osservazione empirica risulterebbe che una buona parte dei leader in servizio fallisce in un’azienda che non sia una caserma. Abbagliati dalla luce della ribalta, la platea è per loro un buco nero. Assordati dal tacito consenso, le loro orecchie non sentono altro”. (Trupia 1998).

Quando tutto ciò accade, ci troviamo di fronte quindi ad una discrepanza tra quanto dichiarato e/o condiviso cognitivamente e quanto effettivamente agito nel quotidiano. Se osserviamo bene questa discrepanza è possibile dedurre che:

  1. comprendere e condividere cognitivamente un modello non significa necessariamente avere la capacità di applicarlo;
  2. comprendere e condividere cognitivamente un modello non significa necessariamente avere l’effettiva volontà di applicarlo.

La struttura di fondo è, a mio avviso, di estremo interesse per mettere in luce e comprendere cosa abita quel territorio di nessuno che costituisce la sottile linea di demarcazione tra una leadership efficace ed una leadership inefficace.

Esiste quindi una possibile distanza fra i propri pensieri e le proprie azioni. Nella mia formazione e pratica di executive coaching ho appreso e verificato che la terza ed importante variabile è costituita dalle proprie emozioni. Il nostro comportamento quindi è la risultante di ciò che pensiamo e proviamo; a volte però prevale il pensiero, altre volte prevale l’emozione, il nostro stato d’animo.

Quando sentiamo dire “ … è stato più forte di me, non ho potuto fare diversamente …”, significa che le emozioni, sensazioni e/o stati d’animo hanno prevalso sui pensieri e convinzioni. Ma cosa è meglio, seguire i pensieri o le emozioni? Non esiste una risposta a questa domanda. Di volta in volta è bene che ogni persona valuti cosa è meglio per se stesso in quella situazione ascoltando i propri pensieri e le proprie emozioni prima di agire. In altre parole è necessaria molta consapevolezza.

La consapevolezza quindi è un pre-requisito indispensabile per effettuare qualsiasi scelta, qualsiasi decisione, qualsiasi azione.Consapevolezza del proprio agire che passa attraverso la consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie emozioni e stati d’animo. Cito testualmente una frase tratta da un interessante libro di Robert Dilts dal titolo “Leadership e visione creativa” (sottotitolo: Come creare un mondo al quale le persone desiderino appartenere)[4]:

“Le capacità di leadership di una persona sono funzione del suo stato interno e dei suoi processi mentali consci. In questo senso, una performance efficace di leadership è simile ad altri tipi di performance. Gli atleti che si preparano per una competizione, dedicano alla loro condizione psicologica la stessa attenzione che prestano alla loro condizione fisica. Analogamente, la leadership efficace dipende dallo stato interno in cui la persona si trova.”

Il nostro stato d’animo è quindi tanto importante quanto le nostre capacità; ed in un contesto complesso e mutevole, dove il cambiamento è una costante necessaria, dove le organizzazioni chiedono ai propri leader di realizzare efficacemente i cambiamenti necessari alla sopravvivenza e/o allo sviluppo dell’organizzazione, essere leader in tale contesto non è affatto semplice.

Fra i tanti ostacoli da superare, il maggior ostacolo è dentro di noi.
Le nostre paure, le convinzioni forti nel passato ed ora sostanzialmente deboli, i nostri comportamenti inefficaci, in altre parole la fiducia in noi stessi e nei nostri collaboratori.

Per questo motivo, se si ha un capo veramente leader, la tentazione di affidarsi a lui o lei è veramente forte; rinunciando così però a sviluppare la propria leadership. Peggio ancora sarebbe però ripercorrere i comportamenti del passato, di quando eravamo leader (o perlomeno ci sentivamo tali); agire alla stessa stregua di quando eravamo diversi, in un contesto diverso, con obiettivi diversi e collaboratori diversi.

D’altra parte cercare di applicare le tante teorie sulla leadership, cimentarsi nel mettere in pratica comportamenti “ideali” ma che non ci appartengono, in un contesto così mutevole, complesso ed impegnativo a volte può spaventarci. Se prima la nostra leadership era sufficiente a gestire i pochi cambiamenti che l’organizzazione ci richiedeva, oggi che il cambiamento è una costante di vita possiamo facilmente avere la sensazione, o il timore, di non farcela.

Ma se l’ostacolo maggiore è dentro di noi, fortunatamente anche la soluzione migliore è dentro di noi.
Ho analizzato di recente un articolo (5) dal titolo “Marchionne su Leadership, Cambiamento, Collaborazione e Motivazione” che ripropongo testualmente:

“Dal primo giorno mi accorsi che Fiat aveva un problema di leadership. Tradizionalmente tutte le decisioni importanti, nelle aziende Italiane, sono fatte dall’Amministratore. Probabilmente funzionava, come modello di Leadership, negli anni ’50, ma oggi sarebbe insostenibile. Più davo spazio, più mi rendevo conto che avevamo moltissimo potenziale per la leadership che era nascosto”.

Un principio ormai consolidato, ma viene applicato spesso? Quante volte riusciamo a dare spazio agli altri Leaders che vogliamo diventino utili alla nostra organizzazione?

“Quando valuto la performance dei miei, naturalmente guardo i numeri, ma sono più interessato a come guidano le persone e a come guidano il cambiamento.”

Un altro punto per affermare, ancora, che le persone sono al centro del successo di un’organizzazione.
In che modo riusciamo a dare applicazione pratica a questo principio generale su cui c’è molto accordo?

“Da una parte do alle persone maggiore autonomia, ma chiedo anche a loro maggiore responsabilità. Un leader che manca un obiettivo deve avere qualche tipo di conseguenza, ma non penso che mancare un obiettivo sia la fine del mondo, se sbagli da una parte puoi compensare da un’altra. Tuttavia, se vuoi sviluppare dei Leaders, non puoi permettere che scuse, spiegazioni, e giustificazioni siano uno stile di vita; una caratteristica della vecchia Fiat che abbiamo lasciato alle spalle.”

Esplicito ed equilibrato nel chiedere responsabilità, Marchionne vuole risultati, e non accetta scuse. Mi sembra molto importante il fatto, implicito, che Marchionne vuole una conversazione continuativa su ciò che ha funzionato e su ciò che non ha funzionato. Si deve parlare della responsabilità. In tante realtà, la conversazione organizzativa su cosa va bene e cosa va male si sviluppa in modi che non funzionano, oppure non si affronta affatto.

“Se stabilisci un obiettivo aggressivo e ambizioso, devi aiutare le persone a raggiungerlo. Non significa fare il lavoro per loro. Mi immergo nel business, non per prendere decisioni nel mio bellissimo ufficio, ma per poter guidare le persone nel prendere decisioni.” “Molto di ciò che faccio è sfidare le certezze; questo spesso consiste nel fare domande che possono sembrare stupide. In questo modo abbiamo ridotto il tempo di sviluppo di un nuovo modello da 4 anni a 18 mesi.”

Spunto molto interessante. Le organizzazioni sono prigioniere di routine e certezze cristallizzate che impediscono il cambiamento. Fare domande “stupide e ingenue” apre spazio ad intuizioni inaspettate. Chi ha paura del dubbio e non vuole aprirsi a possibilità che non conosce, rischia molto.

“Abbiamo imparato a condividere nuove idee attraverso l’Organizzazione tutta. La nostra condivisione di informazioni sta già portando un enorme impatto: l’efficienza operativa, la flessibilità e la capacità di produrre margini stanno migliorando oltre ogni aspettativa.”

Condivisione delle informazioni e collaborazione. Questa è l’espressione di una cultura che favorisce la costruzione condivisa di scelte, contenuti e soluzioni. Marchionne spinge per eliminare silos organizzativi isolati. L’idea che “informazione è potere” tende a scomparire.

“Rispettiamo i nostri collaboratori, tutti; è la parte finale del puzzle. Molto del nostro successo viene dal fatto che abbiamo collaboratori motivati. Ma per avere quella motivazione, l’azienda deve creare una connessione con loro. Ci rendiamo conto che l’impegno che abbiamo nei confronti della forza lavoro va oltre il nostro impegno contrattuale.

Un pensiero finale che mi sembra degno di particolare nota. Molti Leaders non riescono a passare da una visione meccanicistica delle organizzazioni (l’organizzazione è un macchinario da ingegnerizzare) alla reale consapevolezza che le organizzazioni assomigliano di più ad esseri viventi. In effetti le persone al lavoro, ci piaccia o no, scelgono quanta intelligenza, capacità, creatività e iniziativa mettere al lavoro.

CONCLUSIONI

Se prima veniva chiesto ai Leader di saper effettuare i cambiamenti, oggi viene chiesto loro di cambiare la propria leadership; avere una leadership “più umana”, saper far squadra con i propri collaboratori condividendo “gioie e dolori” dell’attuale contesto.

In altre parole, usando una metafora calcistica (di cui non sono certamente esperto), non serve oggi il Maradona della situazione che da solo, o quasi, porta la squadra alla vittoria; oggi servono leader in ogni ruolo, dall’allenatore al portiere, dall’attaccante al difensore. Così nelle organizzazioni, non basta un leader “forte” ai vertici dell’impresa, servono leader in ogni ambito aziendale, dai livelli più bassi della gerarchia ai massimi livelli dirigenziali con un preciso atteggiamento di cooperazione e sostegno reciproco.

Ecco quindi alcune “istruzioni per l’uso” conclusive sul tema della leadership e cambiamento:

  • Allenarsi a sviluppare la propria consapevolezza rispetto se stessi, gli altri e le situazioni chiedendosi il perché di ogni cosa ed aiutare i propri collaboratori a fare altrettanto.
  • Imparare dagli errori propri ed altrui ed insegnare ai propri collaboratori a fare altrettanto.
  • Allenarsi ad uscire dai propri schemi comportamentali mettendosi quotidianamente in discussione, evitando di mettere in atto comportamenti precostituiti ed aiutare i propri collaboratori a fare altrettanto.
  • Sviluppare un atteggiamento paritario rispetto ai propri collaboratori. Avere maggiori responsabilità non significa essere superiori. Un leader senza collaboratori non è un leader, pertanto essi sono indispensabili.
  • Rispettare i propri collaboratori, tutti in ugual misura, ma chiedere loro prestazioni diverse, proporzionate alle loro capacità e potenzialità.
  • Avere un piano di sviluppo delle proprie competenze e supportare i propri collaboratori nel fare altrettanto, verificando sistematicamente i progressi, gli ostacoli e le esigenze ulteriori. Darsi quindi il tempo per migliorare e potenziare, gradualmente, le proprie capacità concentrandosi, di volta in volta, su un solo comportamento specifico e, solo quando questo è divenuto un nostro comportamento abituale, passare ad affrontare un successivo comportamento.

Alla luce di quanto fino ad ora detto, potremmo quindi affermare che:
Leader è chi aiuta ogni membro del team a sentirsi, a sua volta, leader, indispensabile (o perlomeno molto utile) per il successo del team stesso.

NOTE

  1. Solo alcuni testi interessanti su leadership e cambiamento:
    Chi ha Ucciso il Cambiamento ? – Lo strano caso della leadership scomparsa – Ken Blanchard e John Britt – Sperling & Kupfer Editori.
    Essere Leader – Daniel Goleman, Richard Boyatzis, Annie McKee Edizioni Rizzoli.
    Il lato umano del cambiamento. Una metodologia per le ristrutturazioni aziendali – Timothy J. Galpin – Franco Angeli Editore.
    La Società dei Leader. Apprendere sulla leadership per supportarla e controllarla – Marco V. Maroino – Franco Angeli Editore.
    Leadership e Change Management. Leadership: non il successo di un singolo ma la forza di un gruppo – Paola Lucia Floris – Franco Angeli Editore.
  2. Da “Strategie. Rivista Italiana di Programmazione Neuro Linguistica”, n. 3, settembre-ottobre 2003, pp. 23-30 di Anna Maria Megna.
  3. La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo. – Peter M. Senge – Sperling & Kupfer Editori.
  4. Leadership e visione creativa. Come creare un mondo al quale le persone desiderino appartenere. – Dilts Robert B. – Ediz. Guerini e Associati (collana Isvor- Fiat).
  5. Sviluppo delle Organizzazioni articolo di Mario Gastaldi 3 maggio 2009.

A cura di Sidi Said Lagattolla, Docente di Management e Senior Coach S.C.O.A. (School of Coaching)

Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Novembre/Dicembre 2015

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