Le assenze dal lavoro correlate ad una infezione Covid 19, invero, non si limitano al ricovero in sé stesso per l’infezione e per le sue manifestazioni più gravi.
Il decreto Sostegni bis (d.l. 73/2021, 25 maggio, GU n. 123 del 25 maggio), nell’articolo 27 prevede che:
Le conseguenze di una infezione invero, possono anche essere potenzialmente contenute nel tempo, ma occorre considerare che la durata di possibili alterazioni morbose complessivamente considerate e, dunque, sommate in una possibile sequenza di continuità, per un soggetto che abbia contratto il virus e superato il contagio, non è ancora esattamente prevedibile nei suoi profili di connessione. Al riguardo basti considerare che, a seguito di riscontri sanitari ed epidemiologici, sia della infezione attuale Covid19, sia della pandemia da SARS-COV-1 (anno 2003) sono state riscontrate:
I pazienti più interessati da questo protocollo saranno soprattutto quelli che potrebbero avere conseguenze cardiache e polmonari e nei quali è fondamentale identificare precocemente lo sviluppo di una fibrosi polmonare o di cardiopatie. Sempre per tali pazienti è anche prevista una valutazione multidisciplinare e in particolare per quelli sottoposti a terapia intensiva o subintensiva è previsto anche un colloquio psicologico.
Invero, dal punto di vista neurologico i sintomi comuni che sono stati già riscontrati al momento sono rappresentati da cefalea, vertigini, senso di fatica, nebbia cognitiva, difficoltà di concentrazione, facili amnesie. A questo quadro generale si associano disturbi del sonno e dell’umore, il tutto in uno scenario che, normalmente, in psichiatria viene definito quale “disturbo post-traumatico da stress” (DPTS). Queste persone rivivono questa esperienza come se fossero reduci da una guerra o come se avessero avuto un lutto o un trauma importante. Per questo vanno gestiti e, sulla base di studi già in corso sembra evidente che gli strascichi del Covid19 possano predisporre su terreni fertili anche a patologie degenerative come il Parkinson e l’Alzheimer.
Questi stati patologici e morbosi, quale presumibile diretta conseguenza di una infezione Covid19, non contratta in occasione di lavoro, sono sicuramente da ascriversi alla tutela sanitaria ed economica/normativa della malattia, ma non godono, a rigore, sia dell’esenzione dal calcolo del comporto, sia dell’esenzione dal calcolo del periodo massimo indennizzabile, secondo una logica distorta, sperequativa e perseverante di apparente insensibilità del legislatore e degli organi di Governo.
In via generale l’INPS eroga le prestazioni economiche di malattia a tutti i lavoratori aventi diritto, i cui datori di lavoro sono tenuti al finanziamento della relativa assicurazione sociale attraverso il pagamento dei contributi di malattia. Le categorie di lavoratori assicurati che beneficiano dell’indennità INPS sono, in via generale (inclusi casi specifici di dettaglio, ad esempio apprendisti):
Tutte le altre categorie risultano escluse e, per le stesse, è previsto, dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, un trattamento economico a carico dell’azienda, in misura variabile, a seconda dello specifico settore e della categoria interessata, con una durata differenziata, meglio precisata in relazione alle previsioni di comparto o settore (che in alcuni dei quasi 950 contratti collettivi di lavoro che abbiamo, non prevedono trattamenti sempre favorevoli o, comunque, integrativi fino alla copertura del totale della retribuzione ordinaria).
L’INPS prevede dei limiti di pagamento dell’indennità economica previdenziale di malattia che, per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, sono stabiliti entro il termine di un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre), con previsioni specifiche per le malattie a cavaliere di due anni (circ. INPS 145/1993), che confermano, adattandolo, il termine principale di riferimento.
La fattispecie del licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di malattia costituisce un’ipotesi tipizzata di giustificato motivo di licenziamento, e le regole dettate dall’art. 2110 c.c. prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c. e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto “comporto”) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso. Le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente; da ciò deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (cfr., per tutte, Cass. 1404/2012).
I lavoratori c.d. “fragili“, cioè quelli che per determinate condizioni di salute, devono ridurre le probabilità di contagio al virus Covid19, hanno una particolare tutela, introdotta a suo tempo dai primi interventi legislativi emergenziali e, dunque, acclarata nelle norme di particolare attenzione che si sono susseguite dal marzo 2020 ad oggi, ovvero dal decreto Cura Italia al decreto Sostegni 41/2021, convertito ora con legge 69/2021, nonché al decreto sostegni bis. Ad oggi, peraltro, con un emendamento inserito in sede di conversione, si è introdotta una modifica all’art. 15 del D.L. 41/2021, mediante la quale viene disposta l’esclusione dal computo dei limiti massimi di assenza per malattia ai fini del calcolo del comporto di tutti i periodi di assenza verificatisi a decorrere dal 17 marzo 2020, senza soluzione di continuità e con evidente linearità e chiarezza.
Procedendo con ordine, occorre ricordare che i lavoratori fragili sono una categoria di lavoratori (che potrebbe definirsi anche aperta, considerata la terminologia della legge) da considerare particolarmente a rischio in caso di contagio dal virus Sars-Covid 19, i quali, si presume, necessitino di particolari forme di tutela, nella logica di un allineamento con i lavoratori comuni ed allo scopo di eliminare una gap di protezione. Essi vengono indiduati nelle seguenti, due categorie di riferimento:
L’art. 26, comma 1, del decreto 18/2020 Cura Italia, s.m.i., dispone che i periodi trascorsi in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva disposti ai sensi della normativa emergenziale di dettaglio, segnatamente per ”gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva”, e per coloro ”che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanita”:
In buona sostanza, le suddette coperture di esclusione dal calcolo del comporto, sia per la categoria dei lavoratori fragili, sia per le fattispecie di rischio appena viste, non operano per il contagio Covid19, ma per l’esposizione a rischio di contagio, sulla base di situazioni selettive in funzione preventiva del rischio di contrazione della malattia e del connesso pericolo di vita. Si badi bene: nessuno dei casi citati riguarda lavoratori costretti ad assentarsi dal posto di lavoro per aver contratto il Covid19. Al contrario, la finalità delle norme citate è quella di garantire una tutela economica a quei soggetti che, pur non essendo malati, vengono costretti a casa da un provvedimento della Pubblica Autorità o a causa dell’elevato rischio alla vita e all’integrità fisica che correrebbero in caso di infezione, nonché ai soggetti individuati come portatori di una condizione medica/clinica accertata di particolare rischio di esposizione a contagio (lavoratori fragili).
Appare plateale, dunque, la evidenziata disparità di trattamento, che non trova alcuna giustificazione razionale e logica, soprattutto alla luce del continuo ampliamento delle fattispecie di assenza per malattie, anche post-Covid, acclarate da una connessione diretta con l’infezione originaria precedentemente accertata e vissuta.
Il lavoratore affetto da malattia Covid19 vede computate nel periodo di comporto tutte le assenze dal lavoro (ricadute e post-Covid incluse), mentre il lavoratore “quarantenato“ beneficia dell‘esenzione dal calcolo del comporto. In questi termini, un lavoratore in realtà sano è tutelato in una modalità più pregnante di quello effettivamente (o, comunque, risultante indirettamente) malato Covid, con qualche marcato ed evidente dubbio di incostituzionalità (quantomeno in relazione agli articoli 2, 3 e 32 Cost., rispettivamente in relazione ai principi di solidarietà sociale, di eguaglianza e di tutela della salute quale fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività).
Articolo a cura di Pasquale Dui
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