Siamo in un momento critico: si sono susseguiti DPCM, protocolli, informazioni di vario genere, app dedicate e molto ancora.
Le organizzazioni stanno ripartendo anche per non frenare l’economia del paese. Ma siamo sicuri di essere pronti per questa fatidica “Fase 2”?
Come in ogni situazione di criticità, il rientro alla normalità non sarà facile; la quarantena, lo smart working o il telelavoro hanno cambiato le nostre abitudini e il nostro modo di relazionarci. Il rientro alla base non sarà tranquillo ma comporterà modifiche sostanziali alle nostre attività e approcci diversi anche sotto il profilo psicologico delle persone.
Le organizzazioni hanno pianificato e verificato adeguatamente la ripartenza?
Il mondo del lavoro post quarantena da COVID-19 sarà profondamente diverso da quello che, a seconda dell’area geografica di residenza, la gran parte dei lavoratori italiani ha dovuto abbandonare in gran fretta, tra l’ultima settimana di febbraio e la prima decade di marzo. Molte abitudini e consuetudini a cui tutti noi ci affidavamo, molto probabilmente non troveranno più posto dopo il rientro. Quando in questo periodo si parla di “cambiamento” si è portati per lo più a pensare a eventi negativi; ma questo non deve essere sempre e per forza di cosa una verità consolidata. Certamente, nel breve periodo faremo fatica ad immaginare situazioni come quelle della fortunata serie TV “Camera Cafe” ma ciò non toglie che spetta a noi essere gli autori e gli artefici di questo cambiamento e fare in modo che sia positivo.
In questo periodo molti datori di lavoro si sono confrontati concretamente – e, per lo più, per la prima volta – con soluzioni moderne e innovative che intereressano il mondo del lavoro, come lo smart working o l’home office. Situazioni queste, che malgrado gli aggiornamenti normativi degli ultimi anni, non venivano prese in seria considerazione. Spetta a noi fare in modo che non vengano altrettanto velocemente riposte nel cassetto e che, anzi, si cerchi di fare in modo che continuino a venire utilizzate anche nel periodo post-quarantena. Oggigiorno sono molteplici le soluzioni tecnologiche e informatiche che tutelano entrambe le parti e che pertanto garantiscono, in totale sicurezza, la gestione del lavoro da casa. Allacciandomi a questo pensiero, mi vengono in mente molte sedi di aziende che ho avuto modo di visitare. Grandi e moderni open space, sulla base di quanto visto e appreso dal modello statunitense della Silicon Valley. Ampi spazi (lavorativi e non) condivisi, spazi ludici e per lo scambio di idee, piccole cucine dove bere un veloce caffé o scaldarsi il pranzo con i colleghi… Domani, gli investimenti fatti dalle aziende nella modernizzazione dei posti di lavoro verranno messi da parte. Le aree comuni e le grandi scrivanie condivise, probabilmente, dovranno essere adattate con pannelli in plexiglas per la divisione degli spazi, gli accessi alle sale riunioni e creative controllati nel numero di accessi e via discorrendo. Immagino poi la cura e l’attenzione che dovranno, in determinati contesti lavorativi, essere dedicate alla gestione degli appuntamenti. Un ritardo o un’inaccurata gestione degli spazi intermedi potrebbe portare alla conseguenza che pazienti/clienti debbano aspettare il loro turno in strada. Situazioni completamente impensabili fino a qualche settimana addietro (e tutto sommato ancora surreali) ma che andranno a consolidarsi nei prossimi mesi. Forse, è la volta buona che impareremo a diventare puntuali… le positività? Facile: limiteremo i tempi persi nei trasferimenti e nelle attese, ci muoveremo solo se strettamente necessario con un notevole risparmio di costi, tempo, energia, affollamenti. L’importante non è ciò che vedi, ma ciò che vuoi vedere!
Credo e ritengo che uno degli aspetti fondamentali per riuscire a tornare a lavorare al più presto sia la flessibilità, indipendentemente che questa sia del datore di lavoro – con la concessione di prolungare il periodo di smart working – o del collaboratore dipendente. Il mercato del lavoro in Italia, per mille ragioni che non possono essere discusse in questa sede, è un mercato “rigido”, “stagno”. Flessibilità nell’affrontare questo processo di cambiamento del mercato del lavoro italiano, è un paradigma richiesto non solo per superare l’emergenza COVID-19 ma anche per metterci al passo con quelli più snelli e family friendly di impronta statunitense o nordeuropea.
Un ulteriore concetto che voglio riprendere brevemente è quello legato al coraggio. Nessuno di noi si era mai dovuto confrontare con situazioni neanche lontanamente simili a quella che stiamo vivendo. Nessun politico aveva mai dovuto prendere decisioni che potrebbero incidere così profondamente sul futuro del Paese, come quelle che questo governo deve prendere – al di là delle simpatie politiche (o meno). La struttura sanitaria nazionale non aveva mai dovuto affrontare situazioni come quelle viste in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna nei mesi di marzo e aprile. La gestione delle case di riposo e molti altri ancora possono essere gli esempi. Ci vuole coraggio non solo nel prendere delle decisioni giuste e/o sapere amministrare correttamente l’apparato pubblico. Ci vuole coraggio nel sapere che si può sbagliare, ci vuole coraggio a seguire una propria strada, a imporsi pur sapendo di potere avere contro l’opinione pubblica; a non lasciarsi andare e continuare a pensare positivo anche quando non si vede una via d’uscita, ad alzarsi una volta in più di quelle che si è caduti.
Il ritorno alle normali attività lavorative – ma non solo – era auspicato dalla gran parte degli italiani. Oggi ancora non sono chiari nel dettaglio le modalità, i tempi e i termini che il Governo intende attuare per fare tornare tutti i cittadini al proprio lavoro. Ciò nonostante possiamo porci alcune domande e fare alcune riflessioni in merito a un mondo del lavoro che, almeno nella cosiddetta “Fase 2”, non è già più quello che abbiamo dovuto abbandonare, a seconda della zona geografica di residenza, ormai tre mesi fa. Saremo comunque obbligati, per un certo periodo di tempo, a mantenere le distanze minime di sicurezza e a indossare dispositivi di protezione individuale.
Immaginiamo, allora, lo scenario generale di un’azienda che sta entrando nella Fase 2 e poniamoci qualche quesito, che speriamo possa far riflettere e porsi le giuste domande in modo da essere preparati.
Come si può notare, la fase di rientro è forse più complicata della fase del picco, quando ci siamo trovati in una situazione di emergenza e abbiamo dovuto pensare a “sopravvivere”. Ora invece bisogna pensare in ottica preventiva e di pianificazione. Il volano sarà lento a ripartire ma deve essere azionato al più presto e senza intoppi: solo così si potrà riprendere il percorso naturale ed essere pronti per un’eventuale altra calamità.
Articolo a cura di Stefano Gorla e Augusto Bernardi
Un tempo il compito di traghettare l'azienda verso il futuro tramite lo sviluppo di nuove…
Negli ultimi mesi causa il lento e inesorabile declino della redditività nella stipula delle Polizze…
Attiva da più di 30 anni e oggi parte del gruppo internazionale Zucchetti, Cybertec è…
Il focus sulla formazione professionale in Europa Nello spirito di favorire gli investimenti destinati a…
Nel complesso e volatile panorama aziendale odierno, le pratiche tradizionali delle supply chains non sono…
I dati sono chiari. L'Intelligenza Emotiva (EQ) è un fattore chiave di differenziazione per i…