Pianificare la continuità di impresa, dovere morale verso tutti gli stakeholders

Blevio (CO), 16 Maggio 2012. Premier Suite del Mandarin Oriental, Casta Diva Resort & Spa

L’acqua tiepida, che sgorgava a pioggia dal grande soffione della doccia, stava restituendo al corpo di Nicoletta il tono ed il colorito che facevano girare la testa a tutti gli uomini che incrociava da quando era ragazza. Avvolta nel suo accappatoio Adada di Hermès, che aveva sempre in valigia, ritornò nella camera da letto per stuzzicare nuovamente il suo amante, nonostante il pomeriggio tra le lenzuola fosse già stato intenso e soddisfacente. Robert Vannini giaceva immobile su un fianco, lo sguardo vuoto rivolto verso lo splendido panorama sul ramo sinistro del Lago di Como, che si godeva da quella particolare suite.

Un’ora dopo la confusione nella stanza era totale. Il medico legale aveva appena accertato il decesso del Presidente delle Industrie Vannini per ictus cerebrale emorragico, probabile conseguenza di uno sforzo non compatibile con il cronico stato ipertensivo. Il Direttore del resort cercava di gestire la situazione all’insegna della discrezione che distingueva gli alberghi di lusso ed il maresciallo dei Carabinieri della stazione di Como si stava congedando da Nicoletta, dopo averne raccolto la deposizione, che non lasciava dubbi su come si fossero svolte le cose.

Robert Vannini e Loredana Strambi si erano felicemente sposati nel 1972. All’epoca erano molto innamorati e l’avventura ed il successo delle Industrie Vannini era ben di là da venire. Fu naturale allora adottare il regime di comunione dei beni a suggellare la sincerità del legame affettivo. Nel 1974 era nato Giovanni e nel 1977 Renzo. Nel 1982 Robert aveva capito che il lavoro dipendente, pur già costellato di successi e soddisfazioni, non era nelle sue corde ed aveva avviato la Vannini Officina Meccanica srl, grazie anche ad un cospicuo sostegno economico del suocero. Il carattere aperto, una creatività vulcanica ed una approfondita conoscenza delle tecnologie di estrusione dell’alluminio avevano felicemente intercettato il trend di sostituzione dell’acciaio con il più leggero alluminio, che stava caratterizzando lo sviluppo del settore automobilistico in cui Vannini operava. Il successo non tardò ad arrivare e la notte di capodanno del nuovo millennio Robert, raggiante come solo un padre orgoglioso sa essere, donò a Giovanni e Renzo il 10% delle quote della società, per sostenere la loro motivazione a proseguire nel sentiero paterno. Le solide basi, su cui quel successo poggiava, avevano permesso di superare la crisi finanziaria globale del 2008 pressoché indenni, e forti oramai di un gruppo diversificato e internazionale che contava 5 stabilimenti nelle tre regions globali. Un fatturato che sfiorava i 60 milioni di Euro ed una redditività superiore al 22% facevano brillare la stella di Robert, come se non si fosse mai dovuta spegnere. All’alba del 2011 i figli Giovanni e Renzo occupavano saldamente, e con soddisfazione del padre, la direzione amministrativa e commerciale, mentre Loredana si era ritirata già da tempo per promuovere e seguire iniziative sociali, per restituire il possibile al fertile territorio sul quale erano cresciute quelle che erano diventate le Industrie Vannini. L’ego di Robert, tuttavia, aveva perso nel tempo la battaglia contro l’autoreferenzialità, con cui il successo spesso stravolge il sacro equilibrio tra impresa, famiglia e patrimonio, che aveva accompagnato la parabola ascendente di quell’impresa. Nel 2010 Nicoletta era piombata nella sua vita come un treno in corsa ed in meno di sei mesi lo aveva portato a chiedere a Loredana il divorzio. Robert non era tipo da nascondere i suoi sentimenti e per questo non aveva tergiversato – come spesso accade – preferendo la tresca all’affrontare di petto la famiglia. Il frutto di quell’amore travolgente – per celebrare il quale l’alcova più frequente era la Premier Suite del Mandarin Oriental sul lago di Como – non tardò ad arrivare e nell’autunno del 2011 era nata Priscilla, per tutelare la quale, Robert aveva modificato il suo testamento, destinando la disponibile dell’eredità a Nicoletta. In quell’anno Robert disponeva di un cospicuo patrimonio, tutto realizzato dopo le nozze con Loredana – già proprietaria al 50% delle società del marito – e costituito dall’azienda (la Vannini Officina Meccanica srl, che fungeva da capogruppo delle Industrie Vannini) e da una serie di immobili, intestati ad una società di persone.

Milano, 22 Giugno 2012. Studio dell’Avvocato Italo Descalzi, via Bigli a Milano.

Loredana entrò nell’ufficio dell’avvocato di famiglia visibilmente scossa, con la mano tremante, che impugnava il dossier oggetto dell’incontro. Nella fattispecie riteneva che il matrimonio con Robert e la relativa comunione dei beni producesse tutti i suoi effetti fino all’apertura della successione e non fosse da ritenersi esaurita con l’apertura della causa di divorzio. In virtù di ciò intendeva dimostrare che le partecipazioni nelle società di Robert fossero già parte della comunione legale dei beni, e dunque di essere titolare anche della quota legittima del rimanente 50% nella misura a lei spettante della metà. Avrebbe così messo le mani sul 75% delle società, lasciando ai tre figli (due di primo e uno di secondo letto) il 12,5% equamente distribuito ed il rimanente 12,5%, suo malgrado, a Nicoletta.

Roma, 2 Settembre 2012. Studio dell’Avvocato Francesca Masina, via Laurina a Roma.

Indispettita dall’azione avviata da Loredana, Nicoletta aveva cercato – attraverso la sua cara amica romana Lucrezia, con cui aveva condiviso gli anni dell’Università – il migliore avvocato sulla piazza per questioni successorie e l’aveva trovato nell’avvocato Francesca Masina, donna come lei e come lei abituata a vincere. Contromossa di Nicoletta – per parare il colpo di un’eventuale vittoria di Loredana, che avrebbe ridotto la disponibile sulla quale far valere il testamento e la legittima per Priscilla – voleva essere l’impugnazione delle donazioni delle quote della Vannini Officina Meccanica srl, che Robert aveva fatto ai figli Giovanni e Renzo. Avallata dall’Avvocato, Nicoletta voleva sostenere che il valore della società a responsabilità limitata, detenuta da Robert e dai due figli, fosse talmente alto da dover essere computato a titolo di eredità, poiché essi avrebbero diversamente ricevuto molto di più, rispetto a quanto loro spettante. Nicoletta puntava così ad incrementare la massa ereditaria da aggredire a favore proprio e di Priscilla.

Questo racconto – tratto dal libro R-INNOVARE IL FAMILY BUSINESS (Guerini, 2019) – riprende un caso reale apertosi nel 2008 e ad oggi non ancora concluso (!). I figli dell’imprenditore deceduto ribatteranno che, ai fini della valutazione della collazione, deve farsi riferimento al valore della società al momento della donazione, e dunque imputando tale valore, il patrimonio relictum è da intendersi assolutamente predominante e la donazione non ha violato i diritti della sorellastra. Il tutto è diventato oggetto di una complessa CTU[1], nel corso della quale i donatari hanno cercato di mettere in evidenza il fatto che l’accrescimento di valore della società e dell’azienda è avvenuto per il loro merito ed i loro apporti. Come detto, il procedimento è ancora in corso, la famiglia è distrutta, il patrimonio bloccato e l’impresa, ingessata, ha preso la strada del fallimento.

Il messaggio che vorrei arrivasse forte e chiaro a chi si occupa di impresa familiare, sia esso un manager non-familiare, un consulente, un commercialista, un avvocato o un private banker – tutti professionisti che hanno modo di incidere sulla consapevolezza dell’imprenditore al comando e di cui un imprenditore saggio dovrebbe circondarsi per tempo ed ascoltare lucidamente – è che trasferire direzione e proprietà di impresa è impresa essa stessa e come tale va affrontata, pianificata e realizzata non solo per ragioni economiche ma per il ben più profondo dovere morale nei confronti di tutti gli stakeholders che nell’impresa hanno riposto sogni, aspettative, speranze. In una parola: fiducia.

Lo stesso Parlamento Europeo rileva che – secondo il “Piano d’azione Imprenditorialità 2020” della Commissione Europea – il trasferimento della proprietà, e quello della direzione dell’impresa da una generazione all’altra, rappresenti la sfida più grande che un’impresa familiare si trova ad affrontare. Osserva altresì che ogni anno in Europa vi sono circa 450.000 successioni nelle imprese, che coinvolgono approssimativamente 2 milioni di persone. A causa delle numerose difficoltà associate a tali successioni, si calcola che ogni anno fino a 150.000 imprese siano costrette a chiudere, con una perdita di quasi 600.000 posti di lavoro.

Non è un processo facile per l’imprenditore scegliere del futuro della “sua” creatura. È un fatto di identità, la radice più profonda che ci ancora alla vita, ma che l’accelerazione del contesto degli ultimi decenni deve farci imparare a far crescere e ricrescere in terreni sempre diversi, salvaguardando principi e valori e svestendosi di quell’autoreferenzialità e visceralità del possesso che ci acceca e trasfigura, facendoci perdere di vista la ricchezza e numerosità di persone che ci accompagnano nel nostro viaggio imprenditoriale.

Non siano i nostri figli condannati a raccogliere il testimone di impresa senza averne verificato motivazioni e inclinazioni ai diversi livelli di ingaggio possibile (management, governance e capitale), quale anestetico per non voler scoprire che la famiglia possa non essere più la migliore guida dell’impresa. Prima ce ne dovessimo accorgere, prima potremo pianificare altrimenti la continuità, salvaguardando la redditività del capitale, magari l’indirizzo strategico attraverso la governance e sempre più la possibilità che l’impresa sia un soggetto socialmente responsabile nei territori in cui opera.

In conclusione pianificare la continuità di impresa presuppone che nell’imprenditore si sia attivato il registro delle relative domande. La mia esortazione, dunque, è quella di sforzarsi ovvero di farsi aiutare a portare a piena consapevolezza la dimensione sociale dell’impresa e la responsabilità di garantirne la continuità per tutti gli stakeholders, separando il senso della proprietà personale da quella aziendale e soprattutto avendo chiaro tutto il perimetro patrimoniale di ciò che nell’impresa e attraverso l’impresa è stato creato. La prospettiva economica è forse la meno rilevante, perché naturale conseguenza di patrimoni intangibili costruiti nel tempo dalla magica alchimia di fattori personali e della loro interazione col territorio e con l’intera filiera nella quale l’impresa è collocata. Proteggerli per tempo dovrebbe essere un dovere, non un’opzione discrezionale, perché la distruzione di valore, prima ancora che immorale, è un insulto alla nostra intelligenza.

Note

[1] L’acronimo CTU indica la Consulenza Tecnica d’Ufficio che un tribunale può richiedere ad un perito esperto nella materia da dirimere, quando tra le parti in causa non vi sia accordo.

 

Articolo a cura di Alessandro Scaglione

Profilo Autore

Alessandro Scaglione è esperto di imprese familiari, che ha accompagnato da dirigente in diversi settori, vivendo da dentro l'imprenditore, la sua impresa, la sua famiglia. Laureato in Ingegneria Gestionale e master cum laude in General Management al Politecnico di Milano, creato Consiliator, un modello di continuità per il Family Business. È autore di R-INNOVARE IL FAMILY BUSINESS. L’intelligenza naturale dell’imprenditore come differenziale competitivo (GueriniNEXT, 2019) e CONTINUARE INSIEME. Il Family Business oltre il passaggio generazionale (GueriniNEXT, 2020) dove promuove un modello distintivo di cultura imprenditoriale ed accompagna imprenditori, imprenditrici, familiari e professionisti del Family Business nelle discontinuità cognitive della nostra epoca. Il suo sito è www.alessandroscaglione.com

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