Il 19 giugno scorso, si è svolto a Milano un convegno con la partecipazione di Otto Scharmer, professore del MIT di Boston, uno dei più innovativi studiosi internazionali di change management. La finalità di questo incontro era illustrare la sua Teoria U, una metodologia sviluppata in oltre venti anni di studi e già utilizzata con successo da numerosi leader di aziende e dalle organizzazioni di diversi settori economici, in tutto il mondo, per affrontare i grandi cambiamenti del futuro[1].
Dopo il successo del suo primo libro, scritto con Katrin Kaufer, “Leadership in un futuro che emerge”, ha pubblicato recentemente “Teoria U. I fondamentali”[2], un testo più divulgativo, con l’intento di fornire gli strumenti di base per una possibile trasformazione del capitalismo e dello stesso sistema democratico in cui operiamo.
La Teoria U di Scharmer, infatti, auspica il passaggio da un vecchio “ego-sistema”, incentrato esclusivamente sul benessere egoistico, a un “eco-sistema”, in grado di occuparsi del benessere di tutti. E questa trasformazione per lo studioso americano, di origine tedesca, non può che svilupparsi attraverso una nuova consapevolezza che, partendo dall’individuo (mindfullness), si estenda ai gruppi, alle aziende, alle forze sistemiche della politica e dell’economia. Come è facile comprendere, quello delineato è uno scenario di grande respiro. Per ragioni di spazio, mi soffermerò qui solo su alcuni aspetti che riguardano in particolare il tema della leadership.
Secondo Scharmer, oggi viviamo un vuoto di leadership caratterizzato dal fatto che stiamo creando risultati che nessuno vuole e che tutto sommato non ci soddisfano, in un sistema contraddistinto da disconnessioni tra economia finanziaria ed economia reale, crescita infinita e risorse finite, divario sempre crescente tra ricchi e poveri, ecc. L’idea, allora, è quella di cambiare rotta, di affrontare ciò che lui chiama il punto cieco della leadership, cioè la sorgente, la condizione interiore del nostro operare[3].
Anziché reagire attaccando i modelli del passato, che alla fine significa perpetuarli, è necessario sospendere il nostro giudizio, lasciare andare il passato[4], e affacciarsi al futuro che vuole emergere attraverso di noi, dandogli la possibilità di farlo. E’ come compiere un viaggio al nostro interno, individuato da un percorso a forma di “U” (vedasi infografica), che prevede una discesa nel lato sinistro, possibile solo grazie all’apertura della mente, del cuore e della volontà, fino ad arrivare in basso, dove il raggio di osservazione deve consentire di vedere non solo il sistema che sta fuori di noi ma anche noi stessi al suo interno e risalire poi sul lato destro della “U” per portare il nuovo nella realtà.
Fuor di metafora, significa che il lavoro del leader deve orientarsi verso i cambiamenti che già si verificano nel campo sociale, dare ascolto, porre attenzione alle relazioni tra gli individui, gruppi e sistemi da cui sorgono modi di pensare, confrontarsi, organizzarsi in grado di produrre risultati pratici ed efficaci. Occorre, in altri termini, abbandonare l’idea di sistema sociale statico, di cui si percepisce solo la visione “di facciata”, e porre, al contrario, attenzione al campo sociale, e a ciò che in esso si sta sforzando di emergere con tutti i suoi limiti e contraddizioni.
E Scharmer è ottimista in questo senso, nonostante il fatto che le forze che guidano questo movimento evolutivo apparentemente sembra stiano facendo dei passi indietro (lo studioso è particolarmente critico nei confronti della politica di Trump). Secondo lui, altre forze che lavorano all’interno del campo sociale favoriscono per fortuna il risveglio di una nuova consapevolezza, di un nuovo senso di connessione all’altro, al pianeta, alle nostre possibilità future.
Scharmer, oltretutto, è convinto che l’energia segua l’attenzione. In altre parole, la sua idea è che il modo in cui un leader presta attenzione alla realtà sociale che è intorno a lui, produca un’energia che favorirà un suo cambiamento concreto. Una delle qualità del leader del futuro sarà, quindi, proprio quella di porre attenzione alla realtà emergente, passare da un ascolto superficiale a uno più profondo, far evolvere la propria coscienza, sviluppare una maggiore consapevolezza individuale.
In questo senso, vi sono quattro tipi di ascolto: quello abituale, o download, quando ciò che si sente conferma le aspettative e non richiede particolare attenzione; quello fattuale, quando si mette in azione la curiosità e si presta attenzione a tutto quanto costituisce una deviazione dalle consuetudini; quello empatico, quando si riesce ad ascoltare, mettendoci nei panni dell’altro, in modo da attivare l’intelligenza del cuore; e, infine, l’ascolto generativo, che è un momento particolarmente emozionante dove le idee sembrano sorgere collettivamente attraverso l’apertura del confine che si ottiene tra sé e gli altri.
La maggior parte delle persone ritengono che la leadership sia costituita da organizzazioni con al vertice un responsabile. Ma se intendiamo la leadership come la capacità di un sistema di percepire e modellare insieme il futuro, allora comprendiamo che c’è bisogno di includere tutti gli attori che si muovono nel campo sociale e che la leadership deve essere distribuita. In altre parole, se vogliamo sviluppare tali capacità collettive ciascuno deve diventare custode dell’eco-sistema in senso più ampio, e per far questo occorre un nuovo linguaggio, metodi e strumenti diversi che favoriscano un vero e profondo cambiamento sociale.
Che cosa ci impedisce di analizzare la nostra condizione interiore per connetterci con la soglia della creatività e arrivare a scoprire quello che di nuovo sta emergendo? Ci sono alcune “voci interiori di resistenza” che ce lo impediscono. Qualcuno le chiama in modo decisamente evocativo “mafie interne” e che, più semplicemente, sono l’ignoranza, cioè la chiusura della mente, la prevalenza della voce “giudicante”; l’odio, cioè la chiusura del cuore, la prevalenza della voce del “cinismo”, la necessità di prendere le distanze, di contrapporre il noi a loro; la paura, cioè la chiusura della volontà, il timore di perdere ciò che abbiamo, di venire emarginati.
Tutti questi atteggiamenti sono particolarmente deleteri. Favoriscono una struttura sociale di separazione, alzano muri, facilitano la disconnessione con il mondo circostante, e non consentono di cogliere quel che c’è di nuovo, tendono a distruggere le relazioni tra le persone, a incolpare gli altri, a minare il senso di fiducia. Sono, in una parola, esempi di “absencing”, assenza, incapacità di cogliere il senso del presente, un ciclo in cui ancora oggi si trovano invischiate molte organizzazioni e sistemi di varie dimensioni.
La speranza è che in futuro (tra una o due generazioni) possa prevalere un altro ciclo, quello del “presencing”[5], dove i sistemi sociali possano sviluppare, attraverso ogni soggetto coinvolto, la curiosità (apertura della mente), la compassione (apertura del cuore) e il coraggio (apertura della volontà), creando architetture di connessione in grado di abbattere tutti i muri.
Utopia? Non proprio. Nel frattempo, infatti, il lavoro sul campo di Scharmer e dei numerosissimi seguaci delle sue idee non si ferma. E’ un approccio pragmatico che, si rifà alla tradizione dell’”action research” e del “learning by doing” e si basa su esperienze concrete e verificabili[6] che mirano al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, non più affrontato per compartimenti stagni, ma attraverso un allargamento della visuale, al di là dell’area operativa di stretta competenza di ognuno, per avere un approccio eco-sistemico sempre più ampio e orientato verso un effettivo miglioramento economico, ambientale e sociale.
Nota: esiste un video dell’incontro che troverete a questo link: https://bit.ly/2ulyZNx
A cura di: Ugo Perugini
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