Una delle attività più impegnative del management è motivare lo staff aziendale verso una performance di eccellenza, ovvero orientarlo verso modelli d’azione in linea con i cambiamenti di mercato. A tale scopo si propongono al team incentivi sempre più accattivanti. Eppure, a volte, queste procedure non conducono agli effetti sperati e anzi, in alcuni casi, si traducono in veri e propri boomerang: per il destinatario, infatti, il riconoscimento aziendale può risultare una luce perennemente accesa sulla qualità della prestazione. Ci si sente, allora, sotto pressione e si avverte il peso delle alte aspettative del management: lo stress fa sì che la prestazione ristagni e si attesti su standard di scarso rilievo.
In altri casi l’input motivazionale produce, nei destinatari, un entusiasmo di breve durata che poi lascia il posto a un adagiarsi su livelli di routine. In tali circostanze è probabile che il management abbia agito sulla base di una sorta di iper-adattamento, ossia di un adeguamento a ciò che ritiene siano, in genere, le richieste di un professionista riguardo alla qualità degli input motivazionali. Si svaluta, cioè, il fatto che ogni persona sia propensa a inquadrare gli eventi (compreso l’obiettivo fissato dall’azienda e il premio stabilito in caso di sua realizzazione) all’interno di un proprio sistema di riferimento fatto di opinioni, valori, idee, stati d’animo che non necessariamente coincide con gli standard convenzionali.
In questa struttura emotiva/valoriale sono inclusi anche i motivi per cui la persona ogni mattina si reca in azienda e svolge, con scrupolo e impegno, il suo lavoro. Può trattarsi di ragioni del tutto personali e che nulla hanno a che fare con il sistema di riferimento del management.
Giova ridefinire, perciò, differenze e similitudini tra alcune nozioni che sostengono spesso la realizzazione di percorsi motivazionali destinati allo staff.
Ogni individuo svolge il proprio lavoro quotidianamente sotto l’azione di una o più spinte che sono di natura prevalentemente personale e non necessariamente pienamente consapevoli. Oltre alla molla del guadagno, infatti, una professione si pratica perché:
Naturalmente questo elenco non è esaustivo né esclude il fatto che tali spinte seguano o accompagnino quella economica. Questi motivi costituiscono l’energia propulsiva che orienta la persona nella sua attività e la protende verso l’obiettivo professionale. L’incentivo aziendale favorisce che tale confronto si traduca in un incontro tra i due tipi di mete e che l’obiettivo personale, allora, non inibisca la realizzazione di quello aziendale.
Perciò l’incentivo va ad agire sul motivo. Ancora non è motivazione. Questa, infatti, non è energia propulsiva ma attrattiva, data dal valore che l’obiettivo aziendale ha per il soggetto. Non è solo coincidenza, bensì importanza: il soggetto può sentire la meta aziendale in linea con il motivo personale, ma non basta. Bisogna tenere conto di quanto rilievo dà a questa coincidenza.
Ecco perché è opportuno che, prima di fissare mete e incentivi, sia svolto dal management stesso – o meglio da un consulente esterno – un’analisi del clima aziendale allo scopo di individuare ciò che spinge le persone a svolgere ogni giorno il loro lavoro, al di là di ogni discorso teorico/motivazionale (non è detto che i motivi personali siano stabili: possono mutare mese dopo mese, settimana dopo settimana). Il motivo privato per cui si tende verso l’obiettivo, infatti, ha lo stesso peso dell’obiettivo stesso ed è, a volte, il vero e unico incentivo.
Articolo a cura di Alfonso Falanga
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