Licenziamento del dirigente per ragioni oggettive connesse a ristrutturazioni, riorganizzazioni e/o crisi aziendali

Come ben noto, i limiti al potere di recesso del datore di lavoro nei confronti dei dirigenti d’azienda sono rimessi esclusivamente all’autonomia privata individuale o collettiva. A questo proposito, la contrattazione collettiva prevede una tutela imperniata sul giudizio di “giustificatezza” del recesso datoriale, affidato ad apposito collegio arbitrale (ovvero, ormai, quasi esclusivamente al Tribunale), e su un’indennità supplementare (c.d. “penale”) prevista in favore del dirigente ingiustificatamente licenziato.

È ormai consolidato in giurisprudenza l’orientamento per cui la nozione di giustificatezza del licenziamento, prevista nella contrattazione collettiva, non coincide con quella di giustificato motivo di cui all’art. 3, legge n. 604/1966 (prevista e disciplinata per operai, impiegati, quadri), o non è equiparabile ad essa.

In questi termini, la situazione della giurisprudenza più recente sull’individuazione della nozione in parola è nel senso che la specialità della posizione assunta dal dirigente nell’ambito della organizzazione aziendale impedisce una identificazione della nozione di giustificatezza del suo licenziamento con quelle di giusta causa e giustificato motivo.

Proprio in questo senso le due nozioni in parola non sono equiparabili, poiché ai fini della giustificatezza del licenziamento ben può rilevare qualsiasi motivo, purché coerente, ossia costituente base di una decisione sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, i quali non richiedono l’analitica verifica di specifiche condizioni, ma una globale valutazione che escluda l’arbitrarietà del licenziamento. La giustificatezza contrattuale costituisce così criterio di valutazione più ampio, dal quale sono esclusi solo:

1) l’ipotesi di un licenziamento arbitrario o discriminatorio, nonché

2) ogni comportamento del dirigente che sia oggettivamente idoneo ad incidere irreversibilmente sul rapporto fiduciario che lo lega al datore di lavoro.

Questo senza dimenticare che la giustificatezza esige, in ogni caso, sempre secondo la giurisprudenza ormai consolidata, che il motivo addotto nella lettera di licenziamento sia reale, cioè che vi sia un rapporto di corretta congruenza tra il motivo per il quale il licenziamento è stato effettuato come giustificato ed i fatti entro i quali il recesso si inserisce.

Il tutto premettendo che, nell’accertamento di un’idonea giustificazione a base del licenziamento, spetta al datore di lavoro, che intenda essere esonerato dall’obbligo di corrispondere l’indennità supplementare, dimostrare la veridicità e la fondatezza dei motivi da lui addotti, nonché la loro idoneità a giustificare il recesso.

La Suprema Corte di Cassazione ha precisato, peraltro, che, ove vengano dedotte esigenze di riassetto organizzativo per una più economica gestione dell’azienda, la corrispondente scelta imprenditoriale è insindacabile, nei suoi profili di congruità e opportunità: in questi termini, può considerarsi licenziamento ingiustificato solo quello non sorretto da alcun motivo (e che, quindi, sia meramente arbitrario) ovvero sorretto da un motivo che si dimostri pretestuoso, tale da celare l’intento di liberarsi della persona del dirigente (Tra le tante, di recente, Cass. 12668/2016; Cass. 3628/2012, entrambe con dovizia di richiami pertinenti all’orientamento della Suprema Corte, attraverso la citazione di numerosi precedenti in termini).

Ecco una breve casistica di situazioni concrete, per le quali possono richiamarsi, oltre alle due sentenze già citate, a conferma dell’indirizzo generale, Cass. 9896/1998; Trib. Milano 4 giugno 1994, tutte a loro volta fonte di richiami ulteriori).

Cessazione di attività

La cessazione dell’attività di produzione di uno stabilimento e la conseguente soppressione della funzione di direttore tecnico e di produzione dello stabilimento medesimo, costituiscono ragioni oggettive che legittimano il licenziamento del dirigente che tale funzione ricopriva, restando insindacabile la scelta imprenditoriale di cessare la produzione e di chiudere o, comunque, dismettere lo stabilimento, a prescindere dalla esistenza, o meno, di uno stato di crisi.

Soppressione della mansione e del posto

Il licenziamento del dirigente, motivato dalla soppressione della mansione – poi affidata ad un quadro già dipendente dell’azienda – conseguente all’unificazione di due filiali, è assistito da giustificatezza, a prescindere dalla prova dello stato di crisi in cui l’azienda si sarebbe trovata.

In questi termini, analogo giudizio è stato dato con riguardo alla soppressione della mansione di direttore generale, motivata dall’esigenza di riduzione dei costi aziendali.

Per il caso di recesso motivato dalla soppressione del posto di lavoro, dovuta a esigenze di riorganizzazione aziendale finalizzata ad una più economica gestione, anche se intimato prima della ristrutturazione stessa, la giurisprudenza ammette la giustificatezza, con la precisazione che l’insindacabilità delle decisioni economico organizzative dell’imprenditore, sotto i profili di congruità ed opportunità, impone che la necessaria verifica dell’effettività delle scelte non comporti un’indagine in ordine ai margini di convenienza e di onerosità dei costi connessi alle modifiche apportate, atteso che la trasformazione ben potrebbe comportare un maggior costo, nella previsione dell’ottenimento di migliori risultati.

Anche per il mancato raggiungimento di determinati minimi di fatturato, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che la circostanza può incidere sull’assetto del personale e, in particolare, può rendere non più conveniente per l’impresa la presenza di un dirigente, il cui licenziamento è quindi giustificato, poiché rientra fra i poteri dell’imprenditore quello di organizzare l’azienda al fine di ottenere il migliore risultato economico.

Ristrutturazione e riorganizzazione

A proposito di ristrutturazione e/o riorganizzazione aziendale, la giurisprudenza ha avuto modo di statuire che non è irragionevole né incomprensibile puntare alla riduzione dei costi, anche soltanto attraverso il solo licenziamento del dipendente di maggior livello retributivo, purché, tuttavia, si dia corso, a scopo di risparmio, ad una soppressione reale ed effettiva della funzione dirigenziale e non ci si limiti ad una mera redistribuzione degli incarichi.

In un altro caso, è sembrato “motivo serio e sufficiente di giustificazione” del licenziamento la nuova organizzazione dell’attività aziendale, consistente nell’accentrare nelle funzioni di dirigenti della capogruppo le attività che prima erano svolte nell’ambito europeo dalla società interessata, in uno specifico settore di produzione e vendita.

È stato dichiarato legittimo il licenziamento di un dirigente dovuto alla necessità di ridurre le spese di esercizio, in vista di un processo di sostanziale dismissione dell’azienda, essendo, in questo senso, del tutto ragionevole puntare alla diminuzione dei costi anche attraverso il solo licenziamento del dipendente di maggior livello retributivo, soprattutto qualora la stessa funzione di questi all’interno dell’organizzazione produttiva, come nel caso specifico, risulti, per ragioni oggettive, in via di esaurimento.

Volendo schematizzare i termini degli orientamenti più recenti della S.C., che sembrano proprio avallare la configurazione di una attenuazione delle tutele del dirigente, in fattispecie variamente riconducibili a quella del licenziamento per situazioni di riorganizzazione e/o ristrutturazione, può dunque rilevarsi quanto segue:

  • il mantenimento delle mansioni/funzioni già svolte dal dirigente licenziato, ma ad un costo inferiore, è manifestazione di una possibile e legittima scelta imprenditoriale, tale da escludere, in via di principio, la pretestuosità del licenziamento;
  • le esigenze di riassetto organizzativo, finalizzato ad una più economica gestione dell’azienda, rendono non configurabile, sempre in via di principio, una valutazione di ingiustificatezza del licenziamento;
  • solo l’intento – unico e manifesto – di liberarsi della persona del dirigente, avulso da ogni considerazione di meritevolezza in ordine alla riconduzione della decisione aziendale ad una libera scelta imprenditoriale, può determinare un conseguente giudizio di ingiustificatezza;
  • la scelta imprenditoriale può risolversi anche in una riorganizzazione delle risorse umane finalizzata a garantire una gestione non in perdita dell’azienda.

A cura di: Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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