Licenziamento del dirigente per giusta causa: casistica giurisprudenziale (parte III)

La prima e la seconda parte dell’articolo sono disponibili qui e qui.

Lavoratore sottoposto a procedimento penale

In tema di illeciti disciplinari, può essere interessante esaminare il contenuto di una decisione della S.C. secondo cui la disposizione del contratto collettivo in base alla quale il lavoratore sottoposto a procedimento penale deve darne immediata notizia all’azienda, tende a rendere il datore di lavoro compiutamente e precisamente informato circa vicende che possono incidere gravemente sul rapporto di lavoro bancario [era questo il rapporto di specie riguardante il dirigente interessato dalla vicenda], e impone al lavoratore un dovere di leale collaborazione con il datore, finalizzato alla conservazione del necessario legame fiduciario e non può rimanere vanificata da notizie, eventualmente imprecise ed incontrollabili, che il datore può ricevere da altra fonte (Cass. 10 agosto 2006, n. 18150). Nella fattispecie portata all’attenzione dei giudici di legittimità, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto che il continuo rifiuto del lavoratore di fornire al datore di lavoro notizie, ai sensi dell’art. 34 del contratto dirigenti credito [ora art. 5 contratto vigente], in ordine alla pendenza di un procedimento penale per i reati di usura e di bancarotta fraudolenta, avesse interrotto il legame fiduciario essenziale del rapporto di lavoro del dipendente bancario, giustificando il licenziamento.

Da ricordare, infine, sulla tematica, che il giudice del lavoro adito con impugnativa di licenziamento che sia stato comminato in base agli stessi comportamenti che furono oggetto di imputazione in sede penale, non è affatto obbligato a tener conto dell’accertamento contenuto nel giudicato di assoluzione del lavoratore, ma ha il potere di ricostruire autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto svincolate dall’esito del procedimento penale (Cass. 9 giugno 2005, n. 12134).

Rifiuto della prestazione

Configura giusta causa di licenziamento il rifiuto della prestazione da parte di un dirigente per effetto di una diminuzione quantitativa delle funzioni attribuitegli nell’ambito di un legittimo processo di ristrutturazione (Pret. Milano 15 giugno 1988). La controversia traeva origine dalle modifiche organizzative decise dalla società e recepite in un ordine di servizio, ufficialmente comunicate al dirigente nel corso di una riunione allargata a tutti i manager.
Il ricorrente – ritenendo le nuove mansioni gravemente dequalificanti – ha reagito comunicando la propria astensione immediata dal lavoro, fino ad una effettiva reintegrazione nelle mansioni originarie. In questi termini, il licenziamento è stato dichiarato legittimo e ascrivibile a giusta causa, in considerazione e del tempo per il quale si è protratta l’assenza e del fatto che sarebbe stato, in ogni caso, contraddittorio concedere un preavviso che, stante la perentoria decisione del dirigente di non presentarsi più al lavoro, non avrebbe comportato la prestazione di alcuna attività lavorativa.

Rifiuto della collaborazione

La giurisprudenza ha stabilito che vanno esclusi gli estremi della giusta causa nel rifiuto di collaborazione e nell’ostruzionismo nei confronti del nuovo dirigente, motivati dalla situazione di svuotamento delle mansioni e del proprio ruolo in azienda, peraltro svolto con la massima professionalità: in questo caso è apparsa più consona la risoluzione del rapporto con rispetto del termine di preavviso, “in quanto posta in essere non arbitrariamente, ma per superare una reale difficoltà di gestione dell’azienda, a cui aveva concorso il comportamento colposo del dipendente” (Pret. Milano 21 ottobre 1991). Diverso è il discorso sulla giustificatezza. Nel contesto aziendale, esclusa una volontà dell’azienda di mortificare e/o emarginare il ricorrente, a prescindere dalla gravità degli addebiti, si era venuta a configurare una situazione di contrasto aspro tra direttore generale e vicedirettore, che non presentava alcuna possibilità reale di recupero per la posizione di chiusura del ricorrente. In questa situazione ha trovato la sua ragione il licenziamento in tronco, poi derubricato dal giudice.

Procedure bancarie

Secondo un orientamento di merito, non proprio recente ma ancora operante nelle sue linee precettive fondamentali, deve ritenersi configurare giustificato motivo e non giusta causa di licenziamento, lo scostamento, da parte del dirigente bancario responsabile dell’ufficio fidi, dalle procedure previste dalla banca in materia di finanziamento (Pret. Milano 14 maggio 1987). Nel caso di specie, il comportamento del dirigente, qualificato come “approssimativo ed affrettato” dal giudice, era tale da far venir meno il rapporto di fiducia essenziale per lo svolgimento dei compiti affidatigli. In questi termini, la società era legittimata a risolvere il rapporto, venendo a dubitare dell’adeguatezza delle valutazioni operate dal dipendente sulle decisioni di concedere finanziamenti, atteso che i mutui erogati, erano classificabili, secondo la prassi bancaria, come aventi “rischio superiore alla norma”.

In un caso riguardante l’operato di un funzionario, è stata esclusa la responsabilità risarcitoria dello stesso, nei confronti del datore di lavoro, in relazione ad operazioni rivelatesi negative, una volta accertato, con adeguata motivazione, che il dipendente aveva operato secondo una media diligenza, nell’ambito della discrezionalità tecnica riconosciutagli dal datore di lavoro (Cass. 7 aprile 1998, n. 3591). Nel caso concreto erano stati negoziati, a favore di persona diversa dal beneficiario, assegni trasferibili poi risultati di provenienza furtiva. In particolare, il giudice del merito, nel disattendere gli addebiti dell’istituto nei confronti del responsabile di agenzia che aveva autorizzato l’operazione, aveva osservato che l’azienda non aveva mai voluto prendere una posizione chiara su tale tipo di operazioni e che, in un contesto di prassi interna – imputabile ai dirigenti della banca – sotto molti aspetti lontana dai principi di correttezza, trasparenza e legalità, non potevano essere mossi addebiti ai singoli dipendenti, in relazione alle inerenti deviazioni dai suddetti principi, salva l’ipotesi di responsabilità per veri e propri misfatti.

Da un diverso punto di vista è stata esclusa la responsabilità risarcitoria dei dirigenti preposti agli uffici esecutivi del settore fidi, credito ordinario ed estero-merci, che provvedevano all’istruzione delle pratiche di affidamento e alla formulazione di pareri, non vincolanti, per gli organi direttivi, in special modo il comitato di gestione (Pret. Cosenza 19 aprile 1989).

Diversamente, è stato valutato in modo più severo il comportamento del dirigente, siccome qualificato alla stregua della violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza, con annessa la sanzione espulsiva e l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni; e ciò tanto più nel caso di specie in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, occupava una posizione di particolare responsabilità, collocandosi al vertice dell’organizzazione aziendale e svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda (Cass. 12 gennaio 2009, n. 394). Ne consegue, a detta della S.C. che, come nella fattispecie concreta, ove il dirigente consenta alla clientela della banca la formazione di una esposizione debitoria anomala facendo assumere alla banca stessa rischi eccedenti l’ordinata e corrente gestione dei rapporti di mutuo, si realizza una violazione dell’obbligo di diligenza, con la produzione di un danno risarcibile pari alla perdita subita dall’istituto di credito a causa della situazione di insolvenza dei beneficiari del credito.

Non ha avuto miglior sorte il caso ritenuto di grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto e in specie di quello fiduciario, riguardante il dirigente di un istituto di credito e attinente alla valutazione di idoneità del comportamento contestato a ledere il suddetto rapporto fiduciario, da effettuare con particolare rigore e a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro (Cass. 11 ottobre 2005, n. 19742. Su questo aspetto specifico, della sufficienza del pericolo di danno, in una fattispecie simile, di scostamento dalle procedure bancarie, cfr. Cass. 1° giugno 2005, n. 11674): nel caso specifico, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificato per colpa gravissima il licenziamento del responsabile dell’ufficio ispettivo di un istituto di credito per aver proposto affidamenti senza provvedere a valutarne correttamente il merito creditizio e omettendo gli accertamenti sulla sussistenza di adeguate garanzie a presidio del credito, nonché per l’inadeguatezza dell’attività svolta in qualità di responsabile dell’ufficio ispettivo.

In un diverso caso, con profili di responsabilità penale (Cass., Sez VI, 13 gennaio 2006), la S.C. ha accertato configurarsi – a livello di gravità indiziaria – il reato di cui all’art. 2638 c.c. (ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza), nella condotta del dirigente di un istituto di credito soggetto alla vigilanza che invii alla Banca d’Italia una nota, ancorché successiva all’ispezione, contenente controdeduzioni al verbale ispettivo, con la quale si espongano fatti materiali, oggetto di valutazioni, non rispondenti al vero – nella fattispecie consistenti nelle condizioni economiche e finanziarie che si riflettono sulle previsioni di perdite di un’azienda sottoposta a sequestro di prevenzione – considerato che si trattava di comunicazione pertinente e rilevante al fine dell’esercizio della funzione di vigilanza e che alla falsità dei fatti esposti conseguiva l’ostacolo alla vigilanza stessa.

Dirigente di azienda municipalizzata

Posto che [secondo le disposizioni vigenti al tempo della presente fattispecie] il direttore di azienda municipalizzata può essere licenziato, prima della scadenza dell’incarico triennale, solo per giusta causa attinente alla funzionalità ed efficienza dell’azienda, la S.C. ha stabilito che, posta l’insufficienza degli episodi contestati ad assurgere a tale causa di licenziamento, anche in ragione della loro irrilevanza sul profilo della compromissione irrimediabile del vincolo fiduciario, il recesso non poteva spiegarsi nei confronti di un direttore che aveva avuto tre riconferme e un premio per i risultati della gestione (Cass. 20 marzo 1998, n. 2990). I fatti contestati erano: 1) omessa tempestiva comunicazione alla commissione amministratrice di un rapporto commissionato a un esperto sulla sicurezza degli impianti; 2) insufficienza nelle azioni di recupero dagli utenti in una situazione di morosità complessiva per sette miliardi di lire; 3) negligenza nel recupero di un modesto credito da un ex presidente.

 

Articolo a cura di Pasquale Dui

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

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