L’impresa, per sopravvivere nel proprio contesto di riferimento, deve trovare la sintonia tra tutte le entità in esso presenti. Infatti, solo attraverso la ricerca dell’armonia e del contemporaneo soddisfacimento delle attese di tali gruppi compositi, l’impresa non vede compromessa la propria capacità di sopravvivere.
Gli stakeholders, ovvero i portatori di interesse nei confronti dell’impresa, hanno per loro natura aspettative, poteri, esigenze, diritti, interessi ed influenza.
L’impresa e il management riconoscono questi aggettivi con un grado di rilevanza differente rispetto agli stakeholders ed agli interessi stessi dell’impresa. Possiamo, infatti, distinguere diversi fattori di rilevanza che vanno a qualificare le categorie di stakeholder: potere, legittimità ed urgenza.
Il potere, nello scenario organizzativo aziendale, è basato sul tipo di risorsa utilizzata per esercitarlo, e può essere suddiviso in:
Con il termine legittimità degli stakeholders, ci si riferisce alla relazione che lega questi all’impresa e alle richieste che quest’ultimo avanza, mentre con l’attributo urgenza s’intendono le richieste che questi avanzano, o potrebbero avanzare, nei confronti dell’impresa/organizzazione.
La presenza di uno o più di questi tre attributi determina la rilevanza di un determinato stakeholder per la corporation; combinando i diversi attributi se ne possono ottenere diverse classi, a tal proposito Ronald K. Mitchell, tra gli studiosi di management a dar maggiore contributo agli sviluppi successivi della Stakeholder Theory, ha elaborato una teoria che si fonda sulla percezione relazionale tra impresa e i portatori di interesse.
Tale idea si sviluppa cercando di interpretare quanto teorizzato in precedenza da Freeman di “chi e che cosa realmente conta”, e crea tre diverse qualificazioni: i manager che si prefiggono di raggiungere più obiettivi e che concentrano maggiore attenzione a più classi di stakeholders; le diverse classi, identificate in base alla presenza di uno o più dei tre attributi fondamentali; ed infine le percezioni del management che stabiliscono la differenza tra questi.
Mitctchell, inoltre, afferma anche che i soggetti che non siano in possesso di neanche uno di questi attributi non possono essere considerati stakeholders per l’azienda e quindi siano soggetti privi di rilevanza, denominati portatori passivi d’interesse.
La proposizione che ci permette di distinguere tra i vari stakeholders è la seguente: “La rilevanza di questi sarà positivamente correlata al numero cumulativo di attributi – potere, legittimità ed urgenza – percepiti come esistenti dai manager.”
In base a questa combinazione Mitchell distingue:
Questa ultima categoria potrebbe creare notevoli ostacoli ai manager, dato che potrebbero, di fatto, diventare coercitivi e violenti. I loro comportamenti inoltre spesso si pongono al di fuori della sfera legale, diventando pericolosi non solo per i manager e gli stakeholders, ma anche per gli altri individui ed entità coinvolte nella sfera o vita aziendale.
Conoscere il peso dei portatori di interesse, diventa quindi fondamentale per l’approccio manageriale denominato stakeholder-oriented approach, che presuppone un processo sistematico di dialogo e di coinvolgimento dei principali interlocutori sociali dell’organizzazione nella formulazione delle politiche o strategie aziendali.
Tale processo muove quindi da un’attività ricognitiva per poi definire le strategie più opportune di governo delle relazioni.
Alla base dell’approccio, si rende necessaria per l’identificazione e la segmentazione di queste figure, una mappa percettiva, detta stakeholder analysis, che fornisce la possibilità di isolare il contributo che ogni singolo stakeholder può portare, per migliorare la situazione di contesto in cui opera l’impresa e valutarlo rispetto a una specifica politica, attività o iniziativa dell’impresa.
Articolo a cura di Federico de Andreis
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