Secondo Judith Glaser, fondatrice del Creative We Institute of Communication, “Raggiungere il prossimo livello di grandezza dipende dalla qualità della cultura, che dipende dalla qualità delle relazioni, che dipende dalla qualità delle conversazioni. Tutto avviene attraverso le conversazioni!”
Il linguaggio ha un potenziale enorme: può ferire o sanare, erigere muri o costruire ponti, irritare o sollevare, bloccare o aprire possibili soluzioni. Attraverso le conversazioni esploriamo, apprendiamo, diamo significato al nostro mondo. Se soltanto ne facessimo un uso più consapevole e mirato ci eviteremmo fastidi, incomprensioni e perdite di tempo.
La lingua descrive la realtà e cambia rapidamente come il contesto in cui viviamo; la parola descrive qualcosa di me, mi identifica (origini, usi e costumi, influenze, tipo di professione, ecc.), descrive – oltre al mondo di provenienza e appartenenza – anche la mia personalità: per questo una maggiore attenzione al linguaggio che adoperiamo consente di comprendere meglio l’altro e di instaurare relazioni e “conversazioni” intelligenti perché attente sia al nostro interlocutore che al focus della conversazione, ovvero all’obiettivo che ci prefiggiamo. A volte, dalle conversazioni riuscite scaturiscono legami sentimentali o professionali che durano un lungo arco di tempo; al contrario parole per noi innocue e poco significative rischiano di incrinare un rapporto al quale tenevamo.
È come per l’esecuzione di un brano musicale: a seconda di come vengono eseguite le note, da considerarsi vere e proprie “parole”, il risultato sarà diverso e sarà la cura rivolta ad ogni singola nota o passaggio a fare la differenza.
Anche se ultimamente si sta sempre più riducendo la quantità di vocaboli usati, la nostra lingua è meravigliosa, consente moltissime sfumature utili anche per sorprendere l’interlocutore ed essere più precisi sull’oggetto della conversazione.
Posto che la responsabilità di una buona comunicazione è sempre dell’emittente del messaggio, di seguito alcuni consigli per rispettare ed usare al meglio il potere della parola:
Infatti sono le scelte che contraddistinguono il nostro libero arbitrio e abbiamo sempre facoltà di scegliere una parola, un comportamento in funzione di COSA vogliamo ottenere e di DOVE vogliamo andare. Questa consapevolezza è fondamentale e fa la differenza tra le conversazioni inutili – o peggio, nocive – e quelli intelligenti, perché di valore: a posteriori chiediamoci se quell’interlocuzione ci ha spostato dal punto di partenza iniziale, cosa ci ha dato in termini di nuove conoscenze acquisite o se ci sentiamo leggermente diversi. Se invece ci sentiamo infastiditi o annoiati teniamolo a mente per il futuro, per evitare (se possiamo) o per gestire diversamente l’interazione.
Vediamo nel concreto alcuni esempi di verbi che depotenziano o che aiutano a consolidare gli atteggiamenti che assumiamo durante le interazioni: i primi sono causa di stress, contribuiscono al rilascio di cortisolo mentre i secondi sono benevoli, favoriscono la produzione di ossitocina, il neurotrasmettitore noto per regolare i legami sociali, primo fra tutti quello madre-figlio, che potrebbe avere un ruolo anche nella regolazione dei rapporti di cooperazione tra gli individui all’interno di un gruppo, secondo la conclusione a cui è giunto un team di ricercatori della University of Neuchâtel, Svizzera (fonte: Salute24, Il Sole 24 Ore).
a) Quelli che indeboliscono: escludere, giudicare, limitare, trattenere, sapere, dettare, criticare.
b) Quelli che rafforzano: includere, apprezzare, espandere, condividere, scoprire, sviluppare, celebrare.
Ad ognuno di noi il compito personale di fare un’autoanalisi di quelli di maggior uso nelle proprie conversazioni e di verificarne effetti e conseguenze, sia sul proprio stato di benessere emotivo sia sull’impatto sugli altri.
Proprio perché viviamo in contesti a veloce mutamento, anche in ambito aziendale diventa sempre più importante fare cultura nel senso di avere un uso appropriato e misurato delle parole; servono leader visionari capaci di pensare e agire in modo concatenato e ponderato, dando il giusto senso all’azione, esplicitandone i significati in modo da coinvolgere il proprio team.
Usare il giusto mix di empatia, ascolto ed empowerment consente di creare benessere nei luoghi di lavoro fidelizzando la squadra e aumentando le performance: a volte bastano una parola, un sorriso, una frase ben posta per motivare e ottenere il massimo dai propri collaboratori.
Vediamo allora il passaggio linguistico avvenuto tra la tradizione e l’innovazione, tenendo presente che nulla è a caso e che ogni parola ha un potere evocativo intrinseco, quindi impariamo a usarle consapevolemente, dosandole e ritmandole nel modo più funzionale per ottenere i risultati desiderati.
Nella cassetta dei concetti manageriali per il futuro, accanto alla parte razionale del cervello dell’organizzazione, sarà bene affiancare anche la parte creativa ed emozionale, usando nuovi termini come benessere insieme a profitto, processi oltreché obiettivi, immaginazione oltre a razionalità, collaborazione invece di conflitti, persone e non solo dipendenti, fiducia contro sfiducia, bellezza oltre efficienza, semplicità insieme a complessità, improvvisazione per meglio cavalcare l’imprevedibilità, diversità anziché omologazione, ritmo e non solo velocità.
Le nuove parole aggiungono un senso del noi corale che aiuterà “l’azienda a trasformarsi da strumento per la realizzazione di un profitto a impresa armonica che mira a migliorare la vita generando benessere per i soggetti con i quali costruisce il proprio percorso o che incontra nel proprio cammino” (Claudio Baccarani, Pensieri per il management nel tempo dell’imprevedibilità e delle sorprese, Giappichelli Editore, 2011).
Articolo a cura di Raffaella Iaselli
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