Le causali per l’assunzione con contratto a tempo determinato: un cantiere sempre “in progress”

Le motivazioni che il datore di lavoro deve addurre per essere legittimato a ricorrere ai contratti a tempo determinato – le c.d. “causali” – costituiscono, da sempre, uno dei nodi più critici che ha contraddistinto l’istituto nella sua evoluzione storica.

Il legislatore, sul punto, ha dettato nel tempo una regolamentazione non sempre chiara ed univoca ma, anzi, spesso contradditoria e con frequenti cambi di rotta.

Fin dagli anni Sessanta l’assunzione del lavoratore dipendente con contratto a tempo determinato è stata considerata un’eccezione rispetto all’assunzione con contratto a tempo indeterminato e ammessa unicamente per determinate fattispecie.

L’art. 1 della Legge n. 230 del 1962 prevedeva la possibilità di assumere un lavoratore con contratto a termine per attività stagionali, per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo avente carattere straordinario od occasionale, per le lavorazioni che prevedevano maestranze diverse per specializzazione da quelle normalmente impiegate in Azienda e limitatamente a fasi complementari e non continuative della lavorazione e, infine,  per il personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli.

Fin da allora le causali dovevano essere specificate per iscritto all’interno del contratto (salvo rare eccezioni), pena la considerazione del rapporto, fin dalla sua decorrenza, come contratto a tempo indeterminato.

Era chiaro come il legislatore considerasse come contratto di lavoro “tipico” solamente quello a tempo indeterminato, consentendo il ricorso al contratto a termine solamente in regime di specialità e per particolari situazioni.

L’evoluzione del contesto produttivo, che richiedeva flessibilità nelle assunzioni, ha contribuito, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, a rendere meno rigida la regolamentazione dell’istituto da parte del legislatore, con riferimento specifico alle c.d. “causali”: per alcuni settori – es. quello aeroportuale – le stesse sono state attenuate ed è stata lasciata una più ampia libertà di manovra in materia alla contrattazione collettiva.

Tuttavia un primo, vero, cambio di rotta si è avuto con l’emanazione dell’art. 1 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001. Si è passati, infatti, dalla previsione di motivazioni specifiche e ben determinate, sostanzialmente “a numero chiuso”, da dover utilizzare per poter assumere con contratto a tempo determinato ad un criterio apparentemente contrario. Infatti, da quel momento, è stato sufficiente indicare ragioni generiche “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (c.d. “causalone”) per poter ricorrere ai contratti a termine.

Quella che, agli occhi dei più, sembrava essere una notevole apertura e facilitazione per le Aziende per assumere senza vincoli lavoratori con contratto a tempo determinato si è rivelata, di fatto, un boomerang.

Infatti sono aumentati notevolmente i contenziosi proprio in relazione alla configurabilità o meno, nei casi concreti, delle ragioni che giustificavano l’adozione dei contratti a tempo determinato. La questione, di fatto, si è spostata nelle aule di giustizia e l’orientamento che si è affermato è stato molto rigoroso, con la conseguenza della trasformazione giudiziale a tempo indeterminato di un gran numero di contratti a termine.

Un’altra importante novità in tema di causali per l’assunzione con contratto a termine è stata introdotta dalla Legge n. 92 del 2012 (c.d. “Legge Fornero”), la quale, inserendo il comma 1bis all’art. 1 del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, ha eliminato la necessità di apposizione delle causali nel caso di stipulazione di un primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi.

Si è trattato di un passo non secondario nella direzione dell’estensione nell’utilizzo dell’istituto, anche se di portata abbastanza limitata in quanto la facoltà di esonero dall’applicazione delle causali valeva solo per un primo contratto a termine tra le medesime parti: tale contratto “acausale”, inoltre, non era prorogabile.

Nel solco aperto dalla Legge Fornero si è mosso il Decreto Legge n. 34/2014 – c.d. “Decreto Poletti” (e relativa Legge di conversione n. 78 del 2014) che ha consentito la stipulazione del contratto a termine senza causale per tutta la durata massima di tale contratto (36 mesi).

Era finalmente possibile assumere a tempo determinato i lavoratori senza dover addurre specifiche motivazioni (spesso fonte di contenzioso, come sopra detto), seppure in un arco temporale definito (36 mesi).

La successiva regolamentazione adottata con il testo originario del c.d. Jobs Act (Decreto Legislativo n. 81/2015) non è intervenuta sul tema delle causali ma si è occupata di aspetti diversi dell’istituto (durata massima del contratto, limiti quantitativi per il ricorso al contratto a termine, etc.)

Tuttavia l’estensione della possibilità di utilizzo del contratto a termine iniziata con il c.d. “Decreto Poletti” ha avuto vita breve.

È stato infatti il c.d. Decreto Legge n. 87 del 2018 – c.d. Decreto Dignità (e relativa Legge di conversione n. 96 del 2018), che ha modificato l’art. 19, comma 1 del Decreto Legislativo n. 81/2015, a reintrodurre le causali obbligatorie per l’assunzione con contratto a tempo determinato, in una forma perfino più stringente che in passato.

Infatti da allora, ad eccezione della stipulazione di un contratto di durata fino a 12 mesi che può essere “acausale”, superati i 12 mesi l’assunzione a termine è consentita solamente inserendo nel contratto una tra le seguenti motivazioni:

  • Esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività
  • Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria
  • Esigenze di sostituzione di altri lavoratori.

Ed anche la durata massima del contratto a termine si è ridotta, passando da 36 a 24 mesi.

La nuova normativa ha, di fatto, limitato notevolmente il ricorso all’assunzione con contratto a termine. Infatti, fatta salva la causale c.d. “sostitutiva”, tutte le altre ragioni giustificative dell’assunzione con contratto a tempo determinato sono molto generiche ed espongono il datore di lavoro ad un altissimo rischio di contenzioso. Di conseguenza, da allora, si è diffusa tra i datori di lavoro la prassi, ormai consolidata, di assumere lavoratori a termine fino a 12 mesi, non oltre, per evitare rischi di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

Proprio da ultimo il legislatore, valutate le conseguenze concrete dell’eccessiva rigidità della normativa sulle causali nei contratti a termine, ha tentato di porvi un seppur parziale rimedio.

Infatti la legge di conversione del c.d. Decreto Sostegni-bis – Legge n. 106 del 23 luglio 2021, con l’introduzione del comma 1.1 all’art. 19 del Decreto Legislativo n. 81/2015, ha consentito l’assunzione a termine oltre i 12 mesi dei lavoratori attraverso l’utilizzo di causali ulteriori rispetto a quelle previste dal Decreto Dignità. Tale assunzione è permessa qualora si verifichino “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi” di lavoro e fino al 30 settembre 2022 (un’apertura alla contrattazione collettiva in tema di determinazione delle causali del contratto a termine era già stata prevista in passato dall’art. 23 della Legge n. 56 del 1987 e aveva dato adito a diverse interpretazioni giurisprudenziali in merito).

Come rilevato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro (Approfondimento del 2 agosto 2021) le causali individuate da parte della contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale) secondo la nuova normativa dovranno essere puntuali, determinate e univoche, per evitare nuovi rischi di contenzioso per i datori di lavoro.

Desta qualche perplessità la limitazione temporale, stabilita dalla legge, per l’assunzione dei lavoratori a termine con causali ulteriori stabilite dai contratti collettivi: come detto tale assunzione è realizzabile con stipulazione del contratto entro il 30 settembre 2022. La regolamentazione sul punto è stata recentemente illustrata nella Nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 14 settembre 2021, che ha anche insistito sulla necessaria “specificità” delle causali individuate dalla contrattazione collettiva. La limitazione temporale suddetta, peraltro, appare poco comprensibile se si considera che non vale per i rinnovi e le proroghe dei contratti a termine oltre i 12 mesi, che potranno essere effettuati, inserendo le causali aggiuntive previste dai contratti collettivi, anche oltre il 30 settembre 2022.

Concludendo possiamo rilevare come il legislatore continui, in tema di regolamentazione delle causali del contratto a termine, a fornire indicazioni mutevoli che non consentono ai datori di lavoro di avvalersi dell’istituto senza rischi di possibili contenziosi.

L’auspicata e sostanziale piena liberalizzazione dello strumento del contratto a termine, che da più parti si invoca, è, a quanto sembra, non ancora prossima a realizzarsi.

 

Articolo a cura di Franco Maruccio

 

Profilo Autore

Laureato in Giurisprudenza, con Master in Human Resources Management, ricopre attualmente il ruolo di Human Resources Manager presso Editoriale Domus S.p.A., occupandosi di ricerca e selezione del personale, contrattualistica aziendale, gestione dei rapporti di lavoro, contenzioso e relazioni sindacali.
In precedenza, dopo aver svolto la mansione di Funzionario dei Servizi Sindacali presso l’Unione del Commercio, Turismo e Servizi della Provincia di Milano, ha lavorato presso Beta Utensili S.p.A., in qualità di Gestore del personale di Stabilimento.

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