La perdita del pensiero manuale e del comando procedurale, le ricadute nel mondo del lavoro

Qualche anno fa lessi un libro che mi colpì moltissimo, in primo luogo per il rifiuto che il titolo mi provocò, in secondo luogo per gli interessanti spunti di riflessione che invece trovai, poi al suo interno.

Il titolo di questo libro è “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello” di Nicholas Carr, giornalista;

scrive questo libro proprio per documentare una importantissima considerazione relativa a quanto internet stesse cambiando il suo modo, non solo di comportarsi, ma proprio di pensare. Dopo 5-6 anni, mi trovo ogni volta a confermare quanto ivi è scritto; ovvero, lo scrittore esordisce spiegando come sempre di più, recentemente, inizia ad aver difficoltà a leggere e scrivere testi. In quanto giornalista appunto, fino pochi anni prima era abituato a leggere pagine e pagine, di un incredibile ammontare di testi; ora invece, osserva, la difficoltà è proprio di concentrazione, o meglio di seguire un ragionamento, che nei libri, è lineare, mentre, invece, internet ci porta a ragionare per nodi e salti. Nota insomma che non è, che stiamo diventando incapaci di leggere, ma che il nostro modo di acquisire informazioni è oramai totalmente congruo al maggior strumento di informazione e comunicazione che utilizziamo.  Ovvero quello che funziona su uno spazio tridimensionale, il cui funzionamento è caratterizzato da un movimento non lineare ma fatto di salti tra nodi a loro volta sede di nuove reti e così via all’infinito, la scrittura non è infinita, internet si, aprendo finestre, spostandosi in altri luoghi e tempi, passando ad un’altra attività e poi tornando e così via.

Questo cosa provoca a livello pratico?

Laddove il pratico trova la sua massima espressione nel mondo del lavoro: io la chiamo perdita del “pensiero manuale”, sembra un ossimoro… non lo è.

Partiamo da una premessa fondamentale, prima del pensiero era l’azione; l’azione determina il nostro pensiero, ci descrive, noi costruiamo significati intorno a noi stessi sulla base delle azioni che compiamo. La manualità, quella modalità di lavoro che ci ha caratterizzati fino almeno due generazioni fa, determinava un ragionamento, quand’anche astratto, certamente lineare. Dato da una successione di procedimenti, l’uno legato, con un nesso casuale all’altro, in rispetto del tempo e degli spazi contestuali. La memoria è contestuale (strettamente legata al luogo). Oggi questo sta subendo una radicale trasformazione, l’attività che si svolge, nel luogo di lavoro e non solo, è strettamente connessa a strumenti che svincolano l’individuo dal cardine spazio-temporale, e che presuppongono la possibilità di interagire e agire su più piani contemporaneamente.

Si perde la manualità, tutto è ridotto alla mentalizzazione (termine che in gergo tecnico psicologico indica invece un meccanismo di difesa); ciò significa che in realtà la mentalizzazione è di per sé un limite (parleremo in un altro articolo del perchè).

Aggiungiamo, a questa, un’altra considerazione: il procedimento di pensiero prodotto dei nuovi strumenti tecnologici, è sempre più legato ad una percezione totalmente endofasica della realtà (la propria o le proprie voci interne la fanno da padrone), poiché internet e i social ci confermano costantemente; questo fa si che si crei una separazione tra i propri significati e quelli altrui, rendendo sempre più difficile la comunicazione, più o meno profonda. Autistici nel proprio modo di ragionare e di dialogare. Il dialogo diventa ana- logico, nel senso greco del termine ‘che si muove per similitudine’ il cui metodo prevede quindi, tendenzialmente , di rimanere nello spazio personale di significato; di contro, appunto a quello dia- logico volto invece ad attraversare i significati delle entità che partecipano alla comunicazione e, quindi, a superare l’individualità; ci sono interessanti studi recenti sulle video call dove si osserva come, la persona passi molto tempo ad osservare se stessa invece del suo interlocutore, questo apre ad importanti riflessioni (www.stateofmind.com, “Perchè durante le video call guardiamo più noi stessi che gli altri’) sull’autoreferenzialità e il bisogno di conferme riflesse anziché fornite/ricevute.

Con questa premessa viene allora da osservare quali le conseguenze nel mondo del lavoro e delle relazioni, humus fondamentale della qualità della produzione lavorativa.

L’isolamento effettivo nel proprio orizzonte di significato, ostacolo della comunicazione, può provocare una progressiva accentuazione della tensione e della frustrazione nel team; più facile oggi a sfociare nel conflitto.

Più facile oggi, in piena pandemia: l’OMS infatti ha potuto constatare un fenomeno che ha denominato “Pandemic Fatigue”: una vera e propria sindrome comportamentale a seguito dell’emergenza che stiamo vivendo e che si manifesta in fenomeni di forte stress emotivo, stanchezza, paura. Fenomeni che, se anche non debbono essere considerati come una malattia, tuttavia possono essere alla base di comportamenti disfunzionali delle persone, come ad esempio la ridotta adozione di comportamenti protettivi e del rispetto delle regole, vissute oggi da molti come inefficaci e troppo restrittive e quindi anche matrice di comportamenti aggressivi (https://aifos.org/inst/aifos/public/data/general/sfogliabili/Quaderni-sicurezza/2021/Q2/index.html#38).

Tutto questo trova nell’ambiente di lavoro la massima espressione, per questo, oggi, l’attenzione deve essere rivolta al singolo quanto al team, al manager quanto al management. Ogni parte dell’ingranaggio è importante che ricostruisca una connessione, quanto più reale, ed è possibile farlo anche nelle condizioni lavorative e tecnologiche attuali.

 

Riferimenti

  • www.stateofmind.com, “Perchè durante le video call guardiamo più noi stessi che gli altri’
  • www.aifos.org
  • Nicholas Carr, “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello.” Cortina Raffaello editore
  • Jean Bergeret “La personalità Normale e Patologica” Raffaello cortina Editore.
  • Carl Gustav Jung, “L’uomo e i suoi simboli”, Longanesi

 

Articolo a cura di Agnese Scappini

Profilo Autore

Psicologa del lavoro e dei contesti, Dottoressa in Filosofia ed Etica delle relazioni umane. Specializzanda in psicoterapia psicoanalitica. Scrittrice.
Per contattarmi agnesescappini@libero.it o www.agnesescappini.it

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