Intervista a Fratel Marco Rizzonato, Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, Religioso della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino

Questa rubrica si chiama “Voci dell’Innovazione”. Per lei l’innovazione che voce ha? Che lingua parla? E qual è il suo interlocutore privilegiato?

Credo che l’innovazione nasca spesso dalla presenza di un bisogno inascoltato nella società. Quando noi ci troviamo ad affrontare una realtà che necessita di un cambiamento scatta un meccanismo “problem solving” che spesso coincide con un’azione innovativa, che vede come scintilla iniziale la creatività. La mia azione d’innovazione è rivolta in aiuto alle persone in difficoltà, alle quali “parlo” con l’unica lingua che dovrebbe essere universale l’“amore per il prossimo”.

Lo scorso 2 febbraio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella le ha consegnato l’onorificenza al merito della Repubblica per “lo spirito di solidarietà e di umanità dimostrato nelle sue molteplici e innovative iniziative a favore di detenuti, poveri e disabili”. Che significato ha avuto per lei tale riconoscimento?

Esser stato scelto per questa speciale Onorificenza, è stato per me un grande dono, dopo anni di difficoltà ed incomprensioni, giunto in un momento intenso nel mio operato umanitario quotidiano; un riconoscimento così importante da parte del Presidente della Repubblica genera dentro una grande forza che diventa stimolo e propulsore per andare avanti. Mi ha generato un sentimento ancora più profondo di paternità verso la società e di grande responsabilità nel mio operato, esempio di vita.

Nel corso della sua vita lei si è dedicato ai disabili e ai poveri sviluppando una serie di progetti che in molti hanno definito “innovativi”. Ci può fare qualche esempio?

Nel 2003 ho scelto di fondare l’Associazione Outsider Onlus nata a seguito di un lungo lavoro realizzato con le persone disabili a livello intellettivo in ambito teatrale: proprio il teatro si è rivelato un potente strumento d’inclusione per le persone con disabilità seguite e supportate dal Cottolengo. In questi anni ho cercato di portare questa speciale ed innovativa compagnia teatrale sui palcoscenici dei teatri italiani, partecipando anche ad eventi espositivi artistici dalla grande eco mediatica ed importanza come Paratissima e The Others. Il nostro obiettivo è “uscire dai confini” che spesso il concetto di disabilità crea, per arrivare alla gente comune e mostrare che anche le persone disabili possono aver talento, e per tale motivo bisogna sostenerle nella scoperta della più giusta dimensione artistica che li aiuti ad esprimersi liberamente e creativamente. Inoltre, come Cottolengo sono nati progetti innovativi di aiuto ai più poveri, alle famiglia (con i pacchi settimanali personalizzati) alla creazione di un ambulatorio infermieristico solidale per chi è in difficoltà. I nostri progetti nascono dai bisogni quotidiani che bussano ogni giorno alla porta del Cottolengo.

Lei si è impegnato anche molto in favore dei detenuti, trasformandoli in volontari del Cottolengo. Ci può raccontare meglio questa esperienza?

Nel 2000 mi chiamarono dal Carcere di Torino per parlarmi di un progetto intitolato “Un Ponte Verso”, ideato da quattro detenuti provenienti dalla criminalità organizzata i quali volevano intraprendere un percorso di riparazione sociale a fronte di quanto compiuto (uno dei quattro aveva 70 omicidi sulla coscienza). Quando entrai per la prima volta nel carcere per incontrarli e capire meglio il progetto, non avrei mai immaginato quello che si sarebbe poi sviluppato in seguito. I 4 autori del progetto mi chiesero di poter venire al Cottolengo per fare del volontariato, risposi che prima bisognava uscire di galera per fare ciò. Iniziai a meditare su come potevo rispondere a questo loro bisogno in modo innovativo. E quell’estate mi arrivo l’ispirazione e compresi che se non potevano uscire loro di galera, gli avrei portato io le persone con disabilità seguite al Cottolengo. L’idea ai detenuti piacque molto, meno però alla direzione del carcere, che mi chiamò per un confronto. Il vice direttore di quel tempo mi disse che ad ostacolare il progetto erano i funzionari, in quanto non era pensabile far entrare in carcere come volontari dei disabili. Un esempio questo di come le novità e l’innovazione, spesso non vengono accettate con facilità. Alla fine in sinergia solidale, trovammo l’escamotage di far realizzare ai carcerati un Corso di LIS e Braille. Da lì iniziò questa lunga avventura che dura da 16 anni.

In campo artistico e musicale lei ha sviluppato una serie di progetti che l’hanno portata a partecipare, assieme ai suoi “ragazzi”, a manifestazioni artistiche del calibro della Paratissima (ndr. Fiera torinese dedicata alla giovane arte contemporanea). Un successo tale per cui anche l’Unesco vi ha sostenuti. Cosa rappresenta l’arte nel suo percorso progettuale e quali ricadute secondo lei può avere sulla collettività?

Da sempre amante del teatro e dell’arte. Come dicevo prima, in tutti questi anni ho cercato di trovare il modo per far emergere e soprattutto conoscere alla società il grande talento che le persone con disabilità hanno. Nel 1995 una sorella del Cottolengo mi chiese se volessi far fare un percorso di danza terapia ai non udenti che seguivo in Cottolengo. Accettai questa sfida con la determinazione e il coraggio che mi contraddistinguono. Dopo soli pochi mesi, arrivarono dei risultati inimmaginabili: le persone non udenti coinvolte, per la prima volta, dopo anni di Istituto, le vidi danzare e recitare. Da lì, pensai di creare una compagnia teatrale e successivamente il collettivo d’arte partecipata. Da qualche anno, sto collaborando anche con un gruppo artistico speciale entrato in Outsider: i Drum Theatre un gruppo di disabili e di giovani che fanno musica insieme. Un progetto inusuale, ideato da Sergio Cherubini che vede l’utilizzo di strumenti riciclati (bidoni, pentole, coperchi) con i quali si crea un ritmo unico. Insomma, ogni giorno me ne invento una, chi mi sta accanto è sempre preoccupato quando arrivo e dico: ho pensato… .

Nell’esortazione apostolica di Papa Francesco“Evangelii Gaudium” lessi: “i giovani ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non rimaniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale”. Questa esortazione mi colpì molto. Lei cosa ne pensa?

I giovani per me sono una sfida, non facile, devo saperli ascoltare, comprendere ed aiutarli in un percorso che li porta a vivere il concetto di “dono per gli altri”. Mi chiedono provocazioni che li stimolino a dare un valore alla loro vita. I giovani hanno bisogno di modelli che credono in quello che fanno, che non si lamentano ogni giorno, ma sono entusiasti della vita. Noi adulti siamo una continua lamentela e un giovane in crescita ha bisogno di positività. Perciò dobbiamo essere innovativi con loro, sognare con loro, rischiare con loro.

Sempre per restare in tema di giovani, qualche settimana fa vescovi e amministratori locali si sono riuniti a Napoli per discutere di un nuovo modello di lavoro che metta a diposizione proprio dei giovani monumenti, beni culturali e ambientali appartenenti alle chiese, affinché li gestiscano. Pensa che questo progetto possa essere utile per creare nuova occupazione? E su questo aspetto, c’è qualche esperienza che ha messo in campo e che vuole condividere?

Questa di Napoli è una bella iniziativa perché porta un grande atto di fiducia nei confronti dei giovani. Situazione che vivo ogni giorno con l’esperienza del servizio civile di cui mi occupo da diversi anni. Bisogna seminare nel cuore dei giovani fiducia, speranza e amore in quello che fanno ogni giorno. Per questo, scelgo di dare per prima cosa ai ragazzi responsabilità, dando loro obiettivi da raggiungere. Se nascono delle difficoltà li aiuto nel cercar la soluzione, senza sostituirmi a loro, ma aiutandoli nel prendersi in carico il difficile compito.

Venendo al tema della responsabilità civica, a noi molto caro, in che direzione secondo lei si deve muovere la nostra società per tendere al bene comune?

E’ un tema difatti non semplice, la responsabilità civica è prendere coscienza che si è parte di una società, in modo attivo e non passivo. Quindi, capire che ogni singolo atto che si sceglie di compiere ha delle ripercussioni negative o positive in aiuto al bene e alla crescita della società stessa. Bisogna lavorare prendendo coscienza di esser responsabili verso tutti, di ogni spazio e persona che è parte della società. Dico sempre che dal momento in cui veniamo iscritti all’anagrafe diventiamo automaticamente membri attivi di questa società. Per questo già da piccoli, bisogna iniziare a lavorare sul valore civico e sulla responsabilità verso la società a cui si appartiene.

Secondo lei quali tipi di competenze e sensibilità potrebbero mettere a disposizione i manager per lo sviluppo delle attività che sta sviluppando?

Credo che ogni manager possa scoprire come aiutarci, automaticamente nel momento stesso in cui si confronta con la nostra realtà, restando coinvolto nelle nostre attività come quella divertente dell’arte partecipata. Non sono le parole a coinvolgere e stimolare l’attenzione e la partecipazione di un manager nel sostenere il nostro operato; ma entrare nel vivo del nostro percorso formativo e delle nostre attività. E’ solo calandosi dentro la nostra realtà, provandola sulla sua pelle, può capire cosa potrebbe fare con gli strumenti che possiede. Ad esempio, un architetto, incontrando i nostri disabili e bisognosi, potrebbe essere spinto a voler far e dar di più, attivando un laboratorio di design dentro ad un laboratorio partecipato con le persone disabili. E’ solo impattando con le persone disabili che si è stimolati nella creatività.

 

A cura di: Marcella Mallen, Presidente Prioritalia

Profilo Autore

Marcella Mallen, nata a Genova, sposata e madre di due figli, laureata in giurisprudenza, vive a Roma dove ha lavorato come manager HR in aziende a cavallo tra profit e no profit impegnate nella creazione e sviluppo d’impresa e del territorio. È stata Presidente del Centro Formazione Management del Terziario, attualmente è Presidente di Prioritalia.
Collabora con università pubbliche e private, in master ad alta specializzazione manageriale, in qualità di docente e componente di comitati tecnico – scientifici, è membro della Commissione ADI INDEX per il Design Sociale. Ha scritto articoli e pubblicazioni su tematiche di interesse manageriale ed è coautrice di “Effetto D. la leadership è al femminile: storie speciali di donne normali”.

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