Il tempo del manager – per una filosofia dell’organizzazione

“La gente comune pensa soltanto a passare il tempo; chi ha ingegno a renderlo utile”
Schopenhauer

Se chiediamo a qualcuno come trascorre la sua vita di tutti i giorni potremmo avere diverse risposte. Alcune comuni, come: mi alzo presto la mattina, faccio colazione, poi prendo il bus o la macchina e vado a lavorare, alla sera torno a casa. Oppure: non ho nulla da fare, sono disoccupato. Chi è già in pensione potrà rammaricarsi dicendo: non faccio altro che ricordare quando andavo a lavorare. E gli esempi potrebbero essere ancora tanti. Eppure quel frammento di vita che si consuma giorno per giorno con allarmante frequenza lo viviamo, appunto giorno per giorno, senza attribuire una riflessione al tempo che scorre e che lasciamo alle nostre spalle. Ogni giorno della nostra vita è costituito da 24 ore, 1440 minuti, 86400 secondi. “Come passa il tempo” è una riflessione che ci coglie all’improvviso, ci fa percepire che qualcosa è cambiato e ci proietta in una dimensione che rimane appesa a un’entità astratta, alla sconcertante considerazione che non sappiamo cosa realmente sia successo, consapevoli che non siamo più nella posizione di partenza, quando cioè avevamo consapevolezza di dove eravamo e di cosa stavamo facendo. Da quando avete iniziato a leggere queste righe sono passati dei secondi, pochi, ma comunque una scheggia di “tempo” è trascorsa.

“Dopo l’istante originario della creazione, sono bastati alcuni miliardesimi di secondo affinché l’universo entrasse in una fase straordinaria che i fisici chiamano l’era inflazionarla. Durante questa epoca incredibilmente breve, che si estende da 10-35 a 10-32 secondi, l’universo si espande di un fattore 1050. La sua lunghezza caratteristica passa dalla misura di un nucleo di un atomo a quella di una mela di dieci centimetri di diametro.” Jean Guitton, “Dio e la scienza”

Si deve ammettere, dunque, che “qualcosa” anche in un arco di tempo che non si può immaginare se non ricorrendo a una formula matematica, è cambiato. Il tempo è in stretta relazione con ogni fenomeno legato allo sviluppo ed al cambiamento e rappresenta, in questo senso, una dimensione fondamentale, sostanzialmente dinamica, di ogni nostro evento comportamentale e l’esperienza temporale viene originata, a livello psicologico, dalla consapevolezza del trascorre del tempo (ad esempio dall’alba al tramonto). Non esiste persona che potrebbe parlare di sé, della propria vita, dei propri ricordi, delle speranze, di ciò che lo circonda senza poter fare riferimento ad una data, al passato, al presente o al futuro. In questa prospettiva il tempo come “misura del movimento”, secondo la definizione di Aristotele: “il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi”, si affianca alla consapevolezza del suo versante soggettivo, quello che coincide nella coscienza umana con il pulsare della vita e con i suoi ritmi variabili. Con Kant (1724–1804) la riflessione sul tempo si converte nell’interrogativo in che modo il tempo venga percepito dalla mente umana. E la sua conclusione consiste nel fatto che il tempo non è un dato dall’esperienza che proviene dalla realtà in cui siamo immersi, ma che il tempo che noi percepiamo è, propriamente, una modalità mentale congenita, “a priori”, con la quale organizziamo in sequenza gli accadimenti dell’esperienza:

“Il tempo è una rappresentazione necessaria che sta a base di tutte le intuizioni. Non si può, rispetto ai fenomeni in generale, sopprimere il tempo, quantunque sia del tutto possibile toglier via dal tempo tutti i fenomeni. Il tempo dunque è dato a priori.” Kant, Critica della ragion pura

In altri termini: il tempo non è qualcosa di imparziale che si impone nella percezione, ma una costruzione della mente, una modalità con cui ognuno organizza i dati d’esperienza forniti dagli eventi, dai movimenti. Possiamo tentare di rendere più comprensibile la tesi kantiana con un esempio. Scriviamo digitando i tasti della tastiera del computer la parola “Management” e la vediamo apparire sullo schermo del monitor. Quella scritta sul monitor, corrispondente a quello che abbiamo pensato, corrisponde alla realtà presente nella nostra mente, così come noi la percepiamo ed alla quale attribuiamo un significato particolare, generalmente condiviso e che esiste “fuori” da noi. Per il computer i tasti digitati rappresentano una serie di impulsi elettrici scanditi secondo determinate sequenze che il wordprocessor, al suo interno, riceve e traduce in altri impulsi elettrici che, inviati al monitor, accendono i pixel dello schermo così che la sequenza venga riconvertita, per noi, nella frase che abbiamo pensata. Qual è la realtà? La parola “Management” oppure la sequenza degli impulsi avviati tramite la tastiera, rappresentano entrambi lo stesso significato ma assumono aspetti diversi a seconda del codice di decifrazione: il software costituito dal nostro cervello o il wordprocessor del computer. Il tempo, dunque, è per Kant una sorta di “programma mentale” con cui noi organizziamo gli eventi in sequenze temporali. Questo programma è preciso per tutte le menti, ed è questo che dà alla nozione del tempo la sua universalità, ossia la condivisione da parte di tutti noi, anche se esso resta una modalità puramente mentale di rappresentazione del reale. Dopo Kant, la consapevolezza che la coscienza del tempo è tutt’uno con il tempo stesso e con l’interiorità del soggetto diventa un dato acquisito ed è su questa base che le riflessioni sul tempo ruotano prevalentemente intorno alla valutazione psicologica ed esistenziale e possono essere ricercate in molti autori, da Schopenhauer a Kierkegaard, a Bergson, Husserl, Heidegger, Hartmann, Merleau–Ponty, Sartre,Bachelard, Ricoeur fino a giungere ai nostri giorni. Tra questi filosofi giova ricordare il pensiero di Heidegger: “fra le tre determinazioni del tempo, passato, presente e futuro, quella originaria e fondamentale è il futuro” (Sein und Zeit-Essere e Tempo). Una riflessione che connota profondamente il profilo di chi è responsabile del passato, del presente e del futuro di quel “management” che costituisce una categoria a priori, realisticamente fuori e contemporaneamente presente in ogni manager. Se l’organizzazione aziendale è intesa come possibilità, partecipazione, programmazione, progettazione, anticipazione, essa deve essere necessariamente orientata e proiettata verso il futuro. Per guardare avanti il manager deve fare riferimento a quanto realizzato nel passato vivendo nel presente come ponte di congiunzione tra passato e futuro nella prospettiva che “ieri” è la sede del determinato e il “domani” il luogo dei progetti, delle speranze, della possibilità, delle sfide.

I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima e non li vedo altrove. Il presente del passato è la memoria; il presente del presente è la percezione immediata; il presente del futuro è l’attesa. Sant’Agostino, Le confessioni

L’attesa per il manager è la sfida

Nel passato troviamo ciò che è già accaduto in relazione ad una nostra scelta e che non è più possibile modificare, nel futuro esiste l’ignoto ancora modificabile e che richiede sempre una nostra scelta. Il passato deve diventare, per il manager, un loquace mentore e il futuro uno stimolo profondo per trasformarlo in presente. Un tutto è ciò che è ha avuto un inizio, una metà e una fine (Aristotele): per Aristotele il tempo, nel suo essere passato o futuro, ordina le azioni umane e circoscrive il presente come l’ultimo orizzonte delimita lo spazio percepibile in modo che il futuro possa indicare le potenzialità nascoste nel presente, mentre il passato è la memoria comunemente condivisa di ciò che è già stato svelato, l’intelligenza della realtà già compiuta. Il manager fatalista che trova le cause dell’insuccesso nell’avversità degli eventi è quello che ritiene che gli eventi sono da sempre rigorosamente prestabiliti dal destino avverso che ha già scritto il futuro. Il manager protagonista ha ben chiaro che ciò che sopraggiungerà domani sarà certamente determinato dalle sue scelte, ma che accadrà solo se le avrà realizzate se non interverranno eventi contingenti. È il manager che non si limita a “prevedere” il futuro ma decide di partecipare attivamente alla sua stesura. Se la missione del manager è azione, in questa prospettiva il presente è la condizione irrinunciabile di partenza. Uno dei mandati che il management deve assolvere è quello di realizzare delle scelte, ognuna delle quali, una volta che viene realizzata, restringe la sequenza del futuro possibile così che più il percorso temporale si articola e si svolge, nello stesso modo le decisioni si moltiplicano, e il manager scrive la cultura aziendale traducendola da virtuale in reale, dalla mission alla vision.

Il tempo del manager è quello che trasforma il suo trascorrere in profitto

Il bilancio di ogni azienda rappresenta generalmente lo strumento di misura per valutarne l’efficacia: grazie alla contabilità analitica è infatti possibile conoscere i costi e i ricavi o i profitti di ogni area operativa. In questa prospettiva il fattore tempo è un elemento che sottende a tutte le voci del bilancio per il suo aspetto omogeneizzante e strategico che potrebbe trovare come voci di riferimento la qualità, la puntualità, la rapi-dità, la durata. In altri termini l’efficacia (fare per raggiungere l’obiettivo) coniugata all’efficienza (come fare le cose) e viceversa.

“Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l’unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire. Seneca

Seneca ci invita a riappropriarci del nostro tempo. Riflettiamo su tutte le occasioni in cui il tempo ci viene portato via con la forza quando, ad esempio, ci piomba qualcuno ufficio e siamo costretti a interrompere ciò che stavamo facendo, oppure ci viene sottratto subdolamente quando un collega ci fa sentire in colpa se non lo aiutiamo a portare a termine un compito che potrebbe fare benissimo da solo. Altro tempo semplicemente ci scivola dalle mani: sono i cosiddetti “tempi morti” della vita. Domandiamoci quanto è il tempo dedicato alle riunioni ed agli incontri, quanto tempo attendiamo per parlare con qualcuno, quanto tempo impiega un’informazione ad arrivare a tutti gli interessati, quanto tempo è passato da una disposizione al momento della sua realizzazione, quanto tempo si parla in colloqui non necessari, quante telefonate inutili vengono fatte, quante le deleghe insufficienti, quante pause caffè vengono effettuate e di che durata? Occorre sapere dire di no e non dare disponibilità ad attività che occupano più tempo di quello che si ha a disposizione.

«Nulla è più inutile, per un uomo saggio, nulla dovrebbe infastidirlo maggiormente del dedicare ad inezie e a questioni inutili più tempo di quanto ne meritino». Platone

Il tempo male utilizzato (come ogni altra risorsa) è sempre il risultato di cattiva programmazione, di attività inutili accettate senza riflettere, di compiti assegnati da altri e accettati per sudditanza, per generosità, per piaggeria, per compiacimento, per fare bella figura, per mille motivi, meno che per il precipuo interesse. Il tempo “prestato” è sempre tempo “perso”.

Quanto tempo risparmia chi non sta a guardare quello che dice o fa o pensa il suo vicino. Marco Aurelio

Management e tempo

Consapevoli della difficoltà di controllare il flusso del tempo gli uomini hanno escogitato diverse modalità di “controllo” per misurarlo. Potrebbe apparire impossibile misurare ciò che già di per sé è di difficile definizione, ma è possibile determinare i periodi dei cambiamenti che ci riguardano personalmente e che si riferiscono al nostro lavoro. Tuttavia occorre riflettere che i cambiamenti che riguardano l’organizzazione sono molteplici e diversi fra loro, richiedono criteri diversificati di misurazione. Determinare questi criteri non significa operare programmazioni puramente teoriche, ma valutare con certezza quando si presenti il momento opportuno per realizzare precisi obiettivi in sincronia con altri.

La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare. Schopenauer

L’organizzazione e la programmazione sono fogli della stessa “agenda”; leggerli in ordine costituisce il management, sfogliarli a caso è improvvisare. Organizzare significa generalmente: «coordinare e integrare reciprocamente i vari elementi di un sistema in modo da raggiungere un fine». Molte aziende ottengono il successo grazie alla creatività, alla capacità e all’intuito del proprio management, che possiede completa consapevolezza degli obiettivi della impresa per cui lavora, conosce il mercato in cui opera e prende ogni giorno decisioni importanti per continuare a generare profitti. Completa il profilo di un abile management il saper controllare e contenere i costi e, al contempo, migliorare la gestione aziendale, estendendo l’efficienza e la flessibilità necessari ad attuare qualunque nuova strategia si renda necessaria per affrontare e gestire il cambiamento. Si tratta, in sintesi, di saper definire il modello organizzativo dell’impresa, acquisendo piena cognizione dei diversi processi aziendali, del loro funzionamento e delle loro criticità, di conoscere e governare i suoi processi. Una efficiente ed efficace organizzazione aziendale si deve basare non solo su una struttura aziendale scattante, flessibile e capace, ma deve anche consentire di prendere le proprie decisioni stabilendo e mantenendo costantemente un clima aziendale di reciproco rispetto e solidarietà.

La giusta scelta del momento è, in tutte le cose, il fattore più importante. Esiodo

Gli “antichi” greci connotavano il tempo attraverso tre diversi termini: χρόνος (chronos) è la successione di istanti, il tempo nella sua sequenza cronologica e quantitativa. Con αἰών (aiòn) si allude invece alla vita come durata, nelle intermittenze e anacronie, le discrepanze tra l’ordine degli eventi nel racconto e la loro successione nella storia, dell’esistenza personale. Infine kairòs (καιρός) indica l’occasione, il momento propizio da cogliere nella sua veloce istantaneità per realizzare ciò che era apparso irrealizzabile e in cui compare ad opera dello spirito umano la nuova idea che prima mancava sulla mappa del business. Il kairòs come possibilità aperta al futuro che rompe con la routine organizzativa e la sua prevedibilità per dare vita ad una inedita prospettiva innovativa e di rottura attraverso l’immaginazione che rifiuta ciò che si può solo constatare, è il tempo del manager.

L’immaginazione è più importante della conoscenza”. Albert Einstein

L’agitato mare della vitalità competitiva delle imprese richiede ad ogni manager di saper distillare la propria efficienza attraverso una costante innovazione imprenditoriale, adattabilità e flessibilità e soprattutto immaginazione, ideando e sviluppando risposte efficaci e creative in ogni aspetto della sua vita professionale. Alcuni manager, che abbiamo chiamato “fatalisti” ritengono che gli insuccessi siano da attribuire a fattori esterni, all’andamento del mercato, a decisioni sbagliate prese dall’alto e, comunque, realizzate passivamente così come assegnate all’economia. Altri manager sono consapevoli che è la propria gestione ad organizzare e fabbricare il futuro dell’azienda per cui lavorano e che le eventuali difficoltà sono il prodotto delle proprie strategie e scelte. Sono i manager “protagonisti”, che sanno proiettare la visione del futuro attraverso un dinamico utilizzo delle proprie abilità personali, assumono un atteggiamento vincente, apprezzano e sfidando ogni cambiamento, possiedono il senso dell’ottimismo sulle proprie possibilità di influire sul futuro, esercitano il proprio senso critico, aprendo e mantenendo sempre aperto un canale d’ascolto sui sentimenti che scorrono nell’organizzazione: timori, speranze, punti di forza e di debolezza, aspettative, convinzioni, certezze e insicurezze, per creare un clima produttivo.

È facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza. Esopo

Il manager “coraggioso” sa fornire all’organizzazione tutto ciò che occorre per sostenere la vitalità dell’impresa, per produrre, vendere ed assistere la clientela.

Tempo e impegno strategico

Il manager può trovarsi a dover gestire, in un contesto tipico della sicurezza e della prevedibilità, compiti definiti per mezzo di strategie predefinite e controllati tramite la rispondenza tra risultato previsto ed effettivamente realizzato. Oppure può decidere di assumere una autonomia, più o meno, ampia e spazio discrezionale. Dove gli obiettivi non sono necessariamente ancorati a regole preesistenti, ma ci si attende un certo risultato, è la situazione che pone la premessa per il lavoro creativo. La mente in condizioni consolidate seleziona solo le alternative esistenti, mentre in condizioni creative, prima di selezionare le alternative riconsidera il campo globale delle condizioni esistenti. L’orientamento a cercare e trovare metodi di lavoro più rapidi e meno costosi è facilitato dall’avere coraggio nelle proprie convinzioni senza il timore del giudizio degli altri, dall’essere curiosi, anticonformisti ed intuitivi, aperti al rischio ed al cambiamento, sicuri di sé e con un buon livello di autostima, e soprattutto dotati di iniziative personale. In sintesi: non aver paura del futuro.

Un punto molto importante per la saggezza nella vita è la proporzione con cui dobbiamo dividere la nostra attenzione tra il presente e l’avvenire affinché l’uno non porti nocumento all’altro. Ci sono molte persone che vivono troppo nel presente: le frivole; altre troppo nell’avvenire: le timorose e le inquiete. Arthur Schopenhauer

Il manager fatalista “prende tempo” perché ha timore di sbagliare, di essere giudicato eccentrico, prova apprensione per il nuovo, è ancorato a modelli di pensiero convalidati per conformarsi al sentire comune, pone sostanziale fiducia in ciò che comunemente è ritenuto ragionevole, si fida solo di ciò che è evidente, ha difficoltà a riconoscere le interdipendenze insolite fra idee ed oggetti e, soprattutto, si lascia condizionare dalla convinzione che per non sbagliare è meglio non cambiare, e se non è possibile allora decide di rimandare. In sintesi: ha paura del futuro. Il tempo trascorre misurato da tutti gli orologi nello stesso tempo, ma il tempo del manager riguarda soltanto lui stesso è non potrà essere nulla di più né nulla di meno della sua dimensione essenziale. Il manager nel misurare il tempo misura sé stesso e deve agire in modo che non sia il tempo a misurarlo.

Nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo. Stephen Hawking

Tempo, etica e management

Il tempo ha valore se può essere riempito di significato. Questo valore può essere trovato dentro di noi o fuori di noi, cioè può esserci trasmesso da altre persone o possiamo trasmetterlo È il valore che assegna significato al management.

Il manovale che aiuta a fabbricare un edificio, non ne conosce il progetto, o non l’ha sempre sotto gli occhi; tale è pure la posizione dell’uomo mentre è occupato a dividere uno per uno i giorni e le ore della sua esistenza in rapporto all’insieme della sua vita ed al carattere fondamentale di essa. Quanto più questo carattere sarà nobile, considerevole, espressivo e individuale, tanto più sarà necessario e benefico per l’individuo il gettare di tempo in tempo uno sguardo sul piano prestabilito della propria vita. Arthur Schopenhauer

Questo “gettare lo sguardo” rivela un altro aspetto del tempo del manager, quello di considerare come all’interno del management scorrano delle “vite”. Potremo dire che esiste un’etica del tempo. L’Etica esprime l’insieme di norme di condotta, sia pubblica che privata, seguite da una persona o da un gruppo di persone attraverso la ricerca di ciò che è bene per l’uomo, di ciò che è bene fare o non fare: una parola usata in moltissimi contesti, e indica una riflessione su regole e norme da seguire nella vita pratica. Il raggio d’azione dell’etica, quindi, pur rinviando a un universo astratto, in quanto costituito da dottrine e valori, non può essere solo teoria: riguarda il quotidiano e si traduce in norme di comportamento. Usando le parole del filosofo Immanuel Kant, si può definire “etico” il comportamento di colui che opera «in modo di trattare l’umanità, così nella sua persona come in quella di ogni altro, sempre insieme come un fine, mai semplicemente come un mezzo per raggiungere un fine». Il tempo del manager scorre come il tempo delle risorse che devono realizzare il fine che rappresenta il futuro di entrambi. Quando la riflessione sull’etica si sposta dall’agire individuale a un più ampio ambito organizzativo e di business, il concetto di responsabilità e consapevolezza individuale si lega inevitabilmente a quello di “Responsabilità Sociale d’Impresa”. In questa prospettiva il tempo deve tenere conto dei diritti, dei doveri e delle responsabilità dell’impresa nei confronti di tutti i suoi stakeholders in quanto contiene disposizioni e norme di comportamento, mediante le quali si dà attuazione ai principi, che arricchiscono i processi decisionali aziendali e orientano i comportamenti. Il tempo del management traduce in principi e norme operative i criteri etici adottati nel bilanciamento di aspettative ed utilità di tutti coloro che hanno un interesse nelle attività dell’organizzazione e che influenzano o sono influenzati dalle decisioni aziendali.

La percezione del tempo per il manager si pone a diversi livelli:

  • ORGANIZZATIVO

La vecchia teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro consisteva nel concepire il pensiero organizzativo solo attraverso strutture e procedure; si scopre ora che lo spirito umano è il migliore strumento di integrazione che permette di affrontare la complessità. Michel Crozier

È l’organizzazione che assegna un concetto oggettivo del procedere dell’impresa su base annuale, mensile, giornaliera. Possiamo avere misurazioni quotidiane del tempo molto diverse a seconda di quanto pianificato o programmato, ma non si può in alcun modo calcolare il tempo in maniera indipendente dal sistema impresa.

Il tempo è breve; chi insegue l’immenso perde l’attimo presente. Euripide

Organizzare significa propriamente coordinare e integrare reciprocamente i vari elementi di un sistema, in modo da raggiungere un fine, attraverso la divisione del lavoro e delle funzioni. Nell’ambito dell’organizzazione si creano i processi di relazione che governano i rapporti sociali finalizzati a rendere partecipi le risorse alle attività dell’impresa, sulla base di relazioni gerarchiche e funzionali che attuano il processo decisionale, vitale per il funzionamento dell’organizzazione. Questi processi si possono realizzare se si realizzano “effettive” sinergie: maggiori sinergie si creano, maggiore risulta la capacità dell’impresa di poter perseguire il percorso che conduce all’eccellenza. In questa prospettiva la prerogativa di innovare e sviluppare la produttività sinergicamente alla qualità, di ridurre i costi e i tempi, nell’ottica di un netto incremento di efficacia e nel recupero di efficienza, dipende dalla capacità dei manager di adottare un modello organizzativo flessibile, organico e snello, in grado di adeguarsi elasticamente alle esigenze espresse dinamicamente dal contesto nel quale l’impresa vive ed opera, nonché la valorizzazione, lo sviluppo, l’interazione tra le risorse umane e strumentali e le varie unità organizzative presenti all’interno della struttura.

  • FISICO

Una giornata di lavoro mentale, per quanto affaticante, non stanca realmente: si può avvertire la sensazione di essere stanchi, ma in realtà si possiede ancora sufficiente energia per svolgere altro lavoro. In altre parole, la “pila” non è ancora del tutto scarica. Il sentirsi stanchi e l’essere realmente stanchi sono due fatti sostanzialmente diversi, tanto che la stanchezza non può essere valutata correttamente solo sulla base di una sensazione. La stanchezza reale corrisponde ad una reale diminuzione della capacità lavorativa. Il corpo è una macchina la cui perfetta funzionalità è gestita dal cervello, se le informazioni che devono essere gestite per far funzionare bene la macchina, arrivano disordinatamente, si accavallano e si incrociano, il risultato sarà una certa forma di impotenza che viene percepita come stanchezza: «non ce la faccio più ad andare avanti!».

Si ama di più quel che s’è acquistato con più fatica. Aristotele

Occorre saper programmare, pianificare, gestire con accortezza il tempo:

  • imparare a rilassarsi mentalmente cancellando le sensazioni sgradevoli che possono turbare con il soffermare il pensiero su ciò che di gradevole può essere successo.

Per raggiungere la serenità interiore, è bene non trascurare quel che c’è di favorevole e di buono negli avvenimenti che ci capitano contro la nostra buona volontà, oscurando e bilanciando il peggio con il meglio. Plutarco

  • Per iniziare con il giusto vigore una giornata lavorativa occorre essere ben riposati.

Il riposo è il condimento che rende dolce il lavoro. Plutarco

  • Programmare attentamente e sapientemente la giornata lavorativa: un eccesso di lavoro è come un eccesso di cibo.

    Tuttavia, nel caso, bisogna anche evitare, specialmente nell’età giovane, lo scoglio della presunzione e non attribuirsi un eccesso di forze che non si abbia. Schopenhauer

  • Fare economia delle energie come se fosse il denaro: non sperperare.

    Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere. Tommaso Moro

  • Fare tutto ciò che è possibile per sviluppare il talento e il potenziale intellettuale.

    L’intelligenza è invisibile per l’uomo che non ne possiede. Schopenhauer

  • Vivere la giornata sapendo di vivere.

    La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli. Friedrich Nietzsche

  • Quando si decide di finire con il lavoro è l’ora di finire veramente.

    Ogni piacere ha il suo momento culminante quando sta per finire. Seneca

  • PSICOLOGICO

Lo stress è una esperienza comune a molte persone, poche ne sono escluse, altre ne sono maggiormente esposte, soprattutto le categorie in cui il carico psicologico dell’attività professionale appare maggiormente rilevante rispetto alle altre.    La professione del manager può essere sicuramente inclusa tra queste ultime, soprattutto per le molteplici sfaccettature del ruolo che deve presidiare eventi umani ed eventi di business, tra loro correlati e interdipendenti con modalità strategiche. La presenza ed il verificarsi di eventi positivi e negativi al contempo richiedono una buona capacità di adattamento.

Sarà quel che dev’essere; ma ciò che è una necessità per chi si ribella, è poco più che una scelta per chi vi si adatta di buon grado. Seneca

I manager sono responsabili del cambiamento, attraverso decisioni che possono indebolire o rafforzare l’organizzazione. Un manager non è mai messo a capo di un’organizzazione statica: qui è sufficiente far rispettare regole e procedure precostituite e rigide. Essere manager vuol dire contribuire alla creazione di nuova ricchezza da cui può dipendere la vita dell’impresa e della comunità che vi lavora. Il manager è bersaglio sia di difficoltà croniche, comuni a molte altre persone, che richiedono continui adattamenti nel corso della vita e sulle quali è difficile intervenire direttamente, sia dei problemi generati dal suo staff (o l’effetto boomerang del proprio stress sullo staff), sia dall’enorme responsabilità che gli è affidata e di cui deve rispondere in prima persona. Il manager è un uomo e non ha due personalità, una relativa alla vita di lavoro ed una alla vita privata: conflitti e frustrazione possono nascere in entrambi gli ambienti ma sono sempre eventi stressanti. La differenza è che per il manager il rischio di stress è sempre più elevato che per altre professioni. I manager che sono in possesso di una sostanziale efficacia direzionale credono fermamente nelle proprie possibilità e capacità di padroneggiare gli eventi, quali siano e come possono presentarsi, sono orientati a valutare le situazioni nuove come delle sfide, piuttosto che come delle minacce e traggono forti motivazioni per affrontarle. Questi manager sanno riconoscere il successo come conseguenza del proprio impegno e delle proprie capacità e sanno valutare gli eventuali esiti negativi come effetto dovuto a cause esterne. In questo senso gli agenti stressanti diventano benefici.

Esiste merito senza successo, ma non esiste successo senza qualche merito. La Rochefocauld

Al contrario i manager che sono in possesso di limitata efficacia e di scarsa autostima, entrano in conflitto con sé stessi quando devono confrontarsi con situazioni difficili, alimentano i dubbi sulle proprie possibilità di riuscita, tendono a preoccuparsi oltremodo dando il via libera all’instaurarsi dell’ansia ed a tensioni emotive negative, ai disturbi somatici. È possibile, invece, evitare di auto-disporsi agli stress, evitando così di disperdere e dissipare quell’energia psicofisica indispensabile a venirci in aiuto quando, nonostante tutto, lo stressor bussa alla nostra porta.

Dietro ogni problema c’è un’opportunità. Galileo Galilei

Prima di tutto per prevenire:

  • Valutare ogni situazione nella sua reale manifestazione: sé è un problema convincersi che questo deve avere necessariamente una soluzione e il problem solving aiuterà a trovare le riposte.

    La pazienza è il rimedio migliore per ogni problema. Plauto

  • Pensare prima di agire ed evitare di lasciarsi coinvolgere emozionalmente nelle decisioni.

    Mentre smettiamo di pensare, spesso perdiamo la nostra opportunità. Publio Sirio

  • Riflettere sul fatto che si possiede ogni possibilità e potenzialità per superare ogni ostacolo e raggiungere ogni obiettivo.

    Il maggior ostacolo del vivere è l’attesa, che dipende dal domani ma spreca l’oggi. Seneca

  • Non complicarsi deliberatamente la vita, parlare con le persone che possono aiutare.

    Non abbiamo tanto bisogno dell’aiuto degli amici, quanto della certezza del loro aiuto”. Epicuro

  • Stare lontani dal perfezionismo, questo è solo un’immagine virtuale. Preferire essere realisti piuttosto che idealisti delusi:

    La perfezione dell’uomo consiste proprio nello scoprire le proprie imperfezioni. Sant’Agostino

PER CONCLUDERE

In un’epoca connotata da un inarrestabile sviluppo tecnologico quale supporto può offrire la Filosofia? È sufficiente affidarsi a quanto possono fornirci i master, i media, gli ebook? Forse dovremmo anche chiederci se è solamente delle informazioni di cui abbiamo necessità per comprendere meglio noi stessi e la realtà in cui siamo immersi tutto il giorno e tutti i giorni. Un manager potrà fare affidamento su soluzioni trovate da altri stili di management senza dover risalire a tutti i processi che hanno condotto al successo, ma quando si ha necessità di filosofare non ci si potrà accontentare delle risposte fornite da altri a meno di non voler adattare queste risposte riflettendo autonomamente. Le teorie organizzative hanno come obiettivo quello di migliorare la conoscenza del management, mentre il filosofare significa dare un aiuto a trasformare ed allargare la visione personale del mondo a chi crede di poter farne ricorso. Non si deve chiedere alla Filosofia di fornire risposte autentiche che risolavano i nostri dubbi, ma di chiarire i motivi per i quali non ci convincono le risposte che abbiamo ricevuto. Si deve scegliere se adottare le conoscenze che non vengono messe in discussione per non vedersi costretti a pensare, oppure sapere dopo aver, da soli, pensato. Sapere significa non fidarsi di quelli che millantano di sapere mentre continuano a perpetrare gli stessi errori che hanno portato al fallimento. Piuttosto che dettare degli assiomi e impegnarsi in critiche distruttive nei confronti di ciò che non si conosce, malgrado si creda di conoscere, il manager deve saper riconoscere l’origine dei suoi dubbi nei confronti dei messaggi e delle informazioni che riceve dall’esterno per prendere consapevolezza della propria ignoranza. Ci si può domandare se in un mondo dove l’evoluzione della tecnica rende attuale ciò che fino ad ieri appariva fantascienza, la Filosofia può offrire qualche aiuto al manager nell’applicare soluzioni immediate e verificate dall’esperienza e dal complesso delle conoscenze e competenze. Si può rispondere che una consapevolezza di tipo filosofico può aiutare a rendere pienamente umana la funzione del management togliendo l’inquietudine del rigido formalismo organizzativo.

So di non sapere. Socrate

  Articolo a cura di Antonello Goi

Profilo Autore

Laureato presso l’Università Statale di Milano in Filosofia, ho acquisito un’esperienza nell’ambito delle Risorse Umane.
In particolare ho assunto la responsabilità, in azienda Leader delle telecomunicazioni, della Selezione del personale, della Formazione, Gestione HR, Relazioni Industriali.
Collaboro per gambelassociati per quanto riguarda la Formazione Manageriale Aziendale e Interaziendale, attraverso attività di consulenza, progettazione ed erogazione di corsi di formazione.

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