Per essere grandi, bisogna prima di tutto saper essere piccoli. L’umiltà è alla base di ogni vera grandezza.
Papa Francesco
La qualità di un manager non si misura sulla scala della disciplina che ha imposto al gruppo ma sulla scala dell’umiltà.
Prima di poter parlare di umiltà iniziamo a parlare di uno dei suoi contrari e a valutarne gli effetti, ovvero la “superbia”. Già nella cultura medioevale la superbia era considerata come la radice di tutti i mali. Nonostante questa consapevolezza possiamo considerarci liberi dagli effetti dannosi che ne potrebbero derivare? Proviamo ad osservare che risultati potrebbe conseguire un manager superbo. Innanzitutto, la superbia è figlia dell’insicurezza e dell’ignoranza che porta le persone a difendersi valicando il confine tra ciò che dovrebbe essere un comportamento rispettoso delle risorse affidategli e quello di un comportamento improntato solo al risultato. Per Sant’Agostino, “la superbia non è grandezza ma gonfiore e chi è gonfio sembra grande ma non è sano”. Questo “gonfiore”, però, che rende tronfie le persone, è una sensazione puramente personale e non trasmette nulla della “grandezza” della persona, anzi.
Cominciamo con il dire che un atteggiamento del genere è uno stile perdente e sempre più costoso. Perdente perché non si è riconosciuti come leader ma più come tiranni, con un carattere deciso ma anche freddo e insensibile. Costoso perché indurrà nelle persone un atteggiamento insicuro e di prudenza, non consentendo all’organizzazione di raggiungere traguardi ben più importanti, con l’estrema conseguenza di perdere il collaboratore.
Troppi manager ripongono un’eccessiva sicurezza in se stessi, portandoli a commettere errori strategici in relazione alla propria immagine ma anche, e soprattutto, nei confronti dei collaboratori.
Nitin Nohria, decano della Harvard Business School, sostiene l’inscindibilità di due concetti fondamentali: un leader di successo deve avere “conoscenza” e deve essere “umile”. “L’umiltà non appartiene all’ignorante“.
I leader si dividono, prevalentemente, in due categorie:
Cosa vuol dire essere un manager umile? Essenzialmente porsi sempre la domanda “sto facendo la cosa giusta?”, ma prima ancora, e forse è questo l’elemento più critico, conoscersi a fondo. Bisogna sempre partire da se stessi, ponendosi la domanda: “siamo noi il problema o sono gli altri?” Un manager umile deve sempre scrutare dentro di sé la possibilità di aver commesso un errore e, solo successivamente, indagare per scoprire la vera origine del problema. Una volta scoperto di essere lui il problema deve poterne parlare con naturalezza, mettendosi “a nudo” davanti al team, mostrando ai collaboratori di riconoscere i propri errori. Solo in questo modo le persone saranno meno restie nel riconoscere, a loro volta, gli errori da loro commessi, permettendo a tutti di collaborare al fine di poterli risolvere. Quale migliore strategia potrebbe essere la sincerità, la trasparenza, la collaborazione e la comunità d’intenti?
Caratteristica fondamentale per un leader non è avere tutte le risposte pronte – perché non le avrà mai, se non la presunzione – ma saper ascoltare gli altri e prendere le decisioni che reputa più opportune. Chi non vuole apparire debole si chiude alla conoscenza ed al successo.
Come ho detto prima il manager deve prima conoscersi, capire i propri limiti, comprendere a fondo il proprio comportamento, le reazioni in diverse situazioni e le relazioni con gli altri. Fondamentale sarà la strategia della condivisione che consente, attraverso una visione d’insieme, di definire la soluzione a qualunque problema. Come pensate possano sentirsi le persone con un manager in grado di ascoltare il loro punto di vista e di prenderlo in considerazione per la formulazione di una strategia o di una valutazione? Certamente maggiormente motivate perché si sentiranno “partecipi” del risultato ottenuto e non dei meri esecutori di ordini impartiti dall’alto; anzi, determineranno in modo autonomo le loro azioni. Quale miglior risultato potrebbe essere auspicato da un manager? Il manager dovrà sempre più acquisire la consapevolezza che il proprio punto di vista potrebbe non essere il migliore e solo attraverso la condivisione e l’ascolto degli altri potrà avere una corretta definizione della realtà.
L’umiltà ci aiuta a scoprire nuove prospettive da cui osservare la realtà, rendendoci liberi rispetto a idee e pregiudizi facendoci ben volere dagli altri; è un ingrediente fondamentale per la motivazione che le persone dovrebbero avere nel voler continuare a collaborare con noi.
Come può un manager valutare il proprio livello di umiltà? Solo attraverso la consapevolezza del suo bisogno di continuare a imparare, specialmente in un mondo in continuo cambiamento, dove le informazioni cambiano in modo vertiginoso. Anche in questo contesto, una massima rende bene la situazione: “chi si ferma è perduto”. Solo il presuntuoso può pensare che non sia più necessario imparare ed errore ancora più grave viene commesso da chi vede con disprezzo il fatto di doversi rimettere dietro un banco di scuola per apprendere nuove tecniche manageriali. Solo l’umile accetta il proprio ruolo di persona in continuo movimento verso la conoscenza.
Altro fattore determinante per il leader umile è riconoscere sempre i meriti dei collaboratori, stimolandone la crescita e l’apprendimento per arricchirli di nuove competenze affinché tutta l’organizzazione ne possa trarre vantaggio. Il successo del manager verrà misurato in base alla sua capacità di motivare le persone e trarre vantaggio dalla loro collaborazione in termini di conoscenze e soluzioni.
Ricordiamoci anche che l’umiltà rende le persone più empatiche: si sentiranno meno in soggezione e saranno più propense a seguire le indicazioni, iniziando così a vedere il manager come una guida.
Mi piace concludere con una frase di Nitin Nohria: “Una leadership che perde l’umiltà fa emergere le sue debolezze e questo la espone a tal punto che prima o dopo farà la fine del tacchino il giorno del ringraziamento!”
Articolo a cura di Antonio Bassi
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