Il manager socratico

L’umanesimo, come corrente filosofica, fu fondato da Socrate nel 400 a.C.
Il pensatore greco lo dispose su quattro pilastri principali:
1. L’amore per la vita;
2. La centralità della conoscenza dell’essere umano;
3. La ricerca della felicità autentica;
4. Le proposte per realizzarla.

La filosofia come esercizio spirituale era uno stile di vita. Prima che deviasse verso teorie astruse e astratte, incomprensibili anche ai più dotti, la filosofia era appannaggio di tutti coloro che volessero cambiare la propria vita. Socrate allenava le persone a rendere la propria esistenza terrena un’opera d’arte, decostruendo il sapere tradizionale ed elevando il vero potenziale delle persone. I suoi ginnasi erano le botteghe artigiane, le piazze e la stoa della città, le vie brulicanti di persone e di merci all’ombra del Partenone e spesso le osterie dove poteva dimostrare che anche il tasso alcolico non avrebbe corrotto la sua integrità. Il metodo di Socrate, la maieutica, era costituito da una parte destruens in cui metteva in discussione i valori tradizionali (tipo: la felicità è data dalla ricchezza, dalla fama e dal potere) e una parte “levatrice” in cui la persona scopriva la coscienza del proprio potenziale benefico.
Dopo 2500 anni, dall’eroe ateniese condannato a morte per la sua rivoluzione non violenta, l’umanesimo cerca di risorgere non senza difficoltà e trova nemici potenti proprio nelle aziende. I manager socratici e umanisti si trovano a dover decostruire una cultura organizzativa che non è più funzionale ma dannosa. La psicologia non li aiuta avendo ceduto la sua autonomia all’egemonia medica, divenendo l’ancella povera della psichiatria. La filosofia si sta estinguendo, avendo subito colpi mortali da Heidegger e dai suoi accoliti. La scienza organizzativa è alla deriva, invasa dall’ingegneria digitale, la cui unica preoccupazione è sostituire le fragilità umane con soluzioni tecniche.

Oggi il Presidente di Accenture sostiene che saremo in grado di misurare ogni singola performance e abolire quelle valutazioni faccia a faccia che tanto imbarazzano i laureati in ingegneria gestionale. Si punta all’intelligenza artificiale senza aver compreso nemmeno le basi elementari dell’intelligenza umana. Quindi il manager socratico si trova a dover decostruire una psicologia che vede solo malattie e nevrosi, una scienza organizzativa che esalta i difetti da riparare o da eliminare, una cultura del successo fondata su profitti a breve termine, una filosofia di nobili origini e di degenerazioni contemporanee.
Nell’affrontare la parte destruens, il manager socratico deve elaborare modi strampalati e creativi per porre le sue domande provocanti e ironiche, ma sempre rispettose, ai collaboratori, ai clienti, ai fornitori e soprattutto ai suoi stessi capi. Nel mio lavoro come coach umanista di manager, imprenditori e leader socratici ne ho conosciuti molti e sono tutti innovatori culturali. L’obiettivo della parte destruens è infatti far emergere nuove culture aziendali. La logica socratica è sempre una logica affermativa. Dunque il manager socratico non parte dagli sprechi, dai punti deboli o dai difetti. Parte dai punti di forza, dal potenziale che sa di avere ogni individuo se riesce a conoscere e prendersi cura di sé stesso. Come afferma Casella, il successo non dipende dai profitti a breve, ma si sperimenta nel modo con cui un manager o un imprenditore tocca la vita delle persone. Un manager, più di un medico o di un filosofo, incide nella vita degli uomini e delle donne che lavorano con lui. Detta ritmi e qualità del loro lavoro, è il regista del clima umano in cui si svolge, è il responsabile delle relazioni. Quindi incide sulla vita delle persone. Il punto è come.
Un manager socratico cerca di sviluppare il potenziale della sua squadra, mette le persone nelle condizioni di esprimere le attitudini e le vocazioni, costruisce un clima relazionale di scambio, condivisione, solidarietà e impegno reciproco.  Sostiene il metodo Lean ma sa che le persone vengono prima dei processi, perché sono le persone che creano e sviluppano i flussi produttivi, sono loro che li fanno funzionare. Quando le persone sono al centro della leadership, il leader si trasforma in un coach, un maestro e una guida, come lo era Socrate ai suoi tempi. La visione aziendale da meta astratta o, peggio, da ipocrita strumento di marketing (grazie alla devastante nozione di “cliente interno”), diventa matrice culturale, etica di cambiamento e filosofia di leadership. La visione sorge dalle domande e dalla condivisione delle risposte.
Il manager socratico è certamente un coach. Ma per l’executive-filosofo lo sviluppo del talento è subordinato alla crescita della persona e per crescita si intende l’incremento del tasso di felicità. Il talento si sviluppa in atmosfera di benessere e si trasforma in un miglioramento continuo, dove gli obiettivi sono sempre più sfidanti. Sviluppando attitudini e potenzialità, il manager socratico organizza le persone in funzione delle loro passioni. Così il miglioramento continuo diventa una motivazione spontanea, bella e necessaria perché chi ama il proprio lavoro, ama farlo bene. Il miglioramento continuo, che è il cuore della lean, non è appannaggio degli ingegneri, ma di chi lavora nei processi e soprattutto nella cultura che permea il clima aziendale. Per questo il manager socratico valorizza le persone e le rispetta, non le sostituisce. Non è certo tutto rose e fiori. Ci sono anche i follower negativi e sleali che competono con i noti “furbetti del quartierino”, che non hanno a cuore né l’impresa né i clienti né i contesti. Sono riottosi al cambiamento e considerano il manager socratico un illuso che rompe le balle con le sue domande assurde. Ma in un giardino curato con sapienza e amore le erbacce si vedono ancora meglio e si sa come sradicarle o minimizzarne il danno.
La nostra è una cultura ortopedica, cerca sempre lo spreco o lo scarto, pensa il miglioramento in termini di difetti e della loro riparazione, si focalizza sui punti deboli. Socrate ci insegnava che per raggiungere la felicità dovevamo conoscere gli immensi tesori che albergano nel nostro mondo interno, non solo le miserie e le meschinerie. In un’azienda non abbiamo certo gli stessi obiettivi che Socrate si dava per la sua Atene (e non solo), ma un manager socratico, che ha a cuore la sua comunità di impresa, mette al centro le relazioni e le persone, la cultura e lo sviluppo, come la difesa e la sedimentazione dei risultati acquisiti. È un campione dell’apprendimento, della gratificazione, dei feedback positivi che riconoscono il valore altrui così come dei feedback negativi che spronano ad autosuperarsi.  Il riconoscimento, il rispetto, la collaborazione, il supporto reciproco, il donare felicità ai propri clienti, sono valori.
Ma i valori sono anche potenzialità, strumenti per discernere il bene dal male e il vero dal falso. Il talento positivo e propositivo è frutto di un lavorio intorno ai propri valori che si tramutano grazie all’allenamento in competenze e capacità tecniche sorprendenti. Non basta impegnarsi, non basta volerlo, non è sufficiente una dichiarazione di intenti. Come Socrate, il manager umanista sa che ci vuole scienza e conoscenza, metodo e strumenti, prassi e creatività. Seguendo l’esempio di Socrate, sa di non sapere, perché gli unici che conoscono il proprio contesto, come migliorarlo e come avere successo, sono coloro che ci lavorano e che allena ogni giorno. Il manager socratico che “scende” nella produzione sa che lì ci sono i massimi esperti, i depositari di decenni di esperienze, i campioni che possono contribuire a migliorare sé stessi e i processi. Ma ci vuole metodo. Le sale dei ginnasi sono stracolme di modelli di esercizio. Sappiamo come allenare un bimbo a tenere un concerto a nove anni (metodo Suzuki), a danzare su assi paralleli, a dipingere, scrivere, leggere e far di conto, sappiamo come allenarci per coprire distanze vertiginose o essere veloci come una freccia scoccata da un arco potente, sappiamo come allenarci per memorizzare centinaia di numeri e migliaia di partite a scacchi. Ora dobbiamo allenarci a scoprire come rendere felici le persone che lavorano, come sviluppare il loro talento, come rendere coesa una squadra. E avere successo significa rendere le persone felici di essere e operare insieme.
Questa è la visione dei nuovi manager socratici, che sono umanisti pratici e allenatori dell’umanismo, in breve dei Coach Umanisti.

 

Bibliografia:

Casella (2016), La morale aziendale, Tecniche Nuove.

Reale (2013), Socrate, Bur.

Sadin (2018), La siliconizzazione del mondo, Einaudi.

Stanchieri (2006), Essere Leader non basta, Franco Angeli.

 

Articolo a cura di Luca Stanchieri

Profilo Autore

Luca Stanchieri, direttore della Scuola di Coaching Umanistico (www.scuoladicoaching.it), laureato in Psicologia e in Economia, è il fondatore del Coaching Umanistico.

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