I dati sul “lavoro agile” sollecitano attenzione alla “fiducia”

 “…la gente si dimentica quello che hai detto e quello che hai fatto. Ma non potrà mai dimenticare come li hai fatti sentire”[1].

Con proprio decreto del gennaio scorso il Ministro per la Pubblica Amministrazione ha disposto la proroga al 30 aprile delle modalità organizzative e dei criteri e principi in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di “lavoro agile” previste dal D.M. del novembre 2020, che aveva sancito che “il lavoro agile nella pubblica amministrazione costituisce una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa”. La proroga poggiava sulla evidente necessità di assicurare “l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini e alle imprese con regolarità, continuità ed efficienza” stante il perdurare della emergenza pandemica causata dal COVID-19.

Con il comunicato n. 16 del 29 aprile 2021, emesso a seguito dell’adozione del D.L. 52/2021 con cui, tra l’altro, il  Governo proroga al 31 luglio 2021 lo smart working, è stato chiarito che “fino alla definizione dei contratti collettivi del pubblico impiego, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, le amministrazioni pubbliche – valorizzando l’esperienza acquisita nella organizzazione e nell’espletamento del lavoro in modalità agile, particolarmente, durante la pandemia – potranno continuare a ricorrere al lavoro agile secondo le modalità semplificate stabilite dall’articolo 263 del Dl 34/2020 (il cosiddetto “decreto Rilancio”), ma senza più essere vincolate al rispetto della percentuale minima del 50 per cento del personale e a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini e imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza e nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente”.

Pur volendo, in attesa che sulla nuova metodica lavorativa si esprimano le parti sindacali, non prendere posizione circa la valenza o meno di superare l’uso emergenziale del “lavoro agile” per adottarlo come strumento ordinario della organizzazione del lavoro dei pubblici dipendenti, appare doveroso prendere atto degli esiti del “Monitoraggio sull’attuazione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni”, relativo al periodo gennaio- settembre 2020, pubblicato sul sito del Ministero della Pubblica amministrazione[2].

L’indagine in questione oltre a volere accertare l’andamento nell’uso del “lavoro agile” ha inteso conoscere sia in che misura siano stati utilizzati gli strumenti informatici forniti dalle amministrazioni di appartenenza ma sia il livello di digitalizzazione dei servizi offerti dai pubblici uffici in conseguenza del ricorso al tipo di lavoro emergenziale; il monitoraggio, inoltre, ha avuto il fine di appurare quali siano state le principali ricadute del “lavoro agile” sulla organizzazione di appartenenza dei rispondenti e se e come sia cambiato il benessere percepito dagli stessi dipendenti.

Dal momento che, come risulta dalla tabella che segue, ben l’86% del personale delle amministrazioni che hanno partecipato al monitoraggio ha fatto ricorso al “lavoro agile”, raggiungendosi anche punte prossime al 100%,  sembrerebbe che si possa registrare un successo totalmente inatteso dell’impiego del “lavoro agile” vieppiù se si consideri che nel passato si sono registrati ritardi e resistenze, da parte della dirigenza pubblica, per quanto attiene all’impiego delle forme di lavoro flessibile, peraltro previste dalla specifica normativa finalizzata a conciliare il lavoro con le esigenze familiari.

(Fonte: Ministero della Pubblica Amministrazione)

Altro dato interessante fornito dalla ricerca è quello riferito alle economie di spesa degli enti interessati al nuovo modello di organizzazione del lavoro (basato sostanzialmente su “soluzioni digitali e non in presenza”), che si attesta al 48% di quella registrata prima del 2019 (con picchi superiori all’80% nelle università e negli istituti di ricerca). Di non scarso rilievo è anche l’informazione che si ricava circa gli effetti che l’esperienza svolta ha avuto sulla qualità della prestazione resa con riferimento agli utenti: il 70% del personale attesta un aumento delle proprie competenze digitali. Inoltre, il monitoraggio fa sapere che ben il 48% dei lavoratori ritiene che, grazie al “lavoro agile”, si è concretizzata una maggiore responsabilizzazione personale con conseguente orientamento ai risultati a cui ha fatto da sponda l’aumento della produttività e la riduzione delle conflittualità con i dirigenti[3].

Attraverso la piattaforma “ParteciPa”, curata da FormezPA, è stato possibile acquisire anche il giudizio dei dipendenti pubblici circa i vantaggi che il “lavoro agile” ha apportato individualmente.

Le percentuali indicate nel grafico sottostante inequivocabilmente dimostrano il grado di positività complessiva dell’esperienza svolta dai diretti interessati atteso che l’esperienza del “lavoro agile” è dichiarata insoddisfacente solo dal 7% di essi.

(Fonte: Ministero della Pubblica Amministrazione)

Ma c’è di più: dopo aver sperimentato il “lavoro agile” come strumento emergenziale, il 73% dei rispondenti dichiara che questa forma di prestazione aumenta la produttività del proprio lavoro e non mancano percentuali di tutto rispetto per quanto attiene a: “affrontare con più entusiasmo il proprio lavoro” (52%); “lavorare in clima di maggiore fiducia e responsabilità” (51,4%); “migliorare l’organizzazione degli spazi di lavoro” (40,6%). Verosimilmente proprio sul quadro definito dal monitoraggio qui descritto il Ministero della Pubblica Amministrazione ha poggiato la scelta di adottare con il DM del 9 dicembre 2020 le “Linee Guida sul Piano Organizzativo del “lavoro agile” (POLA) e indicatori di performance” con il fine di supportare con indicazioni metodologiche la dirigenza pubblica nel passaggio ad un impiego ordinario del “lavoro agile”.

Quella volontà, oggi in predicato anche per il cambio di guardia alla guida del dicastero, trova un concreto fondamento scientifico nel pensiero di Heifetz, Grashow, Linsky che, riferendosi alle situazioni organizzative che seguano momenti di crisi, hanno affermato che quando l’economia si riprenderà, le cose non torneranno alla normalità e sarà richiesta una diversa modalità di leadership[4].

E’ indubitabile, infatti, che i processi di riorganizzazione e di cambiamento necessitino una “leadership adattiva” che, a partire dalla valorizzazione delle persone al lavoro, sia in grado di riconoscere l’importanza della fiducia nei rapporti interpersonali, soprattutto quando finalizzati ad assicurare servizi, giacché è estremamente vera la convinzione di Uslaner che la fiducia è propedeutica a un agire razionale, sia che risulti orientato allo scopo (fiducia strategica) sia che attenga al valore dell’azione (fiducia moralistica)[5].

Quanto alla fiducia nelle organizzazioni, possiamo affermare con Luhmann che essa è “una sorta di capitale, che offre maggiori opportunità di compiere azioni di portata più vasta, ma che deve anche essere costantemente impiegato e coltivato, e che impegna chi vi ricorre a presentare sé stesso come degno di fiducia, obbligo cui l’individuo può sottrarsi solo con grande difficoltà”[6]. Ne discende che l’esercizio della fiducia deve essere sostenuto nel senso che essa oltre che esercitata va fatta crescere attraverso percorsi di formazione che interessino tutta la platea delle persone al lavoro, management compreso.  Si tratta di un impegno utile a realizzare la costruzione di logiche cognitive in grado di indirizzare gli individui verso l’obiettivo di meglio impiegare le rispettive competenze per il bene comune e la crescita della organizzazione con lo scopo primario di assicurarle efficienza, efficacia ed economicità in relazione alla mission della organizzazione stessa[7].

Il coinvolgimento del management trova ragion d’essere nella inconfutabile affermazione che i dipendenti debbono avere la certezza di essere guidati dal capo giusto[8]; tale potrà essere considerato solo il  “leader agile” che, eserciti la propria leadership guardando al risultato più che all’adempimento e non tenti di persuadere e convincere gli altri a fare ciò a cui manifestano resistenza, ma sia, invece, propenso a  costruire relazioni in grado di aiutare a liberare la intelligenza e la creatività delle persone con cui si relaziona e pronto a raccogliere i frutti della crescita individuale.

Questo modo di operare è quello che poggia sulla fiducia per cui egli risulterà idoneo al ruolo di guida: un leader che ispiri e conceda fiducia percepito alla stregua di un allenatore/consulente che, lungi dal sentirsi sicuro che non ci si sbaglierà mai o che gli altri saranno sempre all’altezza delle aspettative, vivrà nell’accettazione dell’incertezza, dei rischi, delle debolezze e per questo dimostrerà di riporre fiducia nell’operato delle persone con le quali entrerà in relazione[9].

L’atteggiamento dinanzi descritto pone in luce la funzione della comunicazione, del lavoro di gruppo e della delega, in merito ai quali si è ampiamente trattato nel lavoro di ricerca dedicato alle azioni utili a valorizzare le persone al lavoro quale condizione per un cambiamento organizzativo adeguato alle mutate condizioni dei tempi, dell’economa e della cultura[10]. Sono quelli gli strumenti impiegati dal “leader agile” per esercitare quella “leadership adattiva” che governare rafforzando il rapporto di relazione con gli altri.

Nella comunicazione, infatti, trova sostegno il clima (di fiducia) necessario a fronteggiare qualsiasi trasformazione, vieppiù quelle correlate a situazioni di crisi; con il lavoro di gruppo si concretizzano le azioni capaci di permeare lo scambio con i propri collaboratori – quasi in una contaminazione – delle conoscenze e delle abilità messe a ragion comune per l’affermazione della logica del “noi” come presupposto per promuovere e potenziare la responsabilizzazione del singolo individuo.

Con la delega, infine, il capo/leader esercita la capacità di confrontarsi insieme alle persone al lavoro in uno scambio di esperienze e di emozioni che stimolano e motivano portando “benessere più in senso lato, inteso come generato dal rispetto e dalla realizzazione della propria vera natura e come il risultato dell’inseguimento e raggiungimento di obiettivi positivi”[11].

 

Note

[1] Aforisma della poetessa/scrittrice statunitense Maya Angelou (nata Marguerite Annie Johnson), già docente alla Wake Forest University di Winston-Salem (Carolina del nord),  è stata conferita la Medaglia nazionale delle arti dal Congresso nel 2000 e la Medaglia presidenziale della libertà da Barack Obama nel 2011.

[2] Il monitoraggio, realizzato nell’ambito del progetto «Lavoropubblico.gov -Strumenti, sistemi informativi e azioni di accompagnamento per una gestione strategica delle risorse umane -PON Governance 2014-2020», ha riguardato 1.537 (circa 300 mila i dipendenti rappresentati).

[3] A fronte di questo quadro positivo, tuttavia, va rilevato che per il 20% dei rispondenti appare peggiorata la qualità dei servizi erogati all’utenza, verosimilmente a causa della “non presenza” sui posti di lavoro per assicurare il distanziamento necessario a prevenire il contagio dal virus causa dello abbassamento del livello della comunicazione con gli utenti.

[4] Heifetz R., Grashow A., Linsky M., “Leadership in a (Permanent) Crisis”, Harvard Business Review | July–August 2009.

[5] Uslaner E.M., The Moral Foundations of Trust, Cambridge University Press, Cambridge, 2002.

[6] Luhmann N., La fiducia, Bologna, il Mulino, 2002, p. 102.

[7] Cfr. Bochicchio F., Di Sabato T., Apprendimento e cambiamento nelle organizzazioni, Libellula, Tricase, 2018.

[8] Sul tema si veda, De Giosa V., Di Sabato T., Le organizzazioni di successo, Youcanprint, Lecce, 2020.

[9] Sulle ragioni del perché fidarsi degli altri si veda Marzano M., Avere fiducia: perché è necessario credere negli altri, Mondadori, Milano, 2012.

[10] De Giosa V., Di Sabato T., Cambiare le organizzazioni, Libellula Edizioni, Tricase, 2015.

[11] Ryan R. M., Huta V., Deci E.L., “Living well: A self-determination theory perspective on eudaimonia”, Journal of Happiness Studies, September 2008, (1):139-170.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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