Se dovessimo fare un sondaggio su quale sia la risorsa, il talento, la virtù più importante per un leader, ognuno di noi metterebbe sul tavolo qualcosa di diverso: determinazione, chiarezza, empatia, coinvolgimento, influenza e decine di altre cose. Il bello è che, alla fine, avremmo tutti ragione, se vedessimo la questione relegata ad uno specifico ambito della quotidianità di un leader. In un certo ambito, una determinata caratteristica si rivelerebbe fondamentale, o comunque molto importante in funzione dell’efficacia delle scelte e delle azioni di uno specifico leader.
Questo evidenzia, però, un grosso limite. Se un leader riconosce in sé e dispone di certi punti di forza, tenderà ad usare quelli per piegare la situazione alle sue possibilità di gestione della stessa. Come disse il celeberrimo creatore della piramide dei bisogni, Abraham Maslow:
Dietro ogni attività umana si nasconde un’opportunità di crescita, che è lo scopo ultimo della nostra esistenza in questo mondo, non solo come “semplici” esseri umani, ma anche come professionisti, imprenditori, dirigenti o altro. Se non fosse così, saremmo ancora al baratto e vivremmo sulle palafitte… se va bene. Pretendere che siano le situazioni ad adattarsi alle nostre capacità di gestione è un suicidio mentale e morale a lungo termine. Può portare a benefici nel breve o forse anche medio periodo, ma sul più lungo periodo si rivelerà un disastro.
Ma perché lo facciamo? Perché opponiamo così tanta resistenza ad esplorare nuove strategie e nuovi approcci nell’affrontare le sfide che si presentano? Da una parte, c’è una semplice spiegazione psicologica e, cioè, che ci sentiamo sicuri delle competenze e delle qualità che abbiamo e non vediamo alcun valido motivo ad avventurarci per sentieri sconosciuti. Dall’altra, però, la vera motivazione va molto più in profondità e riguarda il nostro modo di vedere e rapportarci con la realtà con cui ci confrontiamo.
Come avevo già scritto in un precedente articolo (“La leadership intrappolata”), esistono due lenti mentali (paradigmi) attraverso i quali vediamo la realtà: una è quella meccanicistica e lineare che usiamo praticamente sempre; ed un’altra, sistemica e circolare, che usiamo raramente e comunque solo quando pensiamo in modo controintuitivo. Nel primo caso, il paradigma è quello de “il nemico è là fuori”, dove tutto ciò che accade viene percepito come una minaccia da neutralizzare quanto prima con gli strumenti che abbiamo a disposizione; mentre nel secondo caso, vige il paradigma del “non esistono nemici”, ma solo eventi che cambiano la natura del loro impatto a seconda di come noi percepiamo tali eventi.
Alla fine, si riduce sempre tutto ad una questione di controllo. Nel caso del paradigma meccanicistico, vedendo la minaccia all’esterno, trasferiamo buona parte del nostro controllo a quell’evento, cosa che produce in noi una predisposizione mentale al vittimismo, che a sua volta imbriglia il nostro controllo inducendoci ad aggredire quella minaccia con le sole armi, spesso spuntate e ancor più spesso obsolete, che si hanno a disposizione (almeno nel modo in cui le usiamo): determinazione, chiarezza, empatia, coinvolgimento, ecc.
Ovviamente, non è che queste risorse siano sbagliate o fuori luogo, anzi, ma diventano inutili o perfino controproducenti quando le utilizziamo nell’ottica di un paradigma antisistemico e conflittuale, poiché rischierebbero di diventare fuorvianti e manipolatorie. Ne consegue che occorre adottare un paradigma diverso, sistemicamente sostenibile. Anziché essere noi ad aggredire i problemi o partire lancia in resta verso allettanti terre di conquista, fare invece in modo di creare le condizioni che attirino le situazioni favorevoli a noi ed il solo modo per riuscirci è quello di attivare circoli virtuosi di fiducia, la risorsa di gran lunga più potente tra quelle in grado di generare emozioni ed energie propositive.
Questo è il solo modo per assumere un controllo autentico e superare così la strisciante mentalità vittimistica che annebbia la nostra ragione, facendoci perdere in partenza.
In concreto, quando le persone si fidano, sono loro a venire a noi, che si tratti di clienti, di soci, di risorse umane, di investitori o altro. Non dobbiamo andarli a stanare, come avviene normalmente, ma poiché la fiducia è merce molto rara, soprattutto nel mondo del business, ad ogni livello, diventa altamente attrattiva per chiunque. Tuttavia, è importante comprendere bene le dinamiche che innescano la fiducia per capire come trasmetterla. La prima cosa da capire è che la fiducia è uno stato emozionale e, in quanto tale, non può essere attivata a comando, non più di quanto sia possibile innamorarsi, arrabbiarsi, tranquillizzarsi, entusiasmarsi, ecc. con uno schiocco delle dita. Ricordi l’ultima volta che qualcuno che magari conoscevi poco ti ha detto “fidati di me”? Molto probabilmente è successo esattamente il contrario.
Ci dev’essere qualcosa che attivi un qualsiasi stato emozionale e nel caso della fiducia l’attivatore è la credibilità. Se non siamo credibili, non potremo mai trasmettere fiducia: punto. La credibilità, invece, che è una competenza e non uno stato emozionale, può essere appresa conoscendo le molle che ci rendono credibili agli occhi degli altri, non dimenticando MAI che le prime persone a cui dobbiamo dimostrare di essere credibili siamo noi stessi! Se non cominciamo da noi, sarà impossibile trasmetterlo là fuori.
Sono tre i fronti su cui dobbiamo lavorare per diventare credibili:
Oggi, in un mondo globalizzato, non solo la concorrenza è sempre più serrata, ma di conseguenza è anche sempre più difficile distinguersi dai propri competitor e questo fa sì che il mercato si appiattisca sull’offerta del prezzo più basso.
Tuttavia, è non solo possibile, ma necessario uscire da questa gigantesca trappola per topi proponendosi sul mercato in modo completamente diverso, puntando sulla credibilità. Certo, questa non la si costruisce dall’oggi al domani, ma non esiste miglior investimento personale (e non da un punto di vista economico, che è praticamente a costo zero) con un ritorno sostenibile nel medio e lungo termine.
Hai la possibilità di toccare con mano la potenza di questa metodologia basata sullo sviluppo della credibilità per trasmettere maggiore fiducia approfittando dell’opportunità di partecipare ad una sessione gratuita di Trust Coaching. Si tratta di una sessione operativa, non introduttiva o propedeutica, per cui uscirai da questo incontro con qualcosa da applicare subito nella tua quotidianità lavorativa.
La sessione è solitamente a pagamento, ma fino al 15 marzo p.v. rimarrà del tutto gratuita. Approfittane subito cliccando sul seguente link:
Se vuoi saperne di più su questo argomento o su altri temi che riguardano le dinamiche dei sistemi, puoi consultare i seguenti libri:
oppure puoi consultare il mio sito che è ricco di risorse che vertono su questo tema:
A cura di: Alessandro Carli
Un tempo il compito di traghettare l'azienda verso il futuro tramite lo sviluppo di nuove…
Negli ultimi mesi causa il lento e inesorabile declino della redditività nella stipula delle Polizze…
Attiva da più di 30 anni e oggi parte del gruppo internazionale Zucchetti, Cybertec è…
Il focus sulla formazione professionale in Europa Nello spirito di favorire gli investimenti destinati a…
Nel complesso e volatile panorama aziendale odierno, le pratiche tradizionali delle supply chains non sono…
I dati sono chiari. L'Intelligenza Emotiva (EQ) è un fattore chiave di differenziazione per i…