Diritti e doveri degli smart worker, poteri dell’imprenditore, previsioni di legge e contrattazione collettiva, accordi individuali – Parte 1

Parte 1

Abstract

Il lavoro da casa è stata una risposta adattiva alla crisi pandemica che ha permesso alle imprese e ai lavoratori di continuare a fornire una prestazione utile modificando l’assetto di luoghi, orari e abitudini consolidate. Oggi molte organizzazioni stanno progettando la nuova normalità con formule di lavoro ibrido in presenza e da remoto. La sfida è ottimizzare nuovi modi di lavorare che mantengano i vantaggi di flessibilità ed efficacia, minimizzando gli effetti distorsivi e negativi che possono emergere, soprattutto per alcune fasce di popolazione: donne, genitori, giovani, categorie con varie fragilità. Per farlo al meglio è bene che tutti abbiamo chiarezza su diritti e doveri degli smart worker.

La normativa in merito è stata emendata più volte nel corso del 2020 per gestire la crisi sanitaria. Qui facciamo riferimento alle condizioni precedenti e, per quanto possibile, alle interpretazioni emergenti a fronte delle esperienze in corso.

Di seguito vengono esposte e trattate alcuni casi che rappresentano la pluralità di situazioni che aziende e lavoratori stanno affrontando. La struttura del testo presenta vari temi: viene proposto un quesito sia dalla prospettiva del datore di lavoro sia del lavoratore. Le risposte che seguono sono quindi indirizzate a entrambe le domande.

Volontarietà

Azienda: il contratto integrativo aziendale prevede, in via generale e ordinaria, l’estensione dello smart working a “tutta l’organizzazione”. Posso escludere dal novero dei lavoratori da adibire al lavoro remoto le persone che rivestano funzioni e/o ruoli per i quali la presenza fisica in sede sia necessaria per vincoli di servizio (esempio, addetti alla sicurezza), di utilizzo di impianti e attrezzature (esempio, tecnici di laboratorio), di attività manuali non digitalizzabili?

Lavoratore: abito a 1 ora di viaggio dalla sede e a casa lavoro meglio, posso chiedere di lavorare a distanza anche se non è previsto dal contratto aziendale?

Risposte:

L’organizzazione dei servizi interni dell’azienda costituisce uno strumento di gestione del lavoro e, come tale, rappresenta un’espressione del potere direttivo del datore di lavoro, che è uno dei cardini fondamentali della qualificazione del lavoro subordinato ed è espresso nella norma di cui all’art. 2086 cod. civ. che, con formula forse un po’ solenne, dispone che “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. Tale principio è inserito nel gruppo di norme che disciplinano, in via generale, l’esercizio dell’impresa, collocate in una sezione preliminare del codice civile, prima ancora di quella che si occupa del “rapporto di lavoro”, la quale comprende gli articoli 2094-2129 ed è integrata dall’intera legislazione specifica che costituisce il corpo globale della disciplina del lavoro (subordinato e non). In questi termini, l’organizzazione dell’intera impresa deve essere effettuata dal datore di lavoro, che decide autonomamente l’equilibrio interno dell’attività d’impresa, secondo disposizioni che trovano il solo limite della linearità e compatibilità con i principi basilari di buona fede e correttezza che si innestano in ogni genere di contratto. Il problema che solleva la questione, peraltro, riguarda i ruoli e le funzioni necessariamente esplicabili in presenza, salva quindi la possibilità di gestire i problemi di adibizione con strumenti di rotazione del personale, ove possibile. Qualora le figure professionali idonee allo svolgimento delle attività non siano disponibili o, comunque, lo siano in numero limitato, il datore di lavoro non potrebbe assicurare i servizi se non attraverso un’organizzazione rigida dell’equilibrio tra lavoro in sede e lavoro in remoto, il che potrebbe limitare la discrezionalità nelle relative scelte. In caso di disponibilità di personale a lavorare in remoto, anche per determinate mansioni ciò potrebbe imporre un lavoro remoto generalizzato e con rotazione. In questi casi, peraltro, i contratti collettivi aziendali generalmente veicolano le direttive organizzative e sono vincolanti in quanto espressione di un confronto con le organizzazioni sindacali, che si ritiene sufficiente a moderare eccessi di potere ed incongruenze correlate.

L’adozione del lavoro agile – nella sua modalità naturale – prevede un necessario accordo individuale e, dunque, offre la possibilità di valutare ogni singola posizione in relazione alle contrapposte esigenze di lavoratore e datore di lavoro. La richiesta di lavoro in smart working può sicuramente prescindere da un silenzio di regolamentazione (contratto aziendale o regolamento interno), essendo assoggettato al solo limite dell’accordo individuale. Nella fase emergenziale attuale, dove tutto ruota in funzione di necessità contingenti, è prevista un’adozione dello smart working in modalità espressamente e fortemente “consigliata”, laddove non addirittura quasi imposta, come nel pubblico impiego. Da ciò consegue che ogni scelta in materia di adozione della prestazione in remoto deve essere coordinata con le necessarie e vincolanti norme sanitarie, trovando un limite nell’incompatibilità con il rispetto delle stesse che, oltremodo, prevedono la possibilità di adottare lo smart working anche prescindendo dall’accordo individuale e, dunque, con direttive aziendali vincolanti.

Numero di giornate

Azienda: a chi ha firmato il contratto individuale di smart working, posso richiedere un numero minimo di giornate di lavoro da remoto alla settimana?

Lavoratore: ho firmato il contratto individuale, che prevede fino a due giornate di lavoro remoto, ma il mio capo preferisce che sia sempre presente, perché è difficile pianificare il lavoro, che dipende dal flusso di priorità richieste dai clienti. Posso lavorare lo stesso da casa almeno un giorno alla settimana?

Risposte:

Il contratto individuale normalmente disciplina tutti gli aspetti del lavoro in remoto, essendo scaturito dalla mediazione della volontà delle parti e dalle relative clausole concordate e adottate. La distribuzione delle ore di lavoro, tra prestazione in presenza e prestazione da remoto, dovrebbe essere stabilita in sede di stipulazione e sottoscrizione dell’accordo e, conseguentemente, ogni variazione potrebbe essere apportata solo con il consenso/accordo dell’azienda e del lavoratore. Non esistono limiti legislativi in ordine all’organizzazione del lavoro e degli orari e, in relazione al numero di giornate in sede o a distanza, quindi, con l’assenso del lavoratore l’azienda può richiedere una “quantità” minima imprescindibile di giornate in smart working. Un’imposizione unilaterale in questo senso non è possibile, salvo comprovati, oggettivi ed imprescindibili esigenze organizzative, tecniche, produttive (esempio, funzione insostituibile a dover esporre tali esigenze e di dimostrarne la vincolatività sul piano organizzativo e gestionale.

La sottoscrizione dell’accordo sullo smart working, come già detto, vincola le parti contrapposte all’esecuzione degli obblighi che derivano dai patti concordati. Nessuna delle due parti, successivamente all’adozione dell’accordo, può unilateralmente modificare il contenuto dello stesso e, dunque, le singole previsioni relative alla distribuzione delle giornate in sede ed in remoto. Tutte le contrapposte esigenze sono già state verosimilmente valutate in sede di trattative e di stesura dell’atto scritto che, in questo senso, deve ritenersi vincolante (salvo accordo specifico congiunto).

Orari

Azienda: il contratto prevede una fascia di lavoro per gli smart worker dalle 8 alle 20. Posso contattare il lavoratore per emergenze fuori da questi orari?

Lavoratore: in teoria avrei diritto alla pausa pranzo di un’ora nella fascia 12.30-14.30 ma in pratica non stacco praticamente mai e faccio normalmente 10 ore di lavoro al giorno. Posso chiedere il pagamento degli straordinari?

Risposte:

Il datore di lavoro può contattare il lavoratore in fasce orarie al di fuori di quelle adottate, vigenti e strutturate, ma solamente in casi di gravissima emergenza, tali da esporre sia l’azienda, sia il lavoratore stesso e i suoi colleghi, al pericolo concreto ed effettivo di un danno grave e irreparabile (esempio, principio di incendio e necessità di salvaguardare la salute e sicurezza delle persone e dei beni dell’impresa, in concomitanza con una necessità di accesso a determinati beni solo con la collaborazione del lavoratore).

Il lavoro svolto oltre l’orario previsto dal contratto collettivo, dal contratto aziendale o dal regolamento aziendale (esempio: 8 ore giornaliere; 40 ore settimanali) deve essere retribuito con una maggiorazione, secondo i criteri e i valori stabiliti dal ccnl stesso, generalmente a livello nazionale. Fermo restando questo principio, sono previste alcune regole e/o eccezioni per determinate situazioni o per specifiche categorie. Innanzitutto, i contratti collettivi (accodati alle leggi sull’orario di lavoro) stabiliscono che il lavoro straordinario non debba essere riconosciuto e retribuito come tale al c.d. “personale direttivo”. L’espressione, che origina da una legge del 1923, ricomprende, normalmente e secondo le indicazioni a corredo del ccnl applicato in azienda ed al rapporto, i dirigenti, i quadri, gli impiegati del livello più alto della classificazione (esempio: ccnl terziario/commercio, livello 1; ccnl industria, livello 7). Per questi profili, quindi, non è prevista nessuna retribuzione specifica, in aggiunta a quella ordinaria contrattuale, in quanto si ritiene che il loro orario non sia esattamente individuabile in ragione del livello gerarchico ricoperto. Per il restante personale, indipendentemente dalla modalità della prestazione, il lavoro straordinario, oltre le ore settimanali/giornaliere previste dal ccnl applicato in azienda, deve essere retribuito con una maggiorazione, che varia in relazione al numero di ore, alla collocazione e ad altri parametri. Lo straordinario, peraltro, secondo le previsioni contrattuali collettive, deve sempre essere autorizzato dal superiore gerarchico e non può essere attuato senza tale autorizzazione. D’altro canto, il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire il lavoro straordinario assegnato dall’azienda, soprattutto ove ritenuto necessario o opportuno (sul punto, molti ccnl contengono disposizioni specifiche). Anche per il personale direttivo, peraltro, esiste un limite indicato dalla legge e confermato dalla giurisprudenza, di 11 ore di lavoro giornaliere, oltre le quali si ritiene che l’eccesso di ore possa nuocere alla salute psicofisica. In questi casi, il lavoratore, di qualsiasi categoria e qualifica, deve essere retribuito e risarcito per il presunto danno alla salute.

Luogo di lavoro

Azienda: da regolamento è possibile lavorare in smart working solo da luoghi privati al chiuso. Posso imporre che non vengano utilizzati spazi di co-working per ragioni di protezione dei dati?

Lavoratore: vorrei lavorare durante i mesi estivi dalla mia seconda casa, ma a volte il mio responsabile richiede che torni in ufficio per delle urgenze. Posso rifiutarmi se sono collegato da remoto e disponibile a lavorare anche oltre orario?

Risposte:

La tutela della riservatezza dei dati aziendali è una esigenza fondamentale e imprescindibile, sia per ragioni di segreti imprenditoriali, sia per ragioni inerenti ai dati stessi, oltremodo eventualmente costituenti dati sensibili, ai sensi della normativa sulla Privacy (esempio: dati sanitari, dati su convinzioni personali di ordine riservato indicati dalla legge). Il datore di lavoro può sicuramente disporre che, nell’ambito dell’espletamento di lavoro in smart working, la prestazione debba essere resa in “sicurezza” per la finalità di protezione dati, da un lato, attraverso una preventiva verifica dei luoghi di lavoro remoto, con corrispondente giudizio di idoneità, e, dall’altro lato, monitorando in via ispettiva la persistenza nel tempo di tali caratteristiche, se del caso imponendo regole di prevenzione/protezione che, tra le altre cose, vietino espressamente il lavoro in situazioni di condivisione di luoghi e spazi, anche attraverso dichiarazioni di responsabilità del collaboratore.

Normalmente, secondo le regole tipiche degli accordi di smart working, le aziende prevedono che il lavoratore interessato possa essere richiamato in sede per ragioni di servizio o di urgenza. Laddove non vi siano previsioni specifiche sul punto, deve ritenersi che il datore di lavoro, ovvero i superiori gerarchici del lavoratore, abbia sempre la facoltà, in casi di sopravvenute ed impreviste necessità di urgenza, dimostrata e dimostrabile, di richiamare il lavoratore da remoto in sede, specificando dettagliatamente le ragioni dell’ordine di servizio e motivando il provvedimento di richiamo in sede. Questa è un’espressione del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, che trova comunque un limite in casi di abusi o ingiustificatezza delle ragioni, le quali possono essere contestate successivamente senza l’attivazione di misure proprie di rifiuto della prestazione in via preventiva e/o di autotutela, che potrebbero generare responsabilità disciplinari.

 

Nei prossimi articoli della serie affronteremo altri tipologie di scenari, tra i quali il controllo a distanza, la prenotazione delle postazioni in ufficio, la disconnessione, le attività private durante l’orario di lavoro.

Il tema dei nuovi modi di lavorare e dello smart working presenta molte sfaccettature, in parte riferibili a chiare norme di legge o a pratiche in via di consolidamento. Speriamo che questa guida possa aiutare a prepararsi preventivamente a gestire le casistiche che si possono presentare.

Parte 2

 

Articolo a cura di Pasquale Dui e Giuseppe Geneletti

Profilo Autore

Avvocato - Partner presso DV-LEX DUI VERCESI & PARTNERS Studio Legale - Professore a contratto di diritto del lavoro - Revisore Legale - Giornalista pubblicista

Profilo Autore

Laureato in Economia Aziendale all’Università Bocconi e MBA INSEAD. Manager con esperienza internazionale. Attualmente senior partner di Methodos, la società di consulenza focalizzata sul change management culturale. Responsabile dell’unità Smart Working.

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