La pandemia è destinata a cambiare le nostre vite – lo sentiamo dire spesso in questi giorni – ma anche il modo in cui gestiremo le nostre aziende dovrà essere modificato. Adesso è arrivato il momento di farlo sul serio. Anche perché, se non lo faremo, difficilmente la maggior parte delle aziende potrà riprendersi da una crisi del genere.
Per troppo tempo sistemi obsoleti, rigidamente gerarchici e impostati su criteri burocratici, hanno reso le imprese farraginose, poco dinamiche, prevedibili, ripetitive, capaci solo di perpetuare sistemi di lavoro collaudati ma, nella maggioranza dei casi, superati, lenti, incapaci di cogliere i cambiamenti.
Molte imprese, grazie a una certa rendita di posizione accumulata nel tempo, o godendo di favoritismi logistici, politici, oligopolistici, ecc. hanno resistito, bene o male, anche alla rivoluzione tecnologica che sembrava destinata a portare innovazione; e lo hanno fatto cercando di opporsi con ogni mezzo al cambiamento.
Ora, di fronte alla minaccia rappresentata dal Covid-19, cadono tutte le difese posticce che erano state innalzate. Alcune pratiche di gestione che si riferivano alla vecchia scuola dovranno per forza cambiare: le aziende dovranno liberarsi una volta per tutte da certe strutture impostate ancora sul comando/controllo top/down e sulla burocrazia.
Molte aziende, secondo lo studioso americano, sono diventate ancora più conservatrici, più vincolate a regole e metodi centralizzati, con una catena di comando che prevede fino a otto (se non più) livelli nella scala gerarchica. Secondo il suo pensiero, questo sistema diventa sempre più insostenibile, costruito com’è su processi, in molti casi “tossici”, che non aggiungono alcun valore all’azienda ma rappresentano solo un enorme spreco di risorse.
Se questo era vero qualche mese fa, ora, in attesa della ripresa (che ci sarà) dopo il Coronavirus, è ancora più necessario e improcrastinabile. Prima si poteva parlare di una transizione graduale dalla burocrazia a quella che Hamel chiama “umanocrazia”, ora, visto il cataclisma economico causato dalla pandemia, il processo dovrà essere ancora più rapido.
Vediamo che cosa si intende per “umanocrazia”. Per Hamel e Zanini significa rendere le aziende non solo flessibili e agili, come richiedono i manager, ma anche umane. Come abbiamo sperimentato, anche grazie alla recente pandemia, le persone sono per loro natura adattabili e resilienti e sanno reinventarsi, quando è necessario, mentre le aziende sono più rigide.
Le persone sono disponibili al cambiamento quando l’idea nasce da loro e ne sono parte attiva (cambiare casa, lavoro, hobby, ecc.) oppure, in caso di emergenza, quando gravi circostanze esterne lo richiedono, ad esempio per ragioni di sopravvivenza (come nel caso del Covid-19).
Vi si oppongono, creano attrito e resistenza, quando il cambiamento è imposto dall’alto e scarsamente condiviso. Se si potesse realizzare una piramide di Maslow in base alle caratteristiche che le aziende richiedono ai propri collaboratori, secondo Hamel, alla base ci sarebbe l’obbedienza, poi salendo, la diligenza, l’intelligenza, l’iniziativa, la creatività e in alto la passione.
Se diamo per scontate le prime tre qualità, restano quelle che definiscono i collaboratori come persone creative, che vedono nei problemi delle opportunità, che fanno domande intelligenti, costruttive, che sanno mettere in tutto quello che fanno passione e che sono pronte ad assumersi i rischi, se necessario.
Cioè, in sostanza, il coraggio e la capacità di osare, di gettare il cuore oltre l’ostacolo. In questa grande tragedia della pandemia gli esempi li abbiamo davanti agli occhi ogni giorno: medici, infermieri, più di altri settori, impegnati in prima linea fino allo stremo, con generosità, altruismo, sprezzo del pericolo.
Molte organizzazioni, invece, sono ancora affette da “controllite”, cioè impongono meccanismi di controllo che uccidono la creatività dei dipendenti e la loro volontà di proporre qualcosa di nuovo. Per anni, si è ritenuto che la burocrazia funzionasse proprio perché era, per così dire “asettica”, slegata dai comportamenti umani. Oggi ci accorgiamo che è vero il contrario: si assiste a un’inversione di questa mentalità e al tentativo di riumanizzare il lavoro e i suoi processi, liberandoli da regole costruite a tavolino o prassi diventate meccaniche e abitudinarie.
Qualche dato, già conosciuto peraltro, che conferma l’esigenza da parte dei collaboratori di essere più partecipi alla vita dell’azienda: solo il 15% si sente pienamente coinvolto nel suo lavoro. Il 50% di chi cambia lavoro lo fa per sfuggire a un capo che non lo capisce o, peggio, ha comportamenti vessatori nei suoi riguardi; il 68% ritiene che le idee nuove raramente vengono tenute in considerazione e trovano accoglimento da parte dei responsabili.
Ma ci sono anche ragioni prettamente economiche che rendono necessario l’eliminazione della burocrazia. Hamel, a dicembre 2019, dal palco del terzo Forum RenDanHeyi in Cina[2], lo ha detto esplicitamente: “La burocrazia deve finire!” anche perché il suo costo nei paesi OCSE ha un peso spaventoso sull’economia, quasi 8 trilioni di euro. Come sostiene Jamie Dimon, CEO di JP Morgan Chase, “La burocrazia è una patologia”!
Nonostante questi enormi costi, questa patologia è ancora il sistema operativo adottato da grandi organizzazioni. Ed è ancora ampiamente considerata una struttura efficace, semplice e scalabile. Ma, esistono per fortuna altre realtà dove le cose vanno diversamente: Haier, Morning Star, Handelsbanken[3], W.L. Gore e Spotify, solo per fare alcuni esempi di come l’idea di “humanocracy” possa essere messa in pratica.
Hamel nel suo libro offre alcuni suggerimenti per cominciare a liberarsi dalle pastoie della burocrazia. Li elenchiamo di seguito.
Per eliminare la burocrazia il processo dovrebbe partire dall’alto, ma non sempre è possibile. Ai leader spetta il compito di semplificare e snellire le procedure ma dovrebbero smettere le vesti dei freddi manager, preoccupati della loro carriera, e diventare dei mentori che abbiano l’entusiasmo per facilitare il cambiamento coinvolgendo i collaboratori dalla base, lasciando loro la massima libertà di iniziativa.
Ma si tratta anche di cambiare mindset. Un grande filosofo, Thomas Paine, sosteneva: “L’abitudine di non pensare a una cosa come sbagliata offre l’impressione superficiale che questa sia corretta”. Meccanismo perfetto per perpetuare all’infinito iter lavorativi diventati routine non più necessarie.
[2] https://www.facebook.com/HaierGlobal/videos/2142591182701452/?v=2142591182701452
[3] https://www.handelsbanken.se/en/
Articolo a cura di Ugo Perugini
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