Cogliere le opportunità della sostenibilità ambientale e dell’economia circolare per gestire le discontinuità di contesto causate dall’emergenza Covid-19

Gli accadimenti delle ultime settimane hanno invitato tutti noi a riflettere sulla virulenza che le discontinuità di contesto, qual è il Coronavirus (o Covid-19), possono avere sulla vita delle persone e sul tessuto industriale dei Paesi, sia in Europa che nel mondo. Soprattutto per il nostro Paese le ricadute sembrano essere significative: si parla nell’anno di una caduta del Prodotto Interno Lordo (PIL) che oscilla tra i 170 e i 270 miliardi di euro, ovvero una flessione di circa il 9,5% nell’ipotesi più ottimistica (come riporta un recente articolo de Il Messaggero) mentre, nell’ipotesi di caso peggiore, cioè nell’eventualità che la ripartenza sia più lenta, potremmo anche assistere a un meno 15% (da Repubblica – Economia&Finanza).

Gli effetti del Coronavirus sembrano quindi essere devastanti: la pandemia rappresenta una vera e propria disruption di contesto che deve stimolare una nostra riflessione su quale ruolo i policymaker, le imprese e i singoli individui devono esercitare da qui al prossimo futuro.

Tra i tanti aspetti negativi che sono emersi, e.g., il numero delle morti e la recessione economica su tutti (e che non stiamo qui ad approfondire), ce ne sono però alcuni positivi: la riduzione della pressione sull’ambiente, l’adozione diffusa dello smart (o remote) working, la percezione dell’importanza della sussidiarietà e della collaborazione tra enti e società civile. In particolare, la riduzione dell’inquinamento forse non ha ancora meritato la giusta attenzione: l’ambiente è tornato a respirare, sia per la scarsa mobilità che per la riduzione del traffico, ed è proprio da azioni legate alla salvaguardia ambientale che dobbiamo concentrare i nostri sforzi per ripartire.

L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 è profondamente legata alle tematiche ambientali. In queste ultime settimane, sono stati diffusi svariati contributi che discutono o presentano analisi di dati sulla controversa relazione tra i livelli di inquinamento atmosferico e la pandemia (si veda ad esempio il recente studio della Harvard University).

Anche il mondo del consumo è oggetto di riflessione per i suoi legami con la pandemia e con posizioni spesso contrapposte come ad esempio la diatriba tra l’industria dei produttori e trasformatori di plastica e la Commissione europea: i primi vorrebbero la revoca del divieto su alcuni articoli di plastica monouso per il loro possibile contributo a fronteggiare il virus, mentre la seconda ha ribadito che le scadenze della single-use plastic directive – adottata nel giugno dello scorso anno e che ha introdotto il divieto su un numero selezionato di prodotti come posate, bicchieri per bevande, bastoncini per palloncini, cannucce e bastoncini di cotone – vanno rispettate (Eco dalle Città, 2020). E proprio l’usa e getta (in inglese disposable, che speriamo sempre non diventi littering) è tornato di attualità nelle nostre abitudini sia per quanto il ricorso a mascherine e guanti che ci proteggono, sia per quanto riguarda – unitamente alla vita da quarantena – il cambiamento dei nostri comportamenti di consumo e di produzione di rifiuti.

Investire rapidamente in iniziative di sostenibilità ambientale e di economia circolare può rappresentare una delle principali strategie per aumentare la capacità di ripresa post Covid-19: la Presidente della Commissione europea il 16 aprile 2020 nel suo discorso al Parlamento europeo ha posto l’attenzione sul coordinamento delle azioni in grado di riscostruire il mercato interno dopo la pandemia da Coronavirus e le sue conseguenze. In particolare, l’Unione Europea (UE) sostiene che sarà necessario raddoppiare gli sforzi per la nostra strategia di crescita, investendo nel Green Deal europeo – e quindi nel Green Deal italiano – al fine di spingere la ripresa verso un’Europa più resiliente, verde e digitale, e in modo da rallentare la corsa del riscaldamento globale: “Gli investimenti dovranno puntare su progetti giusti da avviare rapidamente e che siano all’interno di un percorso che se spingerà verso un’economia più circolare ci renderà meno dipendenti e aumenterà la nostra capacità di ripresa”, conclude la Presidente.

Da qui la domanda su quale ruolo può giocare l’Italia in questo contesto innovativo e sfidante anche in termini di implementazione dell’economia circolare. Innanzitutto, partiamo col dire che l’Italia ha un primato a livello UE in tema di circolarità: con il 79% è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti generati, più del doppio della media UE (del 38%). Inoltre, con il 18,5% di materia seconda sui consumi totali di materia, l’Italia è leader tra i grandi Paesi europei per tasso di circolarità dell’economia (Agi-CENSIS, 2019).

Deve essere comunque chiaro che l’economia circolare non può essere circoscritta alle sole attività di riciclo, dove il rifiuto è già stato creato e quindi riciclato, ma richiede a policymaker e imprese (soprattutto) di riflettere in termini di estensione del ciclo di vita dei prodotti, intervenendo ad esempio nella riprogettazione dei processi di produzione, ricorrendo all’utilizzo di materiali bio-based per le componenti di prodotto, facendo leva su pratiche di design dei prodotti, incentivando una sempre più necessaria logica di prodotto-servizio, etc. Sicuramente, in un momento di forte discontinuità come quella in cui siamo stati catapultati, e in cui è chiara a tutti l’importanza di salvaguardare la “salute” dei territori e delle realtà locali, la transizione verso un’economia circolare potrebbe portare i suoi benefici, in quanto rappresenta un approccio industriale che chiama all’implementazione di operation distribuite sui territori e quindi a un’azione congiunta di co-creazione di valore tra attori economici operanti in supply chain vicine.

Come anche ci ricorda Albert Einstein: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”. È quindi dalle discontinuità che deve nascere la spinta a un cambiamento. La consapevolezza che la pandemia sia anche un’occasione per accelerare verso un nuovo modello di sviluppo emerge da numerosi moniti di prestigiosi organi e istituzioni di rappresentanza e dialogo.

Ad esempio, il CSR Manager Network, con una lettera aperta al Presidente del Consiglio, ha recentemente sottolineato e illustrato l’importanza di imprimere un orientamento lungimirante alla fase di ripresa delle attività economiche e sociali in nome dello sviluppo sostenibile, ribadendo fermamente che le iniziative di sostenibilità ambientale debbano essere un asse portante del futuro sociale ed economico dell’Italia (CSR Manager Network, 2020).

E ancora l’ASviS (Allenza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), attraverso il nuovo Rapporto dal titolo “Politiche per fronteggiare la crisi da COVID-19 e realizzare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” (realizzato grazie al contributo degli oltre 600 esperti che operano nei suoi gruppi di lavoro), ha valutato l’effetto della crisi sulle diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile e propone azioni per stimolare la ripresa in linea con l’Agenda 2030 e il Green Deal. Il suo portavoce ha affermato che: “Una crisi dagli effetti così violenti deve portare a un ripensamento profondo del modello di sviluppo e a un cambiamento di molte politiche rispetto al periodo pre-Covid-19. Servono subito misure orientate a far “rimbalzare avanti” il Paese, scongiurando il semplice ritorno al passato, e a prepararsi ad affrontare shock futuri. Le ingenti risorse impegnate dal Governo e dall’UE vanno orientate ad un cambio di paradigma produttivo, caratterizzato da maggiore sicurezza dei lavoratori, innovazione e capacità di cogliere le opportunità offerte dalla green economy. Nonostante la crisi, gli italiani ritengono sempre più urgente perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile e chiedono misure di contrasto ai cambiamenti climatici, considerati una minaccia al pari del Covid-19” (Comunicato stampa ASviS).

Inoltre, in una recente ricerca dell’Università di Oxford è emerso come l’Italia, assieme a Cina, Stati Uniti e Regno Unito, sia tra i Paesi che potrebbe trarre maggiori vantaggi da una transizione globale verso un’economia verde e quindi circolare, e che non può prescindere dal ricorso allo sviluppo e alla diffusione di nuove tecnologie con vantaggi ambientali (Oxford Martin School and the Smith School of Enterprise and the Environment). In particolare, in questo studio è stata introdotta una nuova misura, il Green Complexity Index (GCI), che mostra quali Paesi sono in grado di esportare i prodotti più verdi e complessi. L’Italia, come emerge anche in Figura 1, è tra i Paesi con un GCI più elevato, ovvero tra quelli che tendono anche ad avere un numero di brevetti ambientali più elevati, minori emissioni di CO2 e un ventaglio di politiche ambientali più rigorose.

Figura 1. GCI and ECI comparisons for 2014
(Fonte: Oxford Martin School and the Smith School of Enterprise and the Environment)

Sulla base di queste riflessioni, è chiaro che le sfide di sostenibilità ambientale e di economia circolare per policymaker e imprese sono ancora svariate e piuttosto articolate, ma c’è spazio per accelerare la transizione verso questo nuovo approccio industriale e soprattutto per la gestione di discontinuità di contesto che oggi sono il Coronavirus, ma domani… chissà?

È anche vero che la direzione verso la quale avevano iniziato a muoversi molti attori economici prima della pandemia era evidente; ma è necessario, ora più che mai, continuare a spingere verso una transizione più circolare ed economicamente sostenibile nella quale policymaker e imprese, così come i singoli, devono fare la loro parte.

Riferimenti

 

Articolo a cura di Giorgio Ghiringhelli e Andrea Urbinati

Profilo Autore

Amministratore Unico di ARS ambiente S.r.l. e Docente a Contratto di LIUC Università Cattaneo, Scuola di Ingegneria Industriale

Profilo Autore

Post-Doc Researcher e Docente di Analisi Strategica e Progettazione Organizzativa di LIUC Università Cattaneo, Scuola di Ingegneria Industriale

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