Oggi la formazione si avvale degli strumenti del cinema. Registrazioni, filmati, attori, giochi di ruolo, simulazioni, per migliorare le performance sul lavoro e perché il leader “entri con successo nella parte”
Se la tecnologia avanza sempre più nelle imprese, non significa affatto che l’umanità di chi vi lavora debba in qualche modo arretrare. Al contrario. Con la tecnologia possono aprirsi scenari nuovi in grado di potenziare le qualità più autentiche delle persone e gli aspetti più creativi e partecipativi del lavoro che svolgono, favorendo una maggiore autonomia e responsabilità.
Questo in sostanza il messaggio positivo che ci arriva da Matteo Sola, HR Learning, Development & Engagement Manager di iliad Italia.
E’ chiaro che in questa prospettiva cambia anche in modo sostanziale la figura del responsabile delle Risorse Umane e l’idea che una impresa possa essere gestita con i vecchi criteri di comando e controllo.
Lo stesso modello di impresa non è più paragonabile a un meccanismo perfetto fatto di regole e principi da rispettare ma piuttosto è simile a un ecosistema, a un organismo vivente, all’interno del quale le persone che vi operano devono potersi muovere liberamente, facendo prevalere – al di là delle regole e dei processi fissati una volta per tutte come valeva in passato – la propria libertà di iniziativa e la propria responsabilità, attraverso una sempre maggiore agilità organizzativa.
Sembra una visione utopica ma, secondo Matteo Sola, l’unica possibile per consentire alle imprese di affrontare un cambiamento che la tecnologia digitale ormai sta portando avanti da tempo.
E’ certo che di fronte a questo rovesciamento di prospettiva bisogna ripensare le organizzazioni, mettendo al centro le persone, non più confezionando loro un ruolo che devono incarnare in modo fittizio, ma considerandole come esseri umani adulti, con la loro capacità di giudizio, la loro curiosità, il loro spirito innovativo, il coraggio , la passione, l’onestà, l’altruismo. Tutte doti che possono e devono essere valorizzate.
In questa chiave, che vede le persone realmente al centro di ogni strategia, cadono i muri che separavano nettamente interno ed esterno delle imprese (customer and employee per intendersi) e ci si deve reinventare in un ambiente unico in cui le esperienze, sempre più personalizzabili, e quindi più coinvolgenti e appaganti, si fondono, favorendo feedback continui e la necessità di sperimentare, senza paura di sbagliare.
Questi sono anche i presupposti che stanno alla base della formazione dei futuri manager e leader. Ed è chiaro che non basta più l’esperienza di qualche giorno di aula per fare formazione. Oggi è necessario che la formazione sia parte integrante della attività dell’impresa, perché consente non solo di creare una cultura positiva condivisa ma anche di sviluppare meglio le singole professionalità, oltre allo scopo evidente di migliorare le performance aziendali.
Upskilling, reskilling rientrano nell’ambito di un complesso sistema di “continuous learning” che si attiva giorno per giorno in modi diversi – personal learning, piattaforme on line, community, ecc. – e dove è sempre più difficile distinguere tra hard skill, cioè competenze tecniche vere e proprie, e soft skills, abilità comportamentali.
D’altra parte le soft skill, per le loro stessa natura, si possono potenziare avvalendosi di strumenti sempre più sofisticati e innovativi che fanno leva sulle emozioni e sul loro controllo, ad esempio grazie all’uso delle tecniche cinematografiche, che simulano conflitti, negoziazioni, situazioni di problem solving, attraverso giochi di ruoli, gamification, video interview, ecc. Dove la tecnologia non rappresenta mai un fine ma un mezzo per fare emergere i talenti dei collaboratori e far loro acquisire sicurezza nelle proprie capacità.
Di fronte a queste nuove frontiere della formazione, abbiamo posto alcune domande a Matteo Sola che rappresenta uno dei più attivi e impegnati esperti in questo ambito.
Ogni corso di formazione alla leadership riguarda più le competenze soft che quelle hard (a meno che non si classifichino le competenze manageriali come tecniche in quanto parte del ruolo di manager, sono distinzioni che scricchiolano sempre di più oggi) dall’efficacia comunicativa all’orientamento al risultato, fino in questo caso alla capacità di comprendere una situazione, empatizzare, generare un contesto attraverso la propria azione o decisione tenendo conto delle dinamiche sociali ed emotive ecc.
Queste competenze ed argomenti non possono essere solo spiegate e raccontate, vanno vissute ed allenate nella pratica per tradursi in capacità e lasciare un segno sulla persona, viceversa rischiano di essere vuote prediche gettate al vento.
Un contesto immersivo di simulazione tramite un gioco, uno scenario virtuale o recitato da attori, tramite di fatto la classica situazione del role play evoluta da nuove tecnologie e format potenziati da storytelling ingaggiati, possono essere in tal senso molto utili.
Sì, attraverso test, osservazioni sul campo, simulazioni e colloqui strutturati che siano volti a misurare e mappare le competenze soft. È ciò che avviene ad esempio nelle situazioni di assessment e ci sono figure professionali specializzate nel fare questo e nel costruire in seguito anche piano di sviluppo individuale che mirano a colmare i gap evidenziati. Comunque, gli assessment sia di gruppo che individuali dovrebbero essere più di uno, ciclici e costanti nel tempo.
Oltre a quanto già citato sopra e riferito al video, citerei i percorsi di formazione in generale, anche meno innovativi ma sempre pratici sulle soft skills, la gamification in generale e il coaching sia individuale che di team.
Un ultimo esempio può essere la capacità di creare situazioni non direttamente legate allo sviluppo delle competenze ma indirettamente efficaci anche per quello.
Mi riferisco a tutte le occasioni in cui si crea anche per altre finalità un contesto diverso dal quotidiano, un terreno di allenamento per le persone che permette loro di uscire dalla routine, dalla zona di confort e che le mette alla prova sul piano delle competenze soft, anche se indirettamente e non come prima finalità.
Se parliamo di sviluppo della popolazione manageriale è importante avere una direzione chiara come azienda. Questo, come processo, dovrebbe partire da un’analisi culturale profonda, dal considerare gli elementi fondanti quali i valori, la mission e la vision (se non sono definiti bisogna lavorare in primis su quelli) per poi accompagnare in seguito il top management alla definizione di un modello di leadership condiviso: è la carta dei principi guida e delle competenze chiave del manager entro la propria organizzazione.
È fondamentale avere un modello di leadership aziendale, specifico e customizzato, perché le competenze di leadership possono essere mille e tutte utili, ma solo alcune sono distintive per il nostro contesto.
Sulla base di questo modello, idealmente co-disegnato insieme ai manager stessi, dopo si può continuare a lavorare in ottica di allineamento di questa popolazione manageriale, con formazione specifica, assessment, valutazione della performance manageriale, coaching, mentoring, altre strategie di sviluppo ecc.
Nello specifico dipende dal contesto, ma come trend generali e trasversali direi:
Articolo a cura di Ugo Perugini
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