L’istituto della Cassa integrazione guadagni è finalizzato geneticamente alla tutela del bisogno di integrare o sostituire il salario, attraverso la materiale erogazione di una prestazione previdenziale, in occasione di eventi di sospensione o riduzione della attività di impresa, subordinati alle condizioni della temporaneità e della non imputabilità al datore di lavoro o ai dipendenti, anche se gli eventi stessi non sono correlati da impossibilità oggettiva sopravvenuta o da forza maggiore.
A questa finalità assorbente e caratterizzante (che è una funzione previdenziale) si affianca quella di supportare l’impresa attraverso la riduzione del costo del lavoro in periodi contingenti di difficoltà nella produzione di beni o servizi, senza imporre il ricorso ai licenziamenti o l’accollo di costi aggiuntivi, preservando in questo modo la conservazione dell’occupazione per il periodo successivo alla crisi.
Lo scenario di fondo in cui deve essere giuridicamente inquadrato l’istituto della Cassa integrazione è quello del governo e della gestione delle eccedenze di manodopera, manifestazione paradigmatica della figura dei cc.dd. ammortizzatori sociali. Le forme di intervento finanziario – diretto o indiretto – dello Stato in tali fattispecie sono finalizzate sia in riferimento ad una crisi dell’impresa, sia in riferimento ad obiettivi di recupero di produttività/redditività, seppure in assenza di difficoltà in senso proprio.
Presupposto tecnico dell’intervento della Cassa è la sospensione – totale o parziale – del rapporto di lavoro, sia in quanto dipendente da una causa che renda oggettivamente (anche temporaneamente) impossibile la prosecuzione del rapporto, sia in quanto dipenda da una difficoltà in connessione causale con eventi inerenti la sfera giuridica dell’impresa.
Devono però ricorrere alcune condizioni di legge:
Quest’ultimo provvedimento rappresenta e determina il c.d. effetto di deroga alla disciplina di diritto comune che, sostituisce – in un certo senso – gli effetti della sospensione unilaterale adottata dall’imprenditore, assorbendo la mora credendi, altrimenti configurabile in una simile fattispecie che, oltremodo, mai potrebbe avere l’effetto sospensivo sulla obbligazione retributiva nei riguardi dei dipendenti interessati. In questo senso, il provvedimento amministrativo in questione, da un lato, determina la costituzione del rapporto giuridico previdenziale, e, dall’altro lato, determina la caducazione pro tempore dell’obbligazione retributiva.
L’evoluzione legislativa dell’istituto della Cassa può essere così riassunta e schematizzata:
La Cassa integrazione nasce come rigorosamente finalizzata al supporto dei dipendenti del settore “industria” (non ex art. 2195 c.c., ma come definito dalla legge in base all’inquadramento previdenziale Cuaf o ad una definizione della contrattazione collettiva nazionale) ma, nel prosieguo di tempo, viene allargata ad altri settori, senza divenire, peraltro, indistintamente applicabile all’universo delle imprese potenzialmente destinatarie in quanto in difficoltà.
In ogni caso, poi, le imprese destinatarie degli interventi CIG sono sempre state ulteriormente selezionate, sia con riferimento a un criterio dimensionale, sia con riguardo all’esclusione di alcune categorie di lavoratori. Esiste anche un criterio interno di anzianità di servizio nell’impresa, non inferiore a un minimo (legge 169/1991), onde evitare facili elusioni con movimentazioni di personale fittizie.
In ogni caso, mi sembra determinante sottolineare – last but non least – come l’intervento della Cassa, sotto l’ombrello di provvedimenti sostanzialmente assistenziali, sia stato reso possibile, con provvedimenti ad hoc, per le conseguenze sul piano occupazionale prodotte da calamità naturali.
Gli eventi giustificativi alla base dell’intervento CIG sono denominati come cause integrabili (cfr. già legge 164/1975) e danno luogo:
1. all’intervento ordinario (già previsto dal d.lgs. 788/1945), che ha due cause giustificative, consistenti dalla dipendenza della esigenza di sospensione o contrazione:
a) da eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai;
b) da situazioni temporanee di mercato.
Il concetto di causa non imputabile non si identifica con quello di impossibilità oggettiva, dovendosi accertare, nei casi in cui non si ravvisa una oggettiva ed assoluta impossibilità, che l’imprenditore abbia usato la normale diligenza (art. 1176 c.c.).
Peraltro, a seguito del Jobs act, la regolamentazione in parola deve essere raccordata con il divieto introdotto dell’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di definitiva cessazione dell’attività aziendale o di un ramo di essa.
In ogni caso, con d.lgs. 95442/2016, sono state individuate le seguenti fattispecie di causali integrabili (https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50599):
2. all’intervento straordinario (legge 1115/1968), con l’introduzione del quale la CIG ha formalmente assunto la – concorrente – funzione di strumento di politica economica, direttamente attivabile dal potere politico centrale nell’ambito di un complessivo scenario normativo riguardante:
a) l’assetto del mercato del lavoro;
b) l’attività produttiva nazionale;
c) il governo delle situazioni di crisi,
con specifici interventi di rifinanziamento.
Quali cause integrabili (cfr. d.lgs. 148/2015 e correttivo d.lgs. 185/2016) sono previste:
essendo venuta meno la specifica causale delle “procedure concorsuali” (art. 21, comma 1, d.lgs. 148/2015 e vedi già legge 92/2012).
La causale della riorganizzazione, dal canto suo, assorbe e comprende le fattispecie della ristrutturazione e della riconversione. In questi termini, dunque, deve intendersi:
Come intuibile da quanto appena descritto, l’elemento fondamentale che caratterizza l’intervento straordinario è determinato dalla rilevanza di fattori interni al ciclo generale (crisi economiche), ovvero di vicende riguardanti la specifica impresa interessata, quali crisi economiche settoriali o locali, ristrutturazioni o riorganizzazioni, conversioni. Diversamente, nel caso dell’intervento ordinario, assumono rilevanza eventi esterni all’impresa (ineluttabili accadimenti naturali).
La pressante e generalizzata crisi economica che è esplosa negli anni 2008-2010 ha visto crescere in modalità esponenziale il ricorso alla Cassa integrazione, nell’ambito di un diffuso accesso agli ammortizzatori sociali. In questo contesto e a seguito delle pressioni sociali, l’intervento della legge si è manifestato attraverso il “confezionamento” di una sorta di istituto giuridico previdenziale/assistenziale ad hoc, attraverso la Cassa integrazione guadagni “in deroga”, laddove il profilo di deroga è stato attuato come riferito alla disciplina vigente della Cassa e degli altri ammortizzatori sociali. In questo modo è stato delineato un sistema tendenzialmente omnicomprensivo o, comunque, finalizzato all’utilizzo della Cassa da parte di imprese e lavoratori altrimenti esclusi dal sistema già disciplinato dall’apparato normativo vigente, con le eccezioni del caso.
L’intervento si realizza sulla base di risorse economiche e finanziarie predeterminate, attraverso il coinvolgimento delle Regioni, degli enti bilaterali, dei fondi professionali per la formazione continua. Queste forme di intervento sono potenzialmente e dichiaratamente destinate a concludersi, in occasione di quella che dovrebbe essere “l’ultima proroga” (anche in forza di quanto già disposto dalla legge 92/2012). Invero, l’utilizzo di interventi “in deroga” degli ammortizzatori sociale risale a periodi anteriori: art. 2, legge 248/2001; art. 52, comma 46, legge 448/2001 (finanziaria 2002), e leggi finanziarie e/o di stabilità successive, che hanno sempre riproposto la possibilità di utilizzo della cassa in deroga (seppure in un dichiarato contesto di “provvisorietà”). Parallelamente, peraltro, si sono succedute ipotesi di interventi legislativi – ripetuti – di proroga dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria (oltre all’art. 22-bis, d.lgs. 148/2015, cfr. art. 9-bis legge 18/2019).
Le prestazioni erogate dalla Cassa sono pari all’80 per cento della retribuzione globale netta “per le ore di lavoro non prestate comprese tra le 0 ore e il limite orario contrattuale (art. 3, d.lgs. 148/2015). Peraltro, per le causali di riorganizzazione aziendale e crisi aziendale, è prevista una strutturazione diversamente articolata: “possono essere autorizzate sospensioni dal lavoro soltanto nel limite dell’80 per cento delle ore lavorabili nell’unità produttiva nell’arco di tempo di cui al programma autorizzato” (art. 22, comma 4, decreto 148). L’orario contrattuale da considerare è quello effettivamente svolto e il trattamento viene determinato considerando l’orario di ciascuna settimana, indipendentemente dal periodo di paga.
Il trattamento di integrazione salariale, sia per intervento ordinario, sia per intervento straordinario, è soggetto ad un massimale, in via generale e salvo specifiche deroghe.
La durata massima del trattamento è, nell’ambito di ciascuna unità produttiva, di 24 mesi in un quinquennio mobile (ferme alcune diversificazioni per particolari comparti produttivi).
Le integrazioni salariali beneficiano dell’accredito contributivo di natura figurativa, con valore sia ai fini del diritto che della misura della pensione; delle prestazioni per carichi di famiglia e della assistenza sanitaria.
È stata introdotta una forma di liquidazione in conto capitale delle prestazioni della Cassa, al fine di incentivare e favorire l’avvio di una attività di lavoro autonomo o associato.
Il periodo di integrazione salariale è equiparato al lavoro effettivo, utile ai fini del calcolo del TFR, salva la previsione dell’art. 46, d.lgs. 148/2015 che, dalla sua introduzione ha dichiarato non più recuperabile da parte dell’impresa beneficiaria della Cassa la quota del TFR maturata durante il periodo di integrazione salariale.
Sia il trattamento ordinario, sia il trattamento straordinario vengono anticipati dall’imprenditore che è successivamente autorizzato a detrarre l’importo di tali anticipi dal complesso della contribuzione complessivamente dovuta nei riguardi dell’INPS, secondo il sistema del conguaglio.
Peraltro, in caso di sussistenza di comprovate difficoltà di ordine finanziario in capo all’impresa beneficiaria della Cassa integrazione straordinaria, può essere richiesto all’INPS il pagamento diretto del trattamento previdenziale.
Il finanziamento della Cassa integrazione corrisponde a un criterio diversificato, considerato che è configurato, da un lato, su contribuzione specifica a carico degli imprenditori e, dall’altro lato, in parte, su un finanziamento statale e su una partecipazione dei lavoratori.
La contribuzione ordinaria – per gli interventi ordinari – è a carico delle imprese e le aliquote sono differenziate in relazione al settore merceologico di appartenenza, al settore di inquadramento dei lavoratori, alla consistenza occupazionale dell’impresa. La contribuzione ordinaria per gli interventi straordinari è suddivisa tra il datore di lavoro e i lavoratori, nelle proporzioni, rispettivamente, di un terzo e di due terzi (art. 23, d.lgs. 148/2015), salvo la restante quota a carico della finanza erariale.
La contribuzione addizionale grava esclusivamente sulle imprese che presentino domanda di integrazione (ordinaria/straordinaria) e l’aliquota è articolata su quote crescenti in funzione della durata dell’intervento, riferito ad un quinquennio mobile, nonché differenziato per settore merceologico. Tale contributo non è dovuto in relazione agli interventi ordinari determinati da “eventi oggettivamente non evitabili” (art. 13, comma 3, decreto 148).
Peraltro, è previsto, nel sistema di finanziamento, seppure in funzione “sanzionatoria”, un aumento della contribuzione a carico dell’impresa beneficiaria della Cassa che non rispetti i criteri di rotazione convenuti in sede sindacale (art. 24, comma 6).
Il lavoratore in sospensione dal lavoro per intervento della Cassa è esentato dal prestare l’attività lavorativa, ma è assoggettato ad un obbligo giuridico di “disponibilità”, che grava – sul piano generale – sul dipendente in ragione della fruizione di prestazioni a sostegno del reddito.
In questi termini, la collocazione in Cassa integrazione determina in capo al fruitore dell’integrazione una particolare condizione di “soggezione”, in forza della quale lo stesso, da un lato, perde la piena disponibilità del proprio tempo libero e, dall’altro lato, deve assoggettarsi ad una serie di oneri comportamentali nei confronti del datore di lavoro, resi particolarmente incisivi e penetranti dall’apparato legislativo.
Il cassintegrato che si dedichi ad un altro lavoro, subordinato o autonomo, perde, in relazione ai giorni in cui ha lavorato, il diritto all’integrazione salariale, attraverso lo strumento specifico della sospensione della Cassa, la quale presuppone la comunicazione all’ente previdenziale dello svolgimento dell’attività di lavoro.
Il cassintegrato è tenuto, ove se ne presenti l’occasione, a partecipare a corsi di formazione o riqualificazione, o a essere impiegato in attività di pubblica utilità presso amministrazioni pubbliche del territorio del comune di residenza.
Il sistema generale prevede, nel caso di inosservanza di oneri ed obblighi relativi alle circostanze sopra descritte, in varie modalità e misure, la decadenza dal trattamento di integrazione salariale, ordinario e straordinario, con effetto ex tunc (intero periodo).
Tutti i meccanismi di disciplina, gestione e sanzionatori, in relazione alla c.d. condizionalità, sono ormai riferibili a tutti i percettori di prestazioni di sostegno del reddito, dal d.lgs. 148/2015. In questo senso, il cassintegrato destinatario di una riduzione dell’orario di lavoro superiore al 50 per cento in un arco di tempo di dodici mesi, deve stipulare presso il centro per l’impiego un “patto di servizio personalizzato”, similmente al disoccupato destinatario del trattamento di disoccupazione di durata superiore a quattro mesi.
L’accesso alle prestazioni di integrazione salariale è subordinato all’avvio e all’espletamento di una articolata procedura; la domanda di intervento della Cassa non può essere proposta – di regola – se non successivamente all’espletamento di una consultazione sindacale, sia in caso di intervento ordinario, sia in caso di intervento straordinario (art. 5, legge 174/1975). La legge configura un obbligo di informazione e, in caso di richiesta di esame congiunto, un ulteriore obbligo a trattare, ma non un obbligo a raggiungere un accordo. La procedura si differenzia in relazione al fattore di urgenza della richiesta, con riferimento alla sussistenza, o meno, di eventi oggettivamente non evitabili, che rendano non differibili la contrazione o la sospensione dell’attività lavorativa. Nell’ipotesi di sussistenza della suddetta urgenza, l’obbligo di comunicazione dell’imprenditore può essere adempiuto anche successivamente. In via generale, comunque, la comunicazione riguarda “la durata prevedibile della contrazione o sospensione ed il numero dei lavoratori interessati”. Unitamente a queste informazioni, l’impresa deve comunicare i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione. In particolare, la “rotazione” impone al datore di lavoro di ripartire il periodo di sospensione (o riduzione) dell’attività equamente tra tutti i dipendenti che svolgano le medesime mansioni e si trovino nell’unità produttiva interessata. Qualsiasi omissione in merito alla comunicazione alle organizzazioni sindacali dei suddetti criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere o delle modalità di rotazione costituisce violazione della garanzia procedimentale, conseguendone, da un lato, un caso di condotta antisindacale ex art. 28 statuto lavoratori, e, dall’altro lato, la illegittimità del provvedimento stesso e il riconoscimento del diritto al pagamento dell’intera retribuzione.
La presente rassegna viene redatta in data 17 maggio 2020, sulla base della situazione legislativa e amministrativa verificabile a tale data (in particolare, articoli 71, 72, 73, 74).
Seguono alcune indicazioni schematiche, telegrafiche e riassuntive, nella loro impostazione generale e senza alcun approfondimento, sulla base del decreto Rilancio e del precedente decreto Cura Italia, convertito in legge, sia a mero scopo informativo/descrittivo, sia in funzione della rappresentazione della degenerazione legislativa ed amministrativa imposta dall’emergenza Covid-19 che, invero, indipendentemente dal contenuto finalistico indubitabilmente efficace e di sostegno, ha determinato qualche corto circuito nelle procedure amministrative e nella concreta gestione dell’istruttoria delle relative domande CIG Deroga, così come si è potuto emblematicamente e manifestamente rilevare nella quotidianità dell’evolversi delle pratiche di accesso agli ammortizzatori sociali.
L’esame della generale farraginosità delle procedure qui descritte dimostra, da un lato, una diffusa degenerazione della Cassa in Deroga e, dall’altro lato, una egualmente diffusa – anche se non percepibile ad un esame superficiale – realtà di delegificazione di fatto dell’intera materia. Solo il riferimento all’emergenza sanitaria e biologica Covid-19 può giustificare, in termini economici/sociali la mutazione genetica della CIGD, dalla sua funzione di strumento di supporto per fattispecie molto particolari e limitate a quella – oggettivamente manifesta – di strumento ordinario e generalizzato per la gestione della suddetta emergenza, caratterizzato da una concatenata serie di deroghe (deroga della deroga, etc.), solo giustificabili in relazione alle esigenze eccezionali del momento.
La durata massima del trattamento ordinario di integrazione salariale (CIGO) e dell’assegno ordinario (FIS) con causale “emergenza Covid-19” viene confermata in 9 settimane per periodi decorrenti dal 23.2.2020 al 31.8.2020: queste 9 settimane sono incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiano integralmente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di 9 settimane; è altresi riconosciuto un eventuale ulteriore periodo della durata massima di 4 settimane fruibili, per la generalità dei datori di lavoro, per periodi decorrenti dall’1.9.2020 al 31.10.2020 e, per i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi e spettacolo, anche per periodi precedenti al 1° settembre.
La durata massima del trattamento ordinario di integrazione salariale (CIGO) con causale “emergenza Covid-19” viene confermata in 9 settimane per periodi decorrenti dal 23.2.2020 al 31.8.2020: queste 9 settimane sono incrementate di ulteriori 5 settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiano integralmente fruito il periodo precedentemente concesso; e altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo della durata massima di 4 settimane fruibili per periodi decorrenti dall’1.9.2020 al 31.10.2020.
La norma relativa, pur essendo innovativa, presenta elementi di criticità interpretativa ed applicativa; si attendono istruzioni INPS per definire e delineare il percorso interpretativo.
Per i datori che non anticipano i trattamenti ex artt. 19 e 22 del d.l. n. 18/2020 (trattamento ordinario di integrazione salariale, assegno ordinario e trattamento di cassa integrazione in deroga con causale “emergenza Covid-19”) e previsto che possano fare richiesta di pagamento diretto (per la cassa integrazione in deroga la previsione rileva solo per i datori di lavoro cd. plurilocalizzati, che non optino per l’anticipazione del trattamento).
Articolo a cura di Pasquale Dui
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